Sognare, si sa, non costa nulla. E quando lo si deve fare conviene sempre farlo in grande. I cataloghi dei servizi streaming sono sterminati ma non sempre riescono a soddisfare la nostra curiosità, i nostri desideri, i nostri bisogni.
Così, travolto da un insano desiderio, ho pensato a sette serie televisive che vorrei tanto vedere ma che forse non vedrò mai. Perché dubito che la Rete o Netflix faranno mai una stagione de Gli occhi del cuore. Eppure, al di là di questa ipotesi strampalata, lo ammetto, sulla quale però aleggia un certo fascino, a chi non è mai capitato di chiedersi: ma perché non hanno ancora fatto una serie su… (inserire qui il vostro desiderio più profondo)? In fin dei conti, diciamolo pure, di monnezza, in televisione, se ne vede a vagonate. Chi, dopo una puntata scadente, non ha esclamato: “ma perché fanno delle cose del genere quando potrebbero fare una serie su… (inserire qui un altro vostro desiderio)?
Io ve ne propongo sette. Mie, personali. Da Gli occhi del cuore a Ipazia, la filosofa del IV secolo, attraverso la fantascienza di un fumetto che ho adorato, mi sono dilettato a immaginare cosa dovrebbero propormi Amazon Prime Video e compagnia per rendermi felice. E voi? Quali serie sognate da una vita ma che forse non vedrete mai?
1) Gli occhi del cuore
Ammettiamolo: Gli occhi del cuore è una di quelle serie che tutti vorremmo vedere. Con, ovviamente, Corinna Negri nei panni di Giulia, Stanis La Rochelle in quelli del dottor Giorgio, Mariano Giusti che interpreta il conte e, chiaramente, la sapiente regia di René Ferretti.
Se avete amato Boris, se lo avete visto e rivisto, non è possibile non vi siate mai posti la domanda fatidica: ma come sarebbe “Gli occhi del cuore“?
De Gli occhi del cuore abbiamo sparsi qua e là informazioni che ci fanno sapere che si tratti di una serie da dieci milioni di spettatori. Mica pizza e fichi! Dieci milioni sono come una puntata di Montalbano ai tempi d’oro. Una partita della Nazionale ai mondiali. La prima serata di Sanremo. Qualcosa, insomma, che rimane negli annali.
Ma de Gli occhi del cuore, in realtà personalmente non conosco molto. So del Conte. Del nonno e dell’anello. Del gemello cattivo Eric e della madre, Marina. E poi del dramma del Burmini, che i separatisti – laici – vogliono liberare dalla dittatura del perfido Isaia Panduri.
Insomma: tanti piccoli, interessanti spezzoni che però non rendono giustizia a quella che potrebbe essere una delle più interessanti fiction mai prodotte in Italia. Gli occhi del cuore, gli occhi del cuore… Userò gli occhi del cuore, per carpire i tuoi segreti, per i capire cosa pensi, nei tuoi primi piani intensi…
2) Giuda
Boris è una fucina di idee. Dipendesse da me il progetto su Machiavelli sarebbe già stato girato e trasmesso. Anche Il giovane Ratzinger. Perché quando una serie è scritta bene lo si capisce anche dai dettagli e Boris ne è piena.
Guardando la quarta stagione, in onda su Disney+, quando René comincia a girare in parallelo la vita di Giuda, dalla sua infanzia, per giustificare il trauma che l’ha portato a tradire Gesù mi sono detto: dopo Gli occhi del cuore questa è una serie che vorrei davvero vedere. Il soggetto è interessante. Di serie e film sulla figura di Cristo ce ne sono davvero molti e il personaggio, laddove non sia protagonista, è altrettanto citato. Si parla spesso degli Apostoli, di Maria, di Maddalena. Ma di Giuda? Dell’uomo che tradendo Gesù fa in modo che tutto si compia?
L’Iscariota è un personaggio scomodo, indubbiamente. Viene addirittura visto come il capostipite dei vampiri. Il suo suicidio, dopo il tradimento, è citato in almeno un paio di film sui non morti. Giuda porta con sé il marchio dell’infamia e deve pagare per l’eternità il suo tradimento, non potrà girare di giorno e si dovrà cibare di sangue avendo una profonda avversione verso i simboli del cristianesimo.
Una serie che affrontasse questo personaggio sarebbe indubbiamente interessante perché porterebbe alla luce un personaggio che la storia condanna senza appello ma che, di fatto, aveva ragione di esistere fin dalla notte dei tempi.
3) Hollywood in War
Avrete sicuramente visto tutti Captain America: il primo vendicatore. Steve Rogers è costretto dall’esercito a girare gli Stati Uniti per raccogliere fondi per finanziare lo sforzo bellico americano. Finché a un certo punto, mentre si trova in tournée sul fronte, quando il suo migliore amico sparisce durante una missione, Captain America si rimbocca le maniche e comincia a combattere l’Hydra non più seguendo un copione ma menando colpi col suo scudo in vibranio.
Bene. Durante le guerre i personaggi dello spettacolo statunitense erano soliti raggiungere il fronte per intrattenere le truppe cercando di alzar loro il morale. Accadde nella Seconda Guerra Mondiale, durante la Guerra di Corea, in Vietnam e, più recentemente, in Iraq e Afghanistan.
Forse però non tutti sanno che molti personaggi famosi, attori e musicisti, tra il 1941 e il 1945, si arruolarono per combattere contro il Nazismo, in Europa, e i giapponesi, nel Pacifico.
Recentemente ho scoperto che James Stewart, uno dei più famosi attori del XX secolo, si arruolò nell’aeronautica e compì venti missioni sulla Germania oltre a finanziare, con altri colleghi attori, diverse scuole di aviazione che servirono come campo di addestramento per i civili interessati a combattere contro i tedeschi.
Così, spulciando per curiosità su internet, ho scoperto che oltre a lui, che chiuse la sua carriera nell’aviazione militare con il grado di Generale di Brigata, anche altri ebbero un ruolo importante durante la II Guerra Mondiale.
David Niven, per esempio, venne incaricato segretamente di trattare la resa della Germania e comandò un gruppo di ricognizione fantasma durante lo sbarco in Normandia.
Una serie antologica sugli attori e le loro imprese al fronte, sul genere di Band of Brothers, potrebbe essere interessante e per gli amanti del genere: un cofanetto in più per la loro collezione.
4) Nathan Never
Tra gli anni Novanta e la prima decade del Duemila ero appassionato di fumetti della Bonelli, la casa editrice milanese che ha pubblicato, tra gli altri, Tex, Dylan Dog, Martin Mystère e, appunto, Nathan Never.
Le prime pubblicità del fumetto fantascientifico della casa editrice comparvero sulle copertine degli altri fumetti creando un hype non indifferente. Una singola vignetta con un’immagine difficile da decifrare non tanto per il soggetto quanto per l’argomento. Sotto una domanda legata all’immagine e poi la risposta: Nathan Never lo sa. Cos’è che Nathan Never sa e io no?
Giugno del 1991. Il primo Nathan Never è nelle mie mani. E fino all’aprile del 2013 ho comprato la serie mensile, il Nathan Neverone (fumetto formato gigante), Agenzia Alfa, gli speciali estivi, quelli invernali. Tutto quello che veniva pubblicato dalla Bonelli riguardante l’agente speciale e le sue avventure.
E da quel lontano giugno ho sempre desiderato vedere una serie televisiva che raccontasse quelle immagini, quelle storie. Il personaggio, a mio avviso, ha un potenziale enorme per essere protagonista di un’eccellente serie. La sua storia personale è drammatica, appassionante. Nathan Never, creato da Michele Medda, Antonio Serra e Bepi Vigna, è un personaggio realistico, un eroe con macchie e paure che è stato tradito e ha tradito, che ha visto cambiare il suo mondo e ha perso amici e famigliari. La sua è un’epopea che non si limita a raccontare la fantascienza ma affronta argomenti attuali come l’integrazione, la violenza, l’amore e l’odio, senza falsi moralismo né cercando mai di colpire il lettore con faciloneria.
I mutanti, i droidi, le nuove religioni, la guerra con le stazioni orbitanti, i territori inesplorati ma anche i viaggi nello spazio, la fantascienza di Nathan Never spazia dal classico al cyberpunk, non tralasciando mai di mettere in gioco la sua umanità.
Se dovessi mai leggere che è in cantiere una serie sul mio fumetto preferito credo che proverei di nuovo la stessa, identica, attesa spasmodica provata quel lontano 1991 in attesa di leggere il mio primo Nathan Never.
5) Gli Occhi del Cuore e non solo: Ipazia
La matematica, astronoma e filosofa della Grecia del IV secolo dopo Cristo è stata protagonista, nel 2009, di una pellicola diretta da Alejandro Amenábar e interpretata da Rachel Weisz: Agora. Il film non è male, ha vinto anche 7 premi Goya e un Nastro d’Argento, ma come spesso accade quando si deve affrontare la vita di un personaggio storico un film non è sufficiente per raccontare tutta quanta la storia.
Ipazia è una figura davvero notevole e una serie sulla sua vita la vedrei davvero volentieri perché, come dicono gli storici dell’epoca “ella non si accontentò del sapere che viene dalle scienze matematiche ma non senza altezza d’animo si dedicò anche alle altre scienze filosofiche“.
La vita di Ipazia racconta soprattutto la storia di una donna libera, dalla mente aperta, capace di riflessioni che andavano oltre quelle dell’epoca. Una donna che non rinnegò mai se stessa né tanto meno le sue idee e che rifiutò di appartenere a una corrente di pensiero per comodità o per fare carriera.
Oltre a teorizzare l’idea che la Terra non fosse al centro dell’universo fu inventrice di strumenti con i quali era possibile misurare la posizione delle stelle e il peso specifico dei liquidi. Fu insegnante e divulgatrice scientifica, una specie di Piero Angela dell’epoca, tanto da essere tra i più rinomati insegnanti della scuola di Alessandria.
Questa fama e la sua totale indipendenza nei confronti del Cristianesimo, la videro invischiata in giochi di potere più grandi di lei che ne decretarono la morte per mano di un gruppo di fanatici religiosi, avversi a quelli che erano considerati pagani.
Una serie di elementi che andrebbero bene sviluppati per una serie di indubbio successo.
6) Lux Lucet in Tenebris
È il motto della Chiesa Valdese. Se avete compilato la vostra dichiarazione dei redditi è possibile che vi sia capitato di dover decidere a chi donare l’otto per mille. Tra le varie opzioni, molto gettonata negli ultimi anni, c’è quella della Chiesa Valdese. Molti si fidano dei valdesi anche se non ne conoscono la storia e una serie incentrata su di loro sarebbe interessante da guardare perché colmerebbe questa lacuna.
La storia dei valdesi è una storia di fede e di libertà che ha il suo inizio verso la fine del 1100 con Valdo, un mercante di Lione che, anticipando San Francesco d’Assisi, decise di spogliarsi dei suoi averi per avvicinarsi di più alle Sacre Scritture, facendole tradurre in lingua corrente.
Nel corso dei secoli questa idea venne considerata pericolosa dalla Chiesa Cattolica Romana che si mise a perseguitarli soprattutto in Italia, nelle valli piemontesi ai confini con la Francia.
Dal 1655 i valdesi vennero metodicamente decimati obbligando poche centinaia di persone a riversarsi nella Svizzera francese. Da lì, nel 1689 rientrarono in Italia compiendo quello che viene definito il glorioso rimpatrio e riconquistando, con azioni d’arme, le Valli Valdesi che divennero un vero e proprio ghetto. Considerati meno di animali e continuamente vessati, i valdesi, dopo secoli di oppressione, ottennero i diritti civili nel 1848 per volere di Carlo Alberto.
Al di là dei fatti storici, delle battaglie per difendersi dallo sterminio, la questione valdese era anche una questione politica che riguardava le principali corti europee di religione protestante che cercarono, attraverso un continuo lavoro diplomatico, di proteggerli. Dopo il glorioso rimpatrio, eminenti uomini politici stranieri fecero arrivare nelle valli valdesi ingenti quantità di denaro affinché venissero costruite scuole, ospedali e strutture per aiutarli a sopravvivere.
Insomma, una storia di fede e di libertà, di coraggio e di abnegazione contro un oscuro oppressore che soltanto nel 2015 ha chiesto ufficialmente scusa per i massacri perpetrati.
7) Sogni infrangibili
Questa che vedrei volentieri è una serie che racconta la storia di un quattordicenne con un brillante futuro pianistico che scopre di avere un tumore a un’anca. I medici gli dicono che ha pochi mesi di vita e sconsigliano di curarlo ma i genitori lasciano che sia lui a decidere cosa fare. E così lui decide di cominciare la chemioterapia che dà i suoi frutti tanto che gli viene prospettata l’ipotesi di un’operazione per rimuovere il tumore.
Purtroppo la massa è ancora troppo grande e dovrebbero amputargli la gamba dall’anca in giù. Così, cercando qualcosa in altri ospedali negli Stati Uniti e in Francia il ragazzino incontra un chirurgo, a Parigi, che lo può operare salvandogli la gamba.
Dopo una lunga rieducazione, quando finalmente può tornare a sedersi, il ragazzino chiede che gli venga affittato un pianoforte e ricomincia a studiare. Dopo un anno circa torna a casa e riprende una vita normale fatta di conservatorio e liceo. Ma al termine di un esame in conservatorio prova una fitta a una spalla: è una metastasi e deve ricominciare la trafila.
Torna a Parigi e riprende la chemioterapia. Poi gli propongono una cura nella camera sterile con l’autotrapianto delle cellule staminali, una cura al momento sperimentale ma che potrebbe dare ottimi frutti. Lui accetta e passa una mese dentro una stanza, praticamente da solo. Lui e il suo pianoforte, quello digitale, che continua a suonare per sé e per tutto il servizio che lo ascolta attraverso l’interfono.
Dopo qualche mese lo operano al braccio. Gli viene tolto tutto l’omero, gran parte della muscolatura della spalla. Ma lui ha accettato di farsi operare perché il chirurgo gli ha promesso che sarebbe tornato a suonare il pianoforte. E dopo una lunga e faticosa riabilitazione torna a suonare, in pubblico, durante un saggio in conservatorio.
A distanza di cinque anni dalla prima diagnosi ha un’idea: vuole fare un concerto per ringraziare tutti quelli che lo hanno aiutato a guarire e raccogliere fondi per i genitori dei bambini ammalati. I suoi amici, quelli che lui ha conosciuto in Francia, si adoperano per aiutarlo a realizzare questo sogno che finalmente si avvera. Nessuno, in realtà, lo ha mai sentito suonare. E lui, con un braccio praticamente fuori uso, incanta la platea tanto che il chirurgo che lo ha operato, a fine concerto, lo abbraccia piangendo e accarezzandogli il braccio operato dice: “con tutto quello che ha subito questo povero braccio il tuo modo di suonare è un vero miracolo”.
Da lì la sua carriera spicca il volo e il ragazzino, ormai maggiorenne, gira l’Europa per suonare per le associazioni dei bambini malati di tumore a testimonianza che non solo si può vincere la malattia ma anche realizzare i propri sogni.
Forse un po’ melodrammatica, d’accordo. Ma è tratta da una storia vera e potrebbe continuare a far sperare tanti altri bambini, e genitori, come lui.