Il boom delle serie tv è evidente sotto i nostri occhi. Migliaia e migliaia di serial vengono prodotti ogni mese e tra format originali e scopiazzature, i temi toccati sono i più disparati, dai più arzigogolati ai più easy. Abbiamo prodotti che parlano di bullismo, di ballo, di narcotraffico o di politica: per quanto proviamo a sforzarci non esiste un solo argomento che non sia ancora stato implementato in uno show televisivo.
Provate a pensarci un attimo, chiudete gli occhi e immaginate un topic, meglio ancora se di nicchia, un qualcosa come… l’autismo. Ecco, per quanto il tema non sia affatto inflazionato abbiamo già una serie che è partita proprio da questo argomento per farne un successo: Atypical.
Le 4 serie di cui vi andrò a parlare purtroppo sono proprio la dimostrazione di come un’idea assolutamente originale non sempre possa essere capita.
Quando si apporta una grande innovazione, sia a livello di sceneggiatura o anche solo di ambientazione, non sempre l’accoglienza è quella sperata.
Gli esiti possibili possono essere tre:
1. La serie diventa un successo.
2. Lo show vive un picco di popolarità per poi sprofondare nell’oblio
3. La serie cade nel dimenticatoio quasi immediatamente segnando la propria condanna, come è accaduto con Easy.
Queste 4 serie tv sono l’esempio concreto di come uno show possa subire queste ripercussioni non sempre per colpa della sua mal realizzazione, ma perché affronta tematiche così innovative da non essere comprese, portando così ad un ingiusto trattamento. In questa sede mi trovo coinvolta nel convincervi a dare un’altra chance a questi cinque show, fin troppo diversi da quello a cui siamo abituati… ma non per questo da meno.
1) Derek
In Derek non c’è nulla che non sia innovativo. Il protagonista, Derek appunto, è un uomo di quarantanove anni affetto da una non chiara forma di ritardo mentale. Il protagonista, interpretato da un maestrale Ricky Gervais, lavora come OSS in una casa di riposo per anziani insieme alla proprietaria Hannah e al tuttofare Dougie. Ad unirsi a questo trio già di per sé complicato troviamo Kev, un uomo dai comportamenti sessualmente inappropriati che bivacca in ospizio senza lavorarci infastidendo chi invece ci lavora.
La serie, con la tecnica del finto documentario, ci mostra la quotidianità di Derek nella casa di riposo e la rappresentazione che ci vien data è un assoluto inno alla semplicità e alla gentilezza. Questa dramedy è incredibilmente commovente nonostante le assurde uscite di Derek, le battute di Kev o l’inadeguatezza di Dougie. Un pugno allo stomaco per la nostra sopita sensibilità.
Derek nelle mani di qualsiasi altro regista sarebbe diventato un prodotto melenso o addirittura raccapricciante, ma sotto l’attenta direzione di Gervais abbiamo scampato questo pericolo, ricevendo in dono uno show dolcissimo ma purtroppo non compreso pienamente dal grande pubblico.
2) Easy
Chi ha mai sentito parlare di Easy? Nella mia immaginaria platea stanno alzando la mano davvero in pochi, e questa è la dura realtà.
Easy è una serie antologica composta da due stagioni che narra le avventure di alcuni personaggi di Chicago che si destreggiano tra amore, sesso e problemi comuni: un racconto della quotidianità urbana.
Cortometraggi autoconclusivi rappresentano la vita nelle sue piccole difficoltà, uno spaccato di realtà più reale di quanto si possa immaginare.
A dare un tocco un po’ più pop a queste puntate abbiamo la presenza di guest star come Orlando Bloom, Emily Ratajkowski, Dave Franco e molti altri attori più o meno noti, capaci di dare al microcosmo di Easy un tocco di familiarità con un pubblico più ampio.
Cosa è andato storto con Easy?
Probabilmente la marcata familiarità con il cinema indipendente americano, che risulta un po’ostico al semplice fruitore di intrattenimento che desidera una recitazione più misurata anziché improvvisata come spesso accade adottando questo tipo di format.
Ciò che è certo però è che per apprezzare Easy ci vuole un piccolo slancio iniziale poiché il coinvolgimento potrebbe non presentarsi fin da subito. Il 10 maggio uscirà la terza e ultima stagione su Netflix: siete ancora in tempo per farvi una maratona di Easy!
3) Lady Dynamite
Maria Bamford è una stand-up comedian statunitense che ha sofferto per diversi anni di una forma acuta del disturbo bipolare della personalità di tipo II, e che a causa di esso ha dovuto ritirarsi dalle scene per un certo periodo, trascorrendolo in una struttura psichiatrica.
Maria Bamford non è un nome di fantasia (cercatelo su Wikipedia), ma il nome della protagonista di Lady Dynamite che interpreta se stessa in una trasposizione semiautobiografica e di certo più comica e surreale della sua vita.
La Bamford ci racconta di rapporti familiari sclerotizzati, di situazioni al limite della realtà rese tali dalla sua mente ancora turbata dalla malattia ma utilizzate anche come metafora del suo doloroso sentire. Lady Dynamite è un’inedita rappresentazione della malattia mentale raccontata finalmente da chi ne soffre ancora e quindi del tutto autentica ed estranea ad artifici televisivi. La grande capacità di questa serie è quella di riuscire a farci ridere pur parlando di un argomento serio come la salute mentale.
Attraverso flashback e altri salti temporali, allo spettatore vien mostrato il prima, il dopo e il durante la permanenza nell’istituto psichiatrico, presentandoci una Maria ogni volta diversa.
L’ironia della Bamford non sempre strappa i sorrisi sperati, trattandosi di una comicità più fisica e mimica rispetto al genere a cui siamo abituati oggi. Questo sicuramente potrebbe aver allontanato alcuni spettatori, ma il mio invito è quello di superare questo ostacolo per godersi invece il racconto autentico di questa stramba comica.
4) My Name Is Earl
Tutti ci ricordiamo di My Name Is Earl e uno dei motivi principali è perché faceva parte del palinsesto televisivo del pomeriggio, e qualsiasi classe voi frequentaste in quel periodo, per almeno cinque anni della vostra carriera scolastica Earl vi ha tenuto compagnia. Il punto però è: perché non se ne parla più? Perché nonostante la qualità, dimostrata anche dai premi vinti, questa serie non è rimasta in auge tra le comedy più memorabili del nostro tempo?
My Name Is Earl, purtroppo, è stata velocemente dimenticata.
Mai, prima della messa in onda di Earl, avevo sentito parlare di ‘karma‘: in questo caso nel ruolo del perfetto escamotage utilizzato per tenere in piedi l’intera serie. Abbiamo di fronte a noi un ladruncolo da quattro soldi di nome Earl J. Hickey il quale in un giorno come tanti vince alla lotteria 100 mila dollari e subito dopo viene investito da un auto. Coincidenze? Di certo non per Earl, che prende questo avvenimento come il punto di svolta della sua intera esistenza.
Da questo momento in avanti il nostro protagonista seguirà le leggi del karma, che in breve si rifanno a questa affermazione: ‘Il bene genera bene, il male genera altro male‘. Dopo aver stilato una lista di tutte le cattive azioni compiute in passato, ora Earl è pronto a porre rimedio alla sua cattiveria, chiedendo ammenda e facendo il possibile per non generare più alcuna forma di male.
Nonostante tutti questi ottimi presupposti però, Earl non ha fatto breccia nella maggior parte dei suoi spettatori i quali, di contro, hanno affermato di non trovarla più divertente col passare delle stagioni. Ma se in fondo non fosse ‘divertire’ il principale obiettivo di questa comedy, ma fosse solo uno sfondo al vero intento pedagogico della serie? Perché parliamoci chiaro, quando prima di Earl abbiamo seguito una serie basata sull’esistenza degli umili contrariamente al palinsesto di giovani, belli e ricchi americani, di cui era costellata la televisione nel lontano 2006?