Mettiamola così: non sono la persona più aperta al mondo. Se dovessi immaginarmi all’interno di una stanza con più persone, ecco, la stanza non sarebbe poi così piena. Ci sarei io – se potessi, eviterei perfino me – e pochi altri. Lo diceva Dexter, e ora lo dico anch’io: sviluppare relazioni umane sembra semplice, ma non lo è. Non sempre almeno. Il più delle volte si fa fatica, altre sembra quasi semplice, e non so quale magia si inneschi per far sì che quest’ultima opzione si riveli veritiera. Per non far mancare nulla alla mia teoria del pochi ma buoni ho trasposto l’idea della stanza nel mondo delle Serie Tv, scoprendo di non voler trovarmi da sola in una stanza con personaggi che non avevo compreso mi turbassero così tanto. Insomma, questo trip mi è servito per avvalorare un’ipotesi su cui ragionavo da tempo: non sono male come pensavo, sono anche peggio. I nomi che mi venivano in mente sono presto diventati delle foto con cui giocare a freccette, e la mia stanza ha cominciato a farsi più cupa. Ero quasi sul punto di vederli davvero dentro i miei 40 metri, ed è lì che ho cominciato a considerare la fuga dalla finestra come la più valida delle ipotesi. Non fraintendete: non sono loro, sono io. Purtroppo non c’è la scintilla, quella che ti permette di fare delle cose come stare nella stessa stanza. E poi, ve lo dico adesso così sarò onesta fin da subito, alcuni non sono ben accetti perché mi spaventano talmente sono simili a me. Credetemi, condividere la stanza con la mia versione televisiva fittizia (si fa per dire) non è una buona idea, anzi. Quindi sì, confermo: sarà una lista onesta in cui passerò da Emily In Paris (e speriamo che stia davvero lì) a Don Draper, e per ragioni diverse. Ma davvero, nessuna offesa. Ve l’ho detto: non sono loro, sono io.
Ted Mosby
Mi dispiace scomodare Ted Mosby, ma sono sicura che non ci farà troppo caso: sarà impegnato a chiedere la mano a una ragazza di New York che passeggiava con il cane. Però sì, questo è più o meno il punto.
Ritrovarmi da sola in stanza con lui significherebbe sentirmi bloccata dal suo sguardo investigativo che cerca di capire se voglio passare il resto della vita a guardare Star Wars con lui e con dei pargoletti in giro per casa, oppure no. Il suo modo di scrutare la gente, di comprendere se si possa afferrare qualcosa da questa, ognuna di queste due cose è per me motivo di agitazione. Ted è un bonaccione, lo sappiamo. Gli voglio perfino bene. Ma abbiamo due modi troppo diversi, due modi che non si incastrerebbero neanche per un istante, per il tempo di una sigaretta. Lui probabilmente si sistema i vestiti nell’armadio per ordine di colore, mentre io a malapena li piego. Siamo il giorno e la notte, e non è quel tipo di diversità che potrebbe sfociare nel bene. La sua ossessione per l’amore mi fa spaventa, mi fa pensare a lui come qualcuno totalmente assuefatto da questo sentimento, dipendente. Io lo so che Ti Presento Joe Black ha parlato dell’amore come ossessione, ma per lui sembra più una missione umanitaria.
Con calma Ted, con calma.
Maeve
Calmi, calmi, calmi. Lo so: Maeve è un gran bel personaggio, non negherò. Abbiamo anche qualcosa in comune (non i capelli in questa foto, tranquilli) ma qualcosa non va. C’è qualcosa che mi allontana impedendomi di potermi immaginare in una stanza da sola con lei, ma mai come adesso sono pronta ad assumermi le mie responsabilità. Credo che il problema abbia a che fare con la mia pazienza, con la mia pochissima pazienza. E’ questa la ragione che mi allontana da lei, un personaggio che non fa altro che vivere la propria vita a suon di vorrei, ma non posso. E a tal proposito, vorrei che la quarta stagione si prendesse la briga di raccontarmi in parole povere quali siano davvero tutti questi impedienti per cui Maeve non possa vivere un rapporto sano con Otis. Vorrei comprendere quale sia la ragione per cui, ogni volta che le cose sembrano andar meglio, debba essere ritrovato e intercettato un problema. Io non sono capace. Non sono brava ad aiutare chi in realtà non vuole aiutarsi. Vorrei, ma perdo la pazienza. Non sono pronta ai “però” e i “ma” che uscirebbero dalla sua bocca dopo un solo secondo, dopo averle semplicemente chiesto un banale come stai di cui per altro – conoscendola – non ascolterei la risposta.
Emily In Paris
Emily In Paris per me è un nome completo, e si ripete tutto in unico fiato: Emilyinparis.
Per cominciare al meglio della mia onestà, devo comunque fare i miei ringraziamenti a Emilyinparis per avermi fatto conoscere delle definizioni tecniche di moda che fino a prima del suo arrivo pensavo fossero delle marche di farmaci, questo va detto soprattutto per alleviare la mia coscienza per tutto quello che dirò. Perché Emilyinparis sta a me come il panettone sta a Pasquetta: non c’entra nulla. Il suo camminare tra le nuvole con i tacchi a spillo va in piena contraddizione con il mio beccare le pozzanghere in scarpe da tennis. Non è che la diversità mi dispiaccia, intendiamoci, ma il punto è che con lei non avrei alcuno spunto di conversazione. Non saprei da dove cominciare o cosa dire perché gli unici argomenti di cui tratta per me fanno parte di una lingua sconosciuta, una di quelle che non credo di riuscire a imparare. Posso dirle che ha un gran bel vestito – fin lì riesco ad arrivarci – ma per il resto mi ammutolirei. Non siamo compatibili. Ma tranquilli: se mi conoscesse direbbe la stessa cosa.
Joey
Avrei potuto mettere Dawson e credetemi che ci ho pensato, ma alla fine quel che avrei detto su di lui l’ho praticamente detto su Ted, e non mi andava di ripetermi. E poi sì: l’idea di me e Joey in una stanza mi fa paura. Non saprei come spiegarlo, ma in lei vige un’indecisione che non mi permette di andare oltre. Rimango lì, bloccata. La vedo mentre cerca in tutti i modi di essere grande, adulta, e mi chiedo perché. Non c’è fretta. Va bene essere indecisi e prendersi del tempo, va soltanto ammesso. Ma lei non lo fa, preferendo girare intorno alla questione. Non trovo in lei coerenza, realtà, crescita. Mi sembra incastrata nella terra di mezzo, cosa che le impedisce di andare avanti e maturare. Di solito i personaggi come lei, con così tante contraddizioni, riescono a essere affascinanti, ma non è questo il caso. Il problema di Joey e me in una stanza? Ci annoieremmo a morte: io mentre l’ascolto, e lei mentre si rende conto di non essere l’unica poco simpatica in questo mondo. Sì, questo lo abbiamo in comune.
Don Draper
Forse lo avete già capito, ma io non sono la persona più ottimista con cui interfacciarsi. Anche voi vorreste non trovarvi da soli in una stanza con me, e lo capisco. Ed è per questo motivo che non potrei mai vivere un’esperienza del genere con Don Draper, l’uomo che non guarda al domani. Non potrei perché non guardo al domani neanche io, e non posso permettermi di venire così a stretto contatto con una persona con cui condivido tale negatività. Cercare di aiutarmi da sola è il minimo che io possa fare per riuscire a convivere con tutto quel che non va, e Don non farebbe altro che rammentarmelo, spingendomi quasi a non pensare ad altro. Non so quante cose possiamo fare per aiutare noi stessi nel concreto, ma accerchiarci della nostra stessa negatività non ci aiuterà ad andare oltre. C’è bisogno di altro.
Jessica Day
Di Jessica Day mi piace Nick Miller, ma questa è un’altra storia e riguarda i personaggi con cui in realtà condividerei la stanza.
So di aver appena detto che ho bisogno di qualcosa di diverso da Don Draper, ma Jessica Day è l’eccesso in senso opposto. Star con lei in una stanza implica non avere un attimo per pensare a come forzare la maniglia e scappare. Blatera, parla spesso e urlando, e a tratti canta. L’ottimismo è il sale della vita, dicono, ma in questo caso non posso non pensare alla pressione che si alzerebbe se io avessi il suo stesso spirito. Il punto è che non riuscirei neanche a pensare a causa di tutto quel caos che solo Jessica Day potrebbe provocare. Il suono delle sue parole balzerebbe dentro al mio orecchio trasformandosi in qualcosa di incomprensibile, e la velocità con lui le esporrebbe non mi permetterebbe di afferrarne neanche una. So che farebbe qualsiasi cosa pur di risolvermi un problema se gliene parlassi, ma so anche che il suo altruismo nasconda un’acuta sete di egocentrismo. La aiuterebbe per sentirsi appagata, per compiere la buona azione capace di spedirla in paradiso.
Insomma, non è quel che voglio da una persona che mi sta accanto.
Marie Schrader
Pensa essere Walter White, e avere come cognata la persona più pettegola e ficcanaso dell’intero pianeta. Insomma, è lei il vero pericolo all’interno di Breaking Bad. Chi se ne frega di Gus o di Hank. Il vero incubo per Walter White è Marie, la donna dal fiuto animale. Skyler ha sempre potuto contare su di lei, e questa è una cosa che ho sempre apprezzato, ma io ne farei volentieri a meno. Non potrei afferrare il bicchiere con una mano diversa dal solito perché Marie mi chiederebbe subito se sia successo qualcosa, e non potrei godermi il mio momento di silenzio perché Marie cercherebbe di interromperlo per indagare sul perché stia zitta. Immaginare di condividere una stanza mi fa paura, ma devo ammetterlo: con Jessica Day all’interno la cosa mi spaventerebbe meno. Ne sono certa: si piacerebbero così tanto da dimenticarsi di me.
Anne With An E
Giunti ormai a questo punto, avrete sicuramente chiari i motivi per cui non potrei mai condividere una stanza con Anne.
Se c’è una cosa che con il tempo ho imparato ad apprezzare, quella è il suono del silenzio. Parlare troppo significa darsi troppe possibilità di dir cavolate, parlare poco almeno permette di selezionarne solo alcune. Anne riusciva a non fermarsi mai. Le sue sono corde vocali che non conoscono malessere o stanchezza. Sono sempre svelte, rapide. Io sono lenta. Parlo piano, e penso troppo. Anne parla forte, e pensa mentre lo fa. Ancor peggio è sapere che i suoi sarebbero pensieri che hanno come base il sole che arriva dopo la tempesta, e tutto il resto di citazioni ottimiste di un vocabolario che non conosco. Condividere una stanza con lei implicherebbe non riuscire neanche a pensare a causa del forte suono della sua voce, e io un mal di testa così non me lo merito. Almeno questo.
Diane Nguyen
Non condividerei la stanza con Diane, e lo farei solo per autoconservazione. Unire due personalità auto-distruttive come la mia e la sua significherebbe dar vita a un rapporto simile a quello che ha creato con BoJack, e io vorrei farne decisamente a meno.
E’ la disillusione il collante tra me e Diane. Non crederei mai a nulla che sia diverso da quel che dice, l’ascolterei addentrandomi in delle parole che avrebbero su di me lo stesso peso di una una bombola da sub: mi porterebbero giù. Lo avevo detto anche per Don Draper: bisogna aiutarsi cercando – almeno intorno a sé – l’equilibrio. Diane non lo possiede, e la formula per ottenerlo non è così facile da scovare. Io non l’ho mai trovata e, cosciente che non l’abbia neanche lei, provo a condividere la stanza con altre persone, sperando di trovare almeno lì quel che manca dentro me.