L’interesse per cronaca nera in generale non è solo un trend del momento alimentato dalla quantità considerevole di documentari in circolazione. Si tratta di un’attrazione molto viscerale e antica che Netflix ha semplicemente deciso di volgere a proprio vantaggio. Non solo documentari d’altronde, ma anche serie tv come per esempio Mindhunter, progetto ad alto budget che segue la nascita dei primi veri profiler dell’FBI e lo studio dei serial killer più famosi, e il più recente Dahmer, show dedicato alla controversa figura del cannibale di Milwaukee.
E mentre il richiamo del pubblico nei confronti di questi mostri moderni non sembra cessare di esistere, oggi abbiamo deciso di proporvi i migliori documentari sui serial killer presenti sul catalogo Netflix.
1) I figli di Sam: verso le tenebre
David Richard Berkowitz, passato alla storia come “Figlio di Sam”, è stato uno dei serial killer più efferati e allo stesso tempo confusi della storia americana. Nonostante siano passati ormai molti anni da quel biennio 1976-1977 durante il quale ha terrorizzato tutta New York, il suo caso è lontano dall’essere stato archiviato. Infatti, seppur lo stesso Berkowitz abbia confessato i crimini, in molti sospettano che non abbia agito da solo. Inizialmente conosciuto come “The 44 Caliber Killer”, l’uomo ha ereditato il titolo con il quale ancora oggi è conosciuto in seguito alla confessione avvenuta nel 1977. Dopo essere stato catturato, infatti, Berkowitz disse di aver ucciso sei persone perché era stato il cane nero del vicino, Sam Carr, a ordinarglielo. Un demone assettato di sangue, almeno secondo David, lo avrebbe quindi convinto a uccidere tutte quelle persone e a ferirne molte altre.
Lo scopo della docuserie è dunque quello di immergerci completamente nella psiche oscura e tormenta del serial killer, facendoci costantemente domandare se l’uomo fosse davvero malato di schizofrenia o abbia inventato tutto nel tentativo di farla franca. Non solo. Un’ altra importante indagine mossa dal giornalista Maury Terry riguarda la partecipazione o meno di altre persone negli omicidi del figlio di Sam.
2) Nightstalker
Soprannominato dalla stampa “Nightstalker”, il serial killer Richard Ramirez uccise circa 13 persone nel 1985 venendo arrestato nell’agosto dello stesso anno. Come “il figlio di Sam”, anche Ramirez utilizzava principalmente la pistola come strumento per uccidere ma nel suo caso gli sforzi della polizia per catturarlo sono stati decisamente più decisivi. L’origine dei disturbi psichici di Ramirez sono da ricercare nell’infanzia turbolenta e abusiva che ha vissuto per colpa di un padre violento e di un cugino disturbato che gli mostrava le foto di donne violentate e uccise da lui stesso durante la guerra in Vietnam.
Con queste premesse, non c’è purtroppo da sorprendersi che la psiche fragile di Ramirez si sia frammentata dando vita a un vero e proprio mostro. Autoproclamatosi satanista, il killer lasciava spesso un pentacolo sulla scena del delitto. Un atteggiamento blasfemo probabilmente derivato anche dal background cristiano in cui è cresciuto. La docuserie si sofferma sulla totale assenza di emozioni o pentimento dell’uomo che ha addirittura scherzato il giorno in cui lo Stato della California gli ha dato la pena di morte. Narcisista e insensibile, il ritratto di Ramirez non si scosta moltissimo da un altro famigerato killer protagonista del terzo punto.
3) Conversazioni con un killer: The Ted Bundy Tapes
Certo deve aver un qualche tipo di importanza se un colosso dello streaming come Netflix si sente in dovere di prendere le distanze dalla propria docuserie, tweettando un avvertimento per il pubblico da casa. D’altronde è dietro la bellezza inquietante e l’aspetto da bravo ragazzo che si è nascosto uno dei serial killer più efferati e brutali della storia. Con quella stessa faccia d’angelo, avrebbe potuto condurre una vita di successo come avvocato, invece Ted Bundy ha deciso di venire ricordato per sempre per qualcosa di molto più tragico.
Seppur siano 36 le vittime confermate, in realtà il numero delle donne effettive uccise da Bundy potrebbe aggirarsi attorno a quota 100. Tra il 1974 e il 1978, Ted Bundy viaggia per tutta l’America in cerca di nuove vittime. Si tratta sempre di donne molto belle che il killer avvicina con scuse banali per poi trasportarle in luoghi isolati e ucciderle. I nastri delle conversazioni riportate nel documentario true crime ci colpiscono come un pugno allo stomaco per l’agghiacciante indifferenza che Bundy esprime per ciò che ha fatto.
Si tratta senza dubbio di uno dei documentari più terrificanti di questa lista, uno dei tanti tra l’altro dedicati al serial killer.
4) Giù le mani dai gatti
Fa un po’ storcere il naso che nel caso di Giù le mani dai gatti, Netflix non abbia inserito alcun tipo di avviso prima della visione del documentario. Diviso in tre puntate, il progetto dai toni true crime può risultare davvero difficile da guardare e digerire, soprattutto per i grandi amanti degli animali. Dopo essersi trovati di fronte a un video scioccante su Internet, in cui un uomo tortura e uccide due gattini (nessuna immagine esplicita viene mostrata nella docuserie), un gruppo di persone inizia una vera e propria caccia all’uomo. Ma la tragedia non finisce qui.
La caccia all’uomo online da parte dei due investigatori in erba prende una piega inaspettata quando l’assassino, il canadese Luka Rocco Magnotta, uccide un essere umano e posta il video. Succede così che il caso dei gattini uccisi salga alla ribalta della cronaca nera, con grande soddisfazione dell’assa. La docuserie, di fatto, non ha l’obiettivo di focalizzarsi sull’ennesimo assassino in cerca di gloria ma su come, soprattutto ai giorni nostri, siamo noi stessi ad ampliare la portata e la fama di tali personalità disturbate.
5) Caccia ai killer
Di produzione britannica, Caccia ai killer si distingue dai documentari precedenti perché non prende in esame un caso specifico ma diversi serial killer che sono passati alla storia.
La prima stagione, per esempio, si concentra su figure note come il Green River Killer, Aileen Wuornos e l’Happy Face Killer. La serie tv si focalizza sulla ricostruzione delle indagini investigative che hanno portato alla cattura di famigerati serial killer piuttosto che sulla psiche degli stessi. Il taglio della docuserie è dunque più poliziesco, crime e pratico ed è per tale motivo che la parola viene lasciato ai detective, procuratori e alle forze dell’ordine che hanno operato in prima fila.
Apprezzata dalla critica e del pubblico, la serie è stata rinnovata per una seconda stagione anch’essa antologica. Nei nuovi episodi vengono raccontati gli eventi relativi ad altri tristemente noti serial killer: BTK, il cecchino di Phoenix e il killer del Village di Toronto. BTK, il cui vero nome è Dannis Rader, ha ucciso dieci persone tra il 1974 e il 1991 utilizzando un modus operandi – “bind, torture and kill” – che gli è valso l’epiteto con cui è stato ribattezzato dalla stampa.
6) Lo squartatore
Jack lo Squartatore è, ancora oggi, il serial killer più famoso di sempre e la sua notorietà rimane materiale da incubi anche nel XXI secolo. Divenuto una vera e propria leggenda vivente, l’identità del killer non è mai stata scoperta alimentando ancora di più il suo mito. Ma la docuserie Netflix Lo squartatore non è dedicata alla personalità enigmatica e sfuggente che ha influenzato film e libri nel corso degli anni, bensì a Peter Sutcliffe. Soprannominato lo “Squartatore dello Yorkshire”, Sutcliffe ha seminato il terrore in Inghilterra nella seconda metà degli anni Settanta ma viene catturato solo nel 1981.
Una componente inquietante del documentario è quel momento in cui è possibile ascoltare la registrazione (vera) della voce di Sutcliffe. Ai tempi in cui le indagini erano ancora in corso, era stato reso pubblico un numero telefonico che rimandava a un messaggio vocale del killer. L’obiettivo era ovviamente quello di individuare, attraverso la voce, la vera identità dell’assassino coinvolgendo anche la stampa e i cittadini. La tensione crescente, il ruolo determinante che assumono le donne e la rivelazione finale sull’identità del killer rendono la serie più simile a un thriller che a un documentario true crime.
7)The Confession killer
Un punto di vista del tutto nuovo è quello riservato a Henry Lee Lucas, assassino morto nel 2001 che si vantava di aver ucciso più di 100 persone tra gli anni Sessanta e Ottanta. Presentato come “the most prolific serial killer in history”, la storia di Henry Lee Lucas ha dell’incredibile dato che molti degli omicidi da lui confessati non sono stati davvero opera sua. Nel 1983, dopo essere stato arrestato con l’accusa di possesso illegale di arma da fuoco, l’uomo inizia a confessare uno dopo l’altro almeno 100 omicidi rimasti fino ad allora irrisolti. Interrogato più e più volte da detective e agenti di polizia, le confessioni di Lucas erano ricche di dettagli e particolari ignoti alla stampa e che quindi avvaloravano la sua colpevolezza.
La furia omicida di Lucas sarebbe iniziata quando era solo un adolescente con l’assassinio della madre portandolo, poi, in giro per l’America. Eppure il numero esorbitante di autoaccuse non convince tutti e così, a poco a poco, le confessioni di Lucas iniziano ad assumere l’aspetto di un castello di carte pronto a crollare da un momento all’altro. Ma perché mentire? Le motivazioni possono essere state due: forse il vagabondo Lucas aveva “l’opportunità” per diventare famoso o forse la polizia aveva visto l’occasione giusta per chiudere numerosi casi irrisolti.
Fatto sta che Caccia al killer non è solo uno dei documentari più spaventosi sui serial killer ma anche un’accusa fortissima a un sistema corrotto.
8) Caccia al killer dall’impermeabile giallo
Ci spostiamo questa volta in Corea del Sud, dove a Seoul nel 2004 Yoo Young-Chul viene condannato a morte per l’omicidio di venti donne, soprattutto anziane. Considerato uno dei serial killer più prolifici, alla pari di Richard Ramirez, Yoo Young-Chul è riuscito a tenere la polizia alla larga per più di un anno, attraverso un modus operandi calcolato e terrificante insieme. Poi avviene la svolta. Nel 2004, il proprietario di un centro massaggi a Seoul nota l’assenza di numerose suoi dipendenti e le piste portano, infine, alla cattura di Young-Chul.
Il documentario funziona e cattura l’attenzione dello spettatore anche grazie all’enorme materiale di supporto utilizzato per analizzare il caso da ogni angolazione possibile. Ma anche grazie alle testimonianze raccolte da parte della polizia, di diversi profiler, delle vittime e di Kwon Il-yong, il primo criminologo ad aver intervistato l’assassino. Altra particolare attenzione è riservata alla realtà coreana e al contesto sociale e culturale entro cui questo mostro moderno ha agito indisturbato scegliendo come sue vittime donne indifese di cui nessuno avrebbe notato la scomparsa.