Le serie tv che hanno cambiato per sempre la storia della televisione nel corso dei decenni non sono molte. Ma nemmeno così poche da riuscire a enumerarle in modo immediato. Potremmo partire dai molti temi sociali sdoganati da Star Trek sul finire degli anni Sessanta, passando per i distopici, ma indovinati, scenari di The Prisoner. Si dovrebbe citare ovviamente Twin Peaks, che ha stravolto il paradigma stesso della serialità televisiva. A cavallo del nuovo millennio ci sono: Oz, I Soprano, Band of Brothers e la straordinaria The Wire. Per arrivare infine a Lost, Breaking Bad e ovviamente Game of Thrones. Ognuna di queste, per i più variegati motivi, ha sancito un cambio, una mutazione totale, del modo di fare televisione. Ma ce ne sono svariate altre che si potrebbero segnalare.
Eppure è invece molto più complesso individuare singoli episodi che abbiano avuto lo stesso impatto. Puntate che hanno segnato un prima e un dopo la loro messa in onda. Ancor più complesso perché episodi di questo genere si possono trovare in serie che, magari, nel loro complesso non sono state così significative. O al contrario, non si trovano episodi in se stessi macroscopicamente rilevanti in serie che lo sono state se prese nella loro totalità. Un chiaro esempio è Oz: la serie è fondamentale (per questa innovazione in particolare) nella storia della serialità. Ha messo in scena tematiche e violenze impensabili prima di sé sul piccolo schermo. Ma non ha un singolo episodio che spicchi su tutti gli altri al punto da rientrare in questa disamina.
Scopriamo quindi quali sono, per noi, i 5 episodi che hanno segnato la storia delle serie tv:
1) Many Happy Returns (The Prisoner)
Questa serie tv è uno dei prodotti più sottovalutati, o meglio: meno conosciuti della storia della televisione. Considerarla di fantascienza sarebbe infatti riduttivo. Distopica? Sicuramente, ma non solo. Allegorica? Certo, ma con ben più vari piani di lettura. Una spy story impreziosita da elementi di fantascienza e filosofia capace di scardinare ogni etichetta si cerchi di affibbiarle.
In questo contesto, già di per sé eccellente, l’episodio 7 (ma la numerazione degli episodi è tema di discussione): Many Happy Returns. La serie porta in scena una novità così profonda da divenire modello per molte future produzioni. Il prigioniero n°6, il protagonista, si sveglia all’interno del villaggio, completamente da solo. Nessuno per le strade, nessun Rover a controllare, nessun altro prigioniero. La fuga sembra quindi possibile.
Lo vediamo aggirarsi di corsa e incredulo per il villaggio. Costruire una bussola, una barca e prendere il mare. Affronta una nave di pirati fino a imbattersi in una carovana di gitani. La particolarità è che tutto avviene in silenzio. Per metà dell’episodio non viene pronunciata una sola parola. Tutta avviene in un frastornate e rumorosissimo silenzio. Nella televisione degli anni ’60 fu un episodio destabilizzante. E l’eco del suo silenzio ha attraversato i decenni permettendo a molte serie successive di sperimentare con successo (come vi raccontiamo in questo articolo) questa stessa tecnica.
2) Abyssinia, Henry (M*A*S*H)
Fino al 18 marzo 1975 le serie tv non facevano morire i personaggi principali. A meno, ovviamente, che non fosse necessario per eventi della vita reale. E questo era ancora più vero per i personaggi più amati. Ma il finale della terza stagione di M*A*S*H ha cambiato tutto.
Nell’episodio Abyssinia, Henry, il tenente colonnello Henry Blake (interpretato da McLean Stevenson), dimessosi con onore dall’esercito, lascia i burloni dell’unità M*A*S*H per tornare a casa negli Stati Uniti.
Ma poi, in una scena finale giustamente entrata nella storia delle serie tv, i personaggi apprendono, con una frase divenuta celebre, che:
L’aereo del tenente colonnello Henry Blake è stato abbattuto sul Mar del Giappone. È precipitato. Non ci sono sopravvissuti.
Era inevitabile per una serie ambientata durante la guerra. Ma la sua audacia, in uno show che nasceva come commedia, ha per sempre cambiato la relazione delle serie tv con il tema della morte.
3) Zen, or the Skill to Catch a Killer (Twin Peaks)
Intenzionalmente imperscrutabile, pieno di una logica che si può definire solo come onirica, ma allo stesso tempo bizzarro, satirico e coinvolgente, Twin Peaks è stato il punto zero della serialità moderna. Ma è nell’episodio 3 della prima stagione che il paradigma tra vecchia e nuova televisione prende corpo.
E lo fa con una sequenza ormai leggendaria di sogni ambientati nella Sala Rossa. Il pavimento in bianco e nero a zig-zag e un uomo, nano, che parla in modo incomprensibile.
Pensare che nel 1990, in un panorama televisivo dominato da prodotti di puro intrattenimento o di nicchia, si riuscisse a guadagnare un successo globale con il surreale, l’onirico e il grottesco sarebbe parso pura follia. Ma con Zen, or the Skill to Catch a Killer, Lynch e Frost dimostrano che quella follia era realizzabile. E ci regalano una delle scene più importanti della storia della televisione.
La sua rilevanza, come sempre in questi casi, non è stata immediatamente recepita. Ma negli anni successivi, la strada aperta da Zen, or the Skill to Catch a Killer e più in generale da Twin Peaks si è manifestata in prodotti come X-Files, I Soprano o Breaking Bad.
4) College (I Soprano)
Prima dell’episodio College, il quinto della prima stagione, I Soprano era una serie eccezionalmente elegante e divertente su un mafioso i cui attacchi di panico lo costringevano a rivolgersi a uno psichiatra. Ma dopo College è diventata la serie che ha dato il via a una nuova epoca del dramma televisivo. In questo episodio nasce l’antieroe.
Sì, è vero, Tony Soprano era un mafioso. E, sì, probabilmente aveva ucciso molte persone, ma con College per la prima volta lo spettacolo ha costretto lo spettatore a convivere e metabolizzare i crimini di Tony. Descrivendoli e mostrandoli direttamente. Mentre accompagna sua figlia adolescente in visita al college, Tony individua un uomo che pensa essere una spia dei federali. Segue l’uomo, confermando la correttezza dei suoi sospetti. E infine lo uccide.
Il creatore David Chase ha detto di aver dovuto combattere in HBO per poter mostrare Tony che uccide qualcuno. La sua tesi, che convinse i vertici del Network e risultò vincente, fu che nessuno avrebbe dato più credito al personaggio se non avesse commesso questo omicidio.
E così, le serie tv imboccarono la lunga e tutt’ora battuta strada degli antieroi.
5) Bealor (Game of Thrones)
Come abbiamo detto poco fa: le serie tv, sulla scia di Abyssinia, Henry di M*A*S*H, hanno consolidato negli anni la capacità di far morire personaggi principali con una crescente maggior frequenza. Dapprima in modo sporadico e poi dagli anni 2000 in modo sistematico. Ma uccidere il protagonista? Il volto sulla locandina della tua serie di punta? L’attore principale del tuo cast?
Game of Thrones poggia le sue basi in modo solido su un romanzo fantasy popolarissimo e quando ha fatto decapitare il povero Ned Stark (Sean Bean) molto del suo pubblico se l’aspettava. Ma non tutto. Proprio la serie HBO ha dato nuova linfa e diffusione con la produzione di Game of Thrones alle opere di Martin. Quindi molti spettatori sono stati colti di sorpresa. E non per l’ultima volta.
Ma c’è comunque una differenza tra leggerlo e vederlo. Baelor ha elevato una serie, già promettente almeno a livello di impressione iniziale, a un prodotto capace di avere un impatto globale e totale. Soprattutto però ha spostato l’asticella del “fin dove è possibile osare” anche per tutto il resto della televisione. Costringendo tutti gli altri a cercare modi ancora più elaborati ed efficaci per tentare di superare il livello di shock causato da questo episodio.