Dollhouse è una serie sci-fi targata Joss Whedon, creatore delle più celebri Buffy l’Ammazzavampiri e Angel, andato in onda nel 2001 e che purtroppo la Fox ha cancellato dopo sole due stagioni. Uno sfortunato esperimento. O no?
Non userò il cliché “in anticipo sui tempi”, perché questa serie della Fox è nata in un periodo in cui produttori e scrittori televisivi come i fratelli Whedon o JJ Abrams avevano già sovvertito le aspettative di pubblico unendo tematiche politiche e fantascientifiche, critica sociale a mondi distopici. Ma forse non è così sbagliato dire che il pubblico della fine degli anni 2000 non fosse del tutto pronto per vedere – o per affrontare – alcuni dei temi esplorati in questa serie tv sci-fi. In particolare, lo sfruttamento sessuale e le crisi d’identità, e tutti i quesiti sulla coscienza umana. Tematiche che sono state trattate in serie successive come Westworld e che oggi riscuoterebbero un successo clamoroso. Soprattutto se trattate alla maniera di Joss Whedon (noi fan di Buffy l’Ammazzavampiri lo sappiamo).
Ma procediamo con ordine e ricapitoliamo la trama.
La Dollhouse è un’agenzia segreta, quasi un fantasma, di cui si conosce il nome solo per sentito dire. Può risolvere qualsiasi problema, di qualsiasi genere. Basta sganciare un assegno con molteplici zeri dopo la prima cifra. Che sia una serata mondana o una richiesta di riscatto, la Dollhouse ha la soluzione. Per riuscirci invia le “doll” dal cliente di turno. Le doll sono giovani, ragazzi e ragazze, privati dei loro ricordi e quasi senza una personalità propria: al pari di quella di un bambino, totalmente neutra. In base alla richiesta, viene impressa in ogni doll (o “attivo”) una personalità appropriata allo scopo, per ottenere il massimo del risultato. Così le doll possono diventare pericolosi criminali o seducenti accompagnatrici. Ad ognuno di questi poi viene affiancato un agente incaricato, che vigila sull’attivo per dargli supporto e intervenire in caso di difficoltà.Terminata la missione, ogni doll torna alla base e la sua personalità e i ricordi della vita vissuta anche solo per una sera vengono annullati.
La storia vera e propria inizia quando nella mente di Echo (Eliza Dushku, Faith di Buffy l’Ammazzavampiri) riemergono alcuni ricordi, non solo del suo passato, ma perfino delle molteplici personalità che le sono state impiantate e che il processo di cancellazione non è stato in grado di eliminare del tutto. Ha così inizio la sua personale storia che si intreccia indissolubilmente agli altri protagonisti e a quella di Alpha, un attivo che è riuscito a ribellarsi all’organizzazione e che sta mietendo un numero ingente di vittime.
Anche la struttura narrativa è tutt’altro che scontata: la prima stagione è composta da 13 episodi, di cui i primi 12 sono ambientati nel presente. L’ultimo, Epitaph One, ci catapulta in un futuro distopico, in cui la tecnologia della Dollhouse è sfuggita di mano ai propri creatori e la personalità di chiunque nel mondo può essere cancellata perfino a distanza. La seconda stagione ritorna nel presente, ma ormai sappiamo cosa ci attende alla fine di tutto. Anche questa consta 12 episodi ambientati nel presente e un tredicesimo Epitaph Two, che riprende da dove si era interrotto Epitaph One e che ci mostra la vera conclusione della storia.
La trama, a primo impatto forse, non sembrerà nulla di così originale o rivoluzionario, ma quello che ha reso questa serie sci-fi della Fox un diamante allo stato grezzo sono i suoi personaggi. Non solo Echo, presentataci come protagonista della serie e unico personaggio ad apparire nella sigla d’apertura. Anzi, potremmo dire che Echo è il personaggio in proporzione meno interessante e su cui lo spettatore si concentra di meno: la vera evoluzione ha inizio solo nella seconda stagione, e soprattutto a partire dalla seconda metà ne iniziamo a vedere gli effetti. Ma sono tutti gli altri protagonisti, quei personaggi grigi che ci hanno conquistato, con i quali ci siamo commossi e per i quali abbiamo pianto. Che abbiamo provato a comprendere e dai quali ci siamo sentiti in qualche misura rappresentati. Topher (Fran Kranz) e Adelle (Olivia Williams) hanno probabilmente gli archi narrativi più interessanti e trasformativi della serie. Mentre i co-protagonisti Boyd (Harry Lennix) e Ballard (Tahmoh Penikett) si presentano inizialmente come delle bussole morali, ma alla fine, si trasformano, e in modi molto diversi.
È sulle storie dei singoli che il creatore di Buffy l’Ammazzavampiri ha deciso di concentrarsi: cosa sono disposte a fare le persone?
E alla fine, la cosa che lascia stupefatti sono le reazioni e i cambiamenti di questi personaggi, scoprendo che sono proprio gli insospettabili che a volte possono stupire e sovvertire le regole del gioco. A questo proposito, infatti, non si può non citare il personaggio di Topher e il suo rapporto mai totalmente chiaro con Adelle. Personaggi moralmente grigi che sviluppano un profondo legame, non romantico ma comunque viscerale, e che porta Topher a compiere un gesto che non saremmo stati capaci di preventivare all’inizio della serie.
Dollhouse è questo: un insieme di frammenti, di ricordi, di vite.
Le molteplici vite e le molteplici versioni di noi stessi che ci appartengono, come appariamo in contesti diversi, come reagiamo, come cambiamo. Non è facile trovarsi in questo mare di versioni diverse di sé, non è facile capire chi siamo e chi vogliamo essere. Dollhouse ha cercato di mettere in scena il dramma della vita, ecco il grande esperimento. Ha provato a rimettere insieme i pezzi, ambientando questa ricerca in un mondo fatto di tecnologia, distopia e futuri che sono il nostro oggi. Ha tentato di ricostruire un viaggio interiore, proiettandolo all’esterno. E non ha affatto fallito.