Vai al contenuto
Home » Serie TV

«It’s not TV, it’s HBO!»: purtroppo, però, non è più quella di un tempo

house of the dragon, una delle migliori produzioni attuali di HBO
Ma prima di continuare con la lettura abbiamo entusiasmanti novità da condividere con te. È arrivato Hall of Series Discover, l'abbonamento che ti permetterà di accedere a moltissimi contenuti esclusivi, direttamente sulla tua email. Avrai anche accesso a un numero WhatsApp dedicato per parlare con il team di Hall of Series, disponibile 7 giorni su 7 per consigli e indicazioni sulle tue visioni.

“It’s not TV, it’s HBO!”, dicevano un tempo. Uno slogan epocale che ha scritto un capitolo fondamentale della televisione moderna. Quella della golden age, segnata fortemente dall’impulso ultra-qualitativo di HBO. Un impulso che ne è stato in qualche modo l’apripista, grazie alla rivoluzione de I Soprano e agli straordinari esempi di serie tv del calibro di Oz, Sex and the City e The Wire. Se n’è parlato di recente in un articolo dedicato alle serie tv spartiacque nella storia televisiva, ma la HBO ha bisogno di poche presentazioni: ha stravolto le linee guida della tv moderna cercando costantemente di essere altro, riuscendoci fino in fondo.

Avevi voglia di guardare una serie tv dal gusto cinematografico d’autore? Per anni, la risposta è sempre stata la stessa: HBO.

Non era tv, d’altronde: era qualcosa di completamente diverso. Più ricca, più coraggiosa, più bella nella sua globalità. Il cavo ha così conquistato una posizione importante sul mercato, mentre i network più tradizionali sono stati costretti a reinventarsi per seguirne in qualche modo le tracce senza perdere la propria identità.

Insomma, non siamo qui per elogiare il percorso di un network che ha scritto un capitolo fondamentale del nostro rapporto con la tv, riplasmandola sotto una nuova forma. Oggi parliamo di quello che la HBO è nell’epoca contemporanea perché no, non è più quella di tempo. Negli ultimi tempi, infatti, sta vivendo una fase di transizione che la sta portando a perdere la sua unicità, a favore di altri network che hanno guadagnato una maggiore centralità a proposito della tv d’autore. Si parla spesso, in tal senso, del percorso editoriale di Apple Tv+, mentre di recente abbiamo sottolineato la conquista dello scettro da parte della “silenziosa” FX, capace di dominare l’ultima edizione con i trionfi di Shōgun, The Bear e numerose altre produzioni di livello.

Cosa sta succedendo? Perché la HBO non è più la HBO? Affrontiamo brevemente la questione, attraverso tre tappe che hanno segnato il suo cammino negli ultimi anni: il cambio di proprietà, la cancellazione di Westworld e i risultati deludenti agli ultimi Emmy.

Una nuova HBO: la fusione tra WarnerMedia e Discovery

Immagine di The Last of Us, una delle serie tv in arrivo più importanti
Credits: HBO

Il passaggio chiave della trasformazione di HBO risale al 2022, quando WarnerMedia e Discovery si sono fuse e il gruppo è stato affidato alla guida di David Zaslav, CEO di Warner Bros. Discovery. Il dirigente ha garantito un passaggio razionale dal cavo allo streaming attraverso la piattaforma Max (in arrivo anche in Italia) e un’apertura alla cessione di spazi pubblicitari ingenti, anche connessi ai titoli più importanti. Un tempo lo slogan era “No ads, just content, ma la concorrenza delle piattaforme di streaming costringe all’esplorazione di nuove forme di entrata, riflesse anche nella nuova strategia editoriale.

La sua visione si può riassumere efficacemente con una frase tratta da un intervento arrivato a pochi mesi dal suo insediamento: “L’esperimento grandioso di creare qualcosa a qualsiasi costo è finito”. Tradotto: così come vale per tutti i network (streaming ovviamente incluso), il tempo dei rubinetti spalancati si è concluso. Ogni investimento è più mirato rispetto a qualche anno fa, e le strategie più audaci non sarebbero più perseguibili. Meno esperimenti, allora, più franchise: l’ultra-qualità, preservata da titoli specifici, deve essere sempre supportata da basi solide, al di là della fattura del prodotto ottenibile.

Per intenderci: non è più possibile permettersi di essere mera avanguardia, se non all’interno di progetti strutturati che garantiscono un certo ritorno di pubblico e di conseguenti introiti.

Nessun salto nel buio, con un maggiore confinamento della tv più autoriale in spazi più specifici. Non azzerati, sia chiaro: il successo straordinario della recente Succession è sotto gli occhi di tutti, e non è l’unico esempio possibile. È evidente, però, che siano spazi diversi rispetto a un tempo. Lo chiarisce lo stesso Zaslav nel corso dello stesso intervento: “Di recente mi è stato chiesto se pensassi che l’età dell’oro dei contenuti fosse finita. Ho detto assolutamente di no. Non c’è niente di più importante dei contenuti, le persone consumano più contenuti di quanto abbiano mai fatto. Ma devono essere ottimi contenuti. Non è più una questione di quanti siano“.

E allora, spazio a House of the Dragon e agli spin-off derivati dal solido successo di Game of Thrones, serie tv che chissà se avrebbe mai visto la luce oggi con premesse del genere. Ma anche a The Last of Us, prodotto d’autore che trae forti benefici dal traino importantissimo di una delle opere videoludiche più impattanti dell’ultimo ventennio. E ancora: Harry Potter, pronta a tornare con un formato seriale, e il consolidamento di titoli che hanno caratterizzato la serialità contemporanea negli scorsi anni. HBO concentra gli investimenti più ingenti su produzioni che sarebbero volgarmente assimilabili a un’idea di “usato sicuro”. Un usato di qualità, con meno spazio per le rivoluzioni televisive. D’altro canto, da Euphoria a The White Lotus, passando per True Detective, Hacks e i titoli principi del network, non mancano gli esempi che potrebbero equilibrare le considerazioni più catastrofistiche.

Ripetiamo: è una visione globale che non preclude la possibilità di destinare delle risorse importanti su titoli più sperimentali, come è accaduto per esempio con la recente (e fallimentare) The Franchise.

Segna, però, un cambio d’orizzonte per una piattaforma che aveva costruito le sue fortune su presupposti differenti. Lo stesso si può dire a proposito di un progressivo abbandono del modello della peak tv, basato su una distribuzione quantitativa più massiva: l’obiettivo è fare meno, ma farlo nel miglior modo possibile attraverso il lancio di serie evento che facciano da traino per la HBO del domani.

Un’altra conseguenza è la strategia adottata per la cancellazione delle serie tv che non raggiungono i risultati auspicati. Se da una parte si sta riducendo la soglia di serie tv cancellate nella sua globalità, dall’altra sono aumentate quelle tagliate dopo una o due stagioni. Per avere uno spunto in tal senso, è sufficiente dare un’occhiata alla lista del 2024, da noi analizzata in un articolo in cui avevamo cercato di comprendere quali piattaforme tendessero maggiormente ai tagli. Il punto, però, non è individuabile nei dati assoluti ma nel rapporto tra le distribuzioni e le cancellazioni, oltre che nei criteri adottati per decretare la sopravvivenza o la conclusione di serie tv spesso apprezzate dalla critica ma non supportate da un pubblico sufficiente. Anche in questo senso, ci supporta il già citato report di Zaslav nel 2022: “Non abbiamo eliminato nessuno show che ci stesse aiutando”.

Una nuova HBO: la cancellazione di Westworld

Un'immagine del pilot di Westworld, tra le migliori prime puntate delle serie tv
Credits: HBO

Le vittime illustri, tuttavia, non mancano. E in un caso specifico, sintetizzano idealmente la transizione della HBO verso una nuova epoca. Stiamo parlando di una delle cancellazioni televisive più dolorose degli ultimi anni: Westworld. Dopo una prima stagione nella quale aveva incantato il mondo con un’impalcatura narrativa ed espressiva che era sembrato essere il prologo ideale per una serie tv che avrebbe seguito la falsariga del migliori titoli del network, l’ambiziosissimo progetto di Lisa Joy e Jonathan Nolan si è arenato, fino ad arrivare a una cancellazione che ci ha privato del suo finale.

Mentre nella seconda stagione Westworld si era persa in un racconto suggestivo e qualitativamente eccelso, incapace tuttavia di intercettare le esigenze del grande pubblico (a fronte di costi con pochi eguali nella storia del network), la terza aveva cercato di recuperare lo spazio perduto con uno snaturamento del racconto che rappresentò un compromesso inefficace per tutti. La quarta stagione ritrovò gli equilibri perfetti per combinare le esigenze economiche con quelle creativo-artistiche, ma ormai era troppo tardi: il pubblico era ormai perduto una volta per tutte. Conseguenza? Una cancellazione che segna un’epoca.

Si potrebbero citare in tal senso altre cancellazioni altisonanti del passato (Deadwood, Rome, Carnivàle), ma si inserivano in contesti diversi e con specificità d’altro tipo. Il fallimento di Westworld, una serie tv che ha portato avanti la tradizione ultra-qualitativa della piattaforma, riflette invece le esigenze mutate della HBO. La ricerca dell’autorialità non è più imprescindibile, se non si combina con un successo popolare all’altezza degli investimenti più importanti.

Un tempo, le priorità erano altre. Citiamo, per esempio, una delle migliori serie tv mai realizzate dalla piattaforma: Boardwalk Empire.

In onda dal 2010 al 2014, è arrivata al termine del suo percorso con un trionfo da parte della critica che va in controtendenza rispetto ai dati d’ascolto registrati, soprattutto nelle ultime stagioni. Pur avendo il massimo supporto del network con budget mastodontici, chiuse la sua avventura televisiva con una media di 2.3 milioni di spettatori, in linea con le medie registrate dalla terza stagione in poi. Non pochi, ma manco paragonabili ai 8-11 milioni di spettatori per episodio registrati da I Soprano nel 2006 o ai 10-12 milioni di spettatori live raccolti da Game of Thrones nelle ultime stagioni, andati oltre i 30 con lo streaming. Il paragone non regge: pur avendo vinto la bellezza di 20 Emmy – meritatissimi – nel corso delle sue cinque stagioni, oggi Boardwalk Empire avrebbe rischiato di fare la stessa fine di Westworld. Per fortuna, arrivo con alcuni anni d’anticipo.

La “delusione” agli ultimi Emmy

Una delle migliori serie tv FX: Shogun
Credits: FX

Si arriva così all’ultimo punto: la “delusione” agli ultimi Emmy, spesso e volentieri dominati da HBO. Una delusione relativa, rispetto al numero di serie tv candidabili e alle proiezioni della vigilia, ma comunque significativa nell’evidenziare la fase di transizione che sta attualmente vivendo. Nell’ultima edizione, infatti, HBO/Max ha ottenuto un totale di 14 premi, di cui 6 Primetime Emmy e 8 Creative Arts Emmy: è il dato più basso negli ultimi 25 anni. Non regge il confronto col già citato FX, capace di portare a casa la bellezza di 36 Emmy in un’unica edizione. La sola Shōgun, vincitrice di 18 Emmy (un record), ha ottenuto più premi della storica emittente via cavo. Non è solo un caso: se da un lato l’annata ha sfumature episodiche, dall’altra certifica la bontà di un progetto editoriale con una visione chiara e coerente. La sfida, insomma, è aperta.

La controtendenza rispetto agli anni precedenti è evidente, anche se è in parte giustificata dalla concorrenza accresciuta, bilanciata da un trend ancora in via di definizione e legata ai cicli fisiologici delle serie tv in onda. Solo un anno prima, trascinata dall’ultima stagione di Succession, erano arrivati 31 Emmy. L’anno di maggiore successo fu invece il 2019, spinto dall’ultima stagione di Game of Thrones e da Chernobyl al punto da portarla in vetta con 34 statuette.

Insomma, i numeri rappresentano un segnale da tenere in considerazione, ma non certificano un declino. HBO sta cambiando profondamente, scommette sull’autorialità con presupposti diversi e ha trovato per strada dei competitor sempre più agguerriti. La sua è una storia in ridefinizione.

Sarebbe sbagliato sbilanciarsi ora in critiche sulla linea adottata dal 2022 in poi. La nuova via della HBO non è necessariamente un male e continua a garantire un buon equilibrio tra qualità e resa. Oltretutto, è altrettanto vero che sembra difficile individuare un’alternativa a riguardo. La compressione dei costi e l’ottimizzazione degli investimenti sono chiavi che riguardano tutti, nella tv contemporanea. Prime Video, per esempio, sta perseguendo una linea molto simile con poche serie tv e spesso ad altissimo budget, mentre Disney+ ha ridotto notevolmente il numero di serie tv prodotte. Netflix, invece, sta scommettendo tutto su una linea più generalista.

Solo i prossimi anni certificheranno la bontà del nuovo progetto. L’abbandono della peak tv, strada maestra che ha portato in alto FX, è una chiave di volta, così come la concentrazione di risorse su un’autorialità più sostenibile e l’internazionalizzazione del brand. HBO continuerà a puntare sulle serie d’alto profilo e continuerà a essere un riferimento importante per la tv mondiale, ma è evidente: il tempo delle grandi scommesse visionarie e dei laboratori sperimentali più costosi è finito. Questo è il momento delle certezze, nel bene e nel male. Lo capiamo, anche se è inevitabile assistere all’evoluzione con una certa malinconia.

“It’s not TV, it’s HBO!”, dicevano. In tempi di magra, però, una tv diversa non solo non è possibile, ma non è neanche augurabile.

Antonio Casu