Purtroppo nel mondo delle serie tv non tutte le ciambelle escono con il buco. E anche quelle che partono bene, rischiano sempre di perdersi nei labirinti oscuri del prolisso. Le lunghe agonie, i finali che non arrivano mai, sono uno dei drammi in cui può incappare una produzione per il piccolo schermo. I motivi? Molteplici. Pensiamo a una serie tv come House of Cards. Se si fosse conclusa nel momento opportuno non avrebbe dovuto inventarsi una stagione senza Kevin Spacey e tutti quegli escamotage per non farlo apparire in scena. In questo articolo vi vogliamo elencare 8 produzioni che si sono concluse dopo una lunga, lenta e dolorosa (soprattutto per i fan) agonia. Preparatevi a soffrire insieme a noi, stiamo vicini.
1) 13 Reasons Why
Thirteen Reasons Why, o come la conosciamo noi nel bel paese Tredici, è un prodotto che avrebbe potuto fare storia, se solo si fosse chiusa dopo il primo atto. La prima stagione, che ci piaccia o no, offriva una dinamica narrativa nuova e molto interessante ed era un eccellente lavoro di adattamento del romanzo di Jay Ascher. Intendiamoci, non che questa serie sia un capolavoro, l’influenza di ottimi predecessori come Skins o Veronica Mars hanno avuto il loro peso nella riuscita di quella prima stagione così buona e distrutta da un seguito non all’altezza. Temi importantissimi venivano toccati e affrontati in maniera delicata e incisiva: insomma, 13 in quel momento era una serie non solo interessante, ma anche utile.
Nella prima stagione, gli sceneggiatori hanno creato un incastro e una narrazione coerente e funzionanti, perdendosi però in un finale che voleva a tutti i costi aprire le porte a una seconda stagione non necessaria. Ed è qui che veniamo al punto. Non era necessario continuare Tredici, perché tutto ciò che segue gli eventi della prima stagione è perfettamente immaginabile senza necessità di essere mostrato. La storia aveva esaurito tutte le argomentazioni con la prima stagione: il resto che abbiamo visto è solo un monologo monotematico, prolisso e dalla scrittura rivedibile.
2) Once Upon a Time
La prima stagione di Once Upon a Time era coinvolgente, ben studiata e strutturata, con episodi verticali che ci presentavano via via tutti gli abitanti di Storybrooke e della Foresta Incantata e una macrostoria che si componeva puntata dopo puntata. Il trend positivo, tra alti e bassi, è proseguito per un paio d’anni, in cui lo sviluppo della storia e dei personaggi ha raggiunto il suo culmine. Il finale della terza stagione, salvo il cliffangher conclusivo, sarebbe potuto essere il modo perfetto di chiudere le vicende dei protagonisti e di dare loro il “vissero per sempre felici e contenti” che ci aspettavamo da una serie come Once Upon A Time.
Purtroppo, però, con le superflue stagioni successive, che non hanno raggiunto più i livelli delle prime, la serie di ABC ha perso mordente, risultando spesso fin troppo ripetitiva e infine stucchevole. Per sette lunghe stagioni, la serie si è trascinata con una certa stanchezza di fondo, rialzandosi solo quando era ormai troppo tardi. La settima stagione, con un cast tutto nuovo, ha segnato un risveglio dello show, che è come rinato dalle sue stesse ceneri. Troppo tardi.
3) The Last Man on Earth
In onda su FOX, basata su un’idea di Phil Lord e Christopher Miller poi rielaborata da Will Forte, The Last Man on Earth ha più o meno lo stesso concept di tutti i classici prodotti apocalittici: un virus ha spazzato via quasi tutta la razza umana, lasciandosi dietro strade deserte e case disabitate. All’inizio della serie, il sopravvissuto sembra essere uno solo: Phil Miller. Qual è la differenza sostanziale rispetto al passato?
Beh, presto detto: The Last Man on Earth è una comedy, Phil è abbastanza idiota, e i pochi personaggi che arriveranno sono più idioti di lui. La prima stagione di The Last Man on Earth è stata capace di stregare anche i più scettici riguardo le comedy, perché ha creato un mondo che prima, per certi versi, non esisteva. Il problema è stato, come per le altre serie tv già citate, che si è protratta troppo a lungo, fino a giungere alla cancellazione e a un non finale vero e proprio. Una produzione che aveva espresso delle potenzialità incredibili, ma che si è persa nel tempo.
4) House of Cards
Da una serie apocalittica passiamo a una politica, la più famosa: House of Cards. Siamo sinceri. Nonostante le buone pretese e le buone volontà, l’ultima stagione di House of Cards è un perfetto connubio di luci e ombre. Lascia dietro una scia di spettatori per niente contenti. Unita alla trama che presenta delle vistose falle, dei buchi per niente tappati, di certo l’assenza di Kevin Spacey si dimostra essere un durissimo colpo, tanto da inficiare l’intera sesta stagione di House of Cards.
L’eliminazione fisica di Frank e lo sminuire a più riprese la sua figura, ha fomentato l’idea che l’assenza di Spacey fosse l’anello debole dell’intera sesta stagione. Frank Underwood, d’altronde, è ovunque. È presente in ogni dialogo. Il suo nome ritorna quasi in ogni scena. Molti sono i riferimenti che fanno il suo nome un oggetto di discussione. E tutto questo è il minimo che si è potuto fare. Scardinare l’intera trama, non solo è risultato essere un tentativo del tutto vano, ma ha compromesso irrimediabilmente tutta House of Cards. Una serie tv che doveva chiudersi molto prima.
5) Westworld
Da House of Cards passiamo a un’altra serie tv cult: Westworld. La produzione ha sempre attirato grandi critiche e grandi elogi, perfetto esempio della sua natura incredibilmente incostante. A una prima prima stagione davvero eccellente, attraverso cui Lisa Joy e Jonathan Nolan avevano rielaborato il film omonimo del 1973 impostando, tra le altre cose, un meccanismo a linee temporali alternate, era seguita la seconda strutturalmente simile eppure fin troppo bizantina; soprattutto, priva di un orizzonte narrativo sufficientemente potente e in grado di tenere al lazo le varie storie.
La terza riesce nell’arduo compito di fare peggio della seconda. Forse nel tentativo di rilanciare e contemporaneamente espandere il discorso, gli autori avevano deciso di abbandonare i parchi a tema per abbracciare un’estetica deliberatamente cyberpunk, aggiornando di conseguenza i vari riferimenti e pure le citazioni videogiocose riccamente presenti fin dall’inizio. Fallendo miseramente. Con la quarta le cose sono andate meglio del previsto, ma Westworld rimarrà per sempre uno dei più grandi what if nella storia del piccolo schermo.
6) Black Monday
Dopo House of Cards, torniamo a parlare di politica e soprattutto di economia. La nostra sesta proposta racconta gli eventi che conducono al famoso Black Monday, ovvero alla giornata del 19 ottobre 1987 in cui i mercati azionari vissero una crisi senza precedenti nella storia di Wall Street. Il mix di comicità e dramma, elementi presenti fin dai primi minuti di Black Monday, non sempre ottiene i risultati sperati: la serie può però contare su un cast di alto livello in grado di far superare alla produzione dei passaggi a vuoto.
Il problema però si acuisce nel momento in cui è stato deciso di allungare il brodo della serie tv. Il risultato è purtroppo pessimo e Black Monday si trasforma in una serie che fa ridere (abbastanza) e riflettere (poco) e che fonda quasi tutto sulla mimica degli eccessi e la buona intesa del cast di attori. Peccato per quella tendenza degli sceneggiatori al twist improvviso, necessario per trascinare avanti la produzione, e al colpo di scena immediato che, spesso, strania e colpisce in negativo gli spettatori che avevano amato il suo debutto.
7) Quantico
La nostra penultima serie tv è Quantico. La produzione è stata presentata alla sua uscita come una delle più promettenti serie degli ultimi anni. Effettivamente sia il pilot che la prima stagione promettevano davvero bene, con una sceneggiatura avvincente che fondeva eventi presenti – da cui la trama principale – a rimandi passati grazie all’abile uso di continui flashback che di volta in volta spiegavano le dinamiche intercorse tra i vari personaggi ed i loro rapporti all’interno di tutta la storia con un buon mix tra genere romantico e spy.
Purtroppo come spesso accade nelle produzioni di oltreoceano, però, il voler mercificare ad ogni costo i buoni prodotti seriali, sul lungo periodo non paga quasi mai a meno che alla base non ci sia effettivamente una sceneggiatura capace di reggere per tanti capitoli. La terza stagione pare essere stata creata solo per spremere le ultime energie da un prodotto che di fatto non aveva più nulla da dire, un grandissimo peccato.
8) Misfits
Misfits è stata capace di prendere e sconvolgere tutti i canoni dei generi seriali e di riutilizzarli a proprio piacimento, creando un prodotto totalmente nuovo e, soprattutto, anarchico. Dopo tanti anni l’anarchia si è trasformata in caos e, dopo altrettanti avvicendamenti nel gruppo dei protagonisti, la serie si è trasformata in una tristissima parodia di se stessa.
Dopo la conclusione dell’ultima stagione, tutti gli addetti ai lavori – e soprattutto il pubblico – hanno certificato che il piano di Misfits è fallito, e quella voglia di rovesciare l’ordine naturale dei supereroi è diventato una serie stanca ed eccessivamente prolissa nel raccontare eventi pronti a sconvolgere lo spettatore, senza prendersi però mai l’impegno di dare una vera profondità o orizzontalità alla serie. Raccontando, dopo una prima stagione incredibile, una seconda ottima e una terza comunque buona, una sequenza di irritanti sketch fine a se stessi nelle ultime due, solo per commercializzare e portare più avanti possibile la produzione. Un gran peccato.