In riferimento al passato prossimo, a quel secolo cerniera che è stato il Novecento, troviamo piacere nell’essere così sadici da affermare con scioltezza e saccenteria politica, tipiche del miglior Frank Underwood, che il “legame” più emblematico tra America e Italia risieda nella competizione a chi faccia più danni con la previdenza sociale.
O a chi abbia il Presidente peggiore. O al rapporto “gallone-litro”: le convenzioni sono molto importanti (…).
A proposito di convenzioni, il Nuovo Testamento delle differenze intercontinentali è stato scritto tra una sessione d’esame e l’altra, da una gioventù esigente e foraggiata dalla critica e con un solo mantra veicolare, che sono le serie televisive.
E si sa che i critici migliori sono quelli che hanno tanto tempo da perdere ed un abbonamento a Netflix.
Con la spirale ricorsiva del tema delle serie tv, quindi, la voglia di confronto nel banale pandemonio dei social ha finalmente trovato una materia diversa da quella delle drastiche differenze alimentari, e i cultori di pizza con l’ananas possono smettere di telefonare in pizzeria il Sabato sera sotto pseudonimo.
L’attenzione è sfociata altrove.
Ora si parla delle differenze tra le serie televisive italiane e quelle americane, e lo facciamo con quel grado di soggezione che nemmeno Cristoforo Colombo seduto di fianco ad Amerigo Vespucci ad un seminario sulla storia dell’America.
Il mismatch è a tratti abissale: per intenderci si passa, più o meno, dal fantasticare su una critical mass organizzata da Don Matteo, al nichilismo nietzschiano di Rust Cohle.
Tra clichés assurdi e discutibili espedienti tecnici, oggi vi presentiamo le 8 differenze più ironiche tra le serie tv italiane e quelle americane.
1. Il saluto, si sa, non si nega a nessuno
Quando Galeazzo Florimonte inventò il galateo, i cellulari non esistevano ancora.
È tuttavia piuttosto chiaro che le linee guida servano al ragionamento induttivo, per passare dal particolare all’universale. In America questo metodo non convince granché, e la nobile pratica del saluto non si sposa bene con tutte le circostanze: se stai parlando ad un apparecchio telefonico, non c’è umanità sufficiente per salutarsi.
L’usanza del “non saluto” risale all’Anno Domini Scatto Alla Risposta, quando al telefono le parole erano pagate a peso d’anguria ed un “ciao” in più poteva fare la differenza tra una notte al caldo e lo sfitto da parte del padrone di casa.
Differenze con l’Italia: possiamo segnare un punto a nostro favore, in questo caso, in quanto ben abituati dal buon vescovo Galeazzo (di cui prima). Si racconta che italiani con parenti in America siano stati anche due o tre giorni al cellulare in attesa del saluto, non ancora consci della fine della chiamata.
Dopotutto, non è forse vero che l’attesa del “ciao” è esso stesso il “ciao”?