Vai al contenuto
Home » Serie TV

Springfitaly: quando la satira americana de I Simpson è esportabile anche nello Stivale

Ma prima di continuare con la lettura abbiamo entusiasmanti novità da condividere con te. A breve sarà disponibile Hall of Series Plus, il nostro servizio in abbonamento che ti permetterà di accedere a moltissimi contenuti esclusivi e in anteprima.

Inserisci il tuo indirizzo email e clicca su ‘Avvisami’ per essere notificato quando Plus sarà disponibile.

* campo obbligatorio

THE STORY: Theee Siiiiimpsoooooon nananananananananana!!! Avete appena pranzato – o lo state ancora facendo – dipende un po’ dalla zona della Penisola nella quale vivete (e se siete uno studente fuori sede: in quel caso, non avete certamente ancora pranzato, ma provvederete tra poco a prepararvi una succulentissima tazza di latte e cereali stantii), e a farvi compagnia ci sono sempre loro: I Simpson. Ormai è quasi parte della tradizione: panettone a Natale, colomba a Pasqua, I Simpson a pranzo. Magari fate anche parte di quella folta schiera che, I Simpson, se li è conquistati guerreggiando con la mamma che vi diceva di non guardarli, che sono “diseducativi”. Parzialmente, poteva anche avere ragione la vostra vecchia, specie se eravate in quella fascia d’età nella quale lo spirito critico non si è ancora sviluppato (se siete tra i fortunati che lo possiedono, uno spirito critico!).

Sapete cosa vi dico? Avete fatto bene a lottare: probabilmente penserete di guardare una cosuccia da niente e non vi rendete conto che invece siete tra i milioni (miliardi?) di spettatori della più famosa situation comedy animata della storia. Partoriti dalla mente di quel pazzo di un fumettista che è Matt Groening, sul finire degli anni ’80, i nostri amichetti gialli sono stati definiti dal TIME (mica dal giornaletto della parrocchia) «La miglior serie televisiva del secolo», ma non è finita qui. Chi si fa una passeggiatina lungo la Hollywood Walk of Fame a un certo punto si troverà sotto i piedi la stella dedicata a loro che non sono niente di meno delle altre Star: ottavi nella classifica, stilata da TV Guide, delle migliori serie tv. L’indizio più indicativo della pregnanza culturale e dell’impatto sociale della serie è linguistico (e la lingua scritta oppone molta più resistenza al cambiamento che non quella parlata): D’oh!”, l’esclamazione per eccellenza di Homer J. Simpson, è entrata a far parte dell’ Oxford English Dictionary (se non mi credete, andate a cercarvela!).

È palese che l’intento della serie ambientata a Springfield sia quello di satireggiare sugli usi, i costumi e le ipocrisie dei nostri fratelli americani, ma è almeno dalla Guerra Fredda e il suo sistema bipolare (la NATO, il Patto Atlantico e quelle robe lì), che l’America è la nostra madre patria fuor di patria.

E da allora importiamo il pensiero americano (che in alcuni casi non è proprio una mossa da volponi, data la cultura che abbiamo alle spalle dalla quale dovremmo attingere), i costumi americani, gli slang americani, il cibo americano (altra mossa da volponi!). Quindi poi, gira che ti rigira, ci tocca importare pure la satira che a quella cultura si riferisce. Benone, perché è un capolavoro. Malone, perché la satira la si fa quando le cose non vanno proprio al massimo. Quindi, proviamoci. Raccontiamoci un po’ dei Simpson e scopriamo quanto di noi c’è in quei personaggi e quelle storie che ci fanno tanto ridere nella loro assurdità veritiera. (Che poi alla fine, forse, si scoprirà, che le uniche cose che ci distinguono da loro sono: il colore della pelle, il numero delle dita e il fatto che una cosa è essere assurdi ma di carta, un’altra è esserlo in carne ed ossa).

LA DOVEROSA PREMESSA- Si vocifera che ogni riferimento a fatti o persone realmente accaduti sia puramente casuale; se così non fosse, ci auguriamo abbiate la giusta ironia e la capacità di trarre qualche insegnamento dalle risate. Vi consigliamo inoltre di verificare vi sia in casa vostra una scopa di saggina, non si sa mai che qualcuno decidesse di sfruttare la vostra coda di paglia per pulire il pavimento.

JOE QUIMBY: O DI QUEL BEL MESTIERE CHE è IL PERDIGIORNO, OPS, IL POLITICO: Cominciamo con un parallelismo palese, palese quello tra il sindaco Diamond Joe Quimby (al secolo, Joseph Fitzpatrick Fitzgerald Fitzhenry “Joe” Quimby) e… ah, lo decidete voi chi. Per la satira americana, a quanto pare, il primo cittadino di Springfield scimmiotta l’ex senatore del Massachusetts Ted Kennedy (fratello di John Fitzgerald e Bob). Ma quando si parla di politici e corruzione, ahinoi, tutto il mondo è paese. Il demagogissimo slogan di Joe è «Diamond Joe Quimby: se tu fossi candidato a sindaco, lui voterebbe per te», nessun rischio se usata in un mondo nel quale i cittadini sono più suscettibili alle lusinghe che a notare i paradossi logici.

La vita modello che ci propone? Si intrattiene spesso con malavitosi, tradisce la devota moglie con modelle supersexy con le quali trascorre indimenticabili ore in motel o nella sua villa a Quimby compound, pensa sempre a riempire la propria pancia, a divertirsi, far baldoria. Se vi siete distratti o avete fatto strani collegamenti, stiamo parlando di Quimby. Ah, e poi succede questa cosa: l’unica volta che gli si oppone qualcuno seriamente, riuscendo addirittura a vincere (barando) le elezioni, si tratta di uno che faceva il buffone in TV, quello con quegli strani capelli crespi… Telespalla Bob! Perché? Voi chi avevate capito?

To be continued…a Springfitaly

Elisa Belotti