Quanti pomeriggi trascorsi a smanettare col telecomando in attesa dei nostri show preferiti! Con Italia 1, noi figli della televisione generalista, ci siamo cresciuti. Pane, cartoni e serie tv. Tutti i giorni, dall’ora di pranzo a un attimo prima di fare i compiti. Il doposcuola dei ragazzini di diverse generazioni passava per forza di cose anche per Italia 1. Da Dragon Ball a Holly e Benji, da Gossip Girl a Dawson’s Creek, passando per gli intramontabili Simpson, Futurama, Buffy l’ammazzavampiri, Sabrina vita da strega, Una mamma per amica, Smallville e un’infinità di altri show che ci hanno tenuto compagnia per buona parte della nostra adolescenza. Nel riguardarle oggi, dopo diversi anni, queste serie ci appaiono diverse, segnate da una linea invisibile che prima non sembravamo in grado di vedere. Indossano un abito nuovo, in alcuni casi deludente rispetto ai ricordi che ne conservavamo, in altri casi invece sorprendentemente più brillante di quanto potessimo ricordare. È successo a tutti di imbattersi nella visione di uno show che guardavamo da bambini e restare lì a riflettere, con addosso una sensazione che è un misto tra la nostalgia più dolce e la sorpresa più inattesa. Anche perché ci sono show di cui negli ultimi anni si erano perse completamente le tracce. È il caso di Malcom, tanto per dirne una, approdato solo di recente sulla piattaforma Disney+. Altre serie ce le siamo invece ritrovate lì, stesso canale, stessa fascia oraria.
Se pensiamo a una serie come I Simpson, riusciamo ad associarla a ogni fase della nostra vita.
In quel caso, il processo è graduale, tante sfumature si colgono col tempo, molti aspetti si apprezzano poco alla volta. Ma spesso e volentieri, le serie tv che andavano in onda su Italia 1 quando eravamo bambini ci sbucano davanti all’improvviso e, riguardandole attentamente, ci rendiamo conto di quanto fossero in realtà molto più profonde, ironiche e illuminanti di quanto potessimo anche solo immaginare quando eravamo piccoli. Con questo salto nel passato, volgiamo lo sguardo a quei pomeriggi di qualche annetto fa, trascorsi a fare scorpacciate di televisione, senza comprendere il valore reale di quello che stavamo guardando. Oggi, dopo un bel po’ di tempo, ci rendiamo conto che fare un rewatch degli show che guardavamo da bambini potrebbe essere una sorprendente scoperta.
1) South Park
Il fatto che fosse una serie animata, era senza dubbio un elemento di attrattiva per noi ragazzini. I personaggi di South Park potevano essere pressappoco dei nostri coetanei. Piccoletti, buffi, dispettosi, indisciplinati. Dicevano un sacco di parolacce e parlavano quasi sempre di cose che non potevamo capire. E che non ci facevano ridere poi più di tanto. Questa era una delle ragioni per cui preferivamo i grandi manga del tempo a quegli strani pupazzetti di una città immaginaria del Colorado. Cartoni come I Pokémon o Futurama parlavano di più la nostra lingua, erano plasmati a misura di bambino. E infatti South Park non era affatto una serie animata pensata per i ragazzini, al contrario. La vena satirica che pervade da cima a fondo tutto lo show, le sferzate alla politica americana, la critica sociale e culturale, l’effetto parodico di molte delle sue battute e di molti dei suoi sketch, erano indirizzati a un pubblico che potesse coglierne fino in fondo la portata. Quel pubblico, naturalmente, non contemplava i bambini. Se preferivamo guardare altro, era perché non avremmo mai potuto cogliere il vero spirito di South Park. Cosa che invece avremmo fatto qualche anno dopo, scoprendo all’improvviso che si trattava di una delle serie animate satiriche migliori di sempre.
2) My Name Is Earl
Era il 2006 quando sbarcò in Italia la prima stagione della serie statunitense My Name Is Earl, con Jason Lee come protagonista. Una serie che poi ci ha accompagnato per cinque anni e un totale di novantasei episodi. Crescendo, la nostra percezione delle tematiche trattate nella serie cambiava gradualmente. Earl era un trentenne sfaticato, pigro e indolente. Per tirare a campare, si dedicava a piccoli furti e crimini da fannulloni, finché un bel giorno la sua vita non cambia grazie alla vincita di un biglietto da centomila dollari. Non sono tanto i soldi – che infatti finiscono perduti e lo spediscono in ospedale – quanto piuttosto la scoperta del karma a indirizzarlo verso un nuovo tipo di vita. Earl cambia radicalmente il suo modo di vivere e di rapportarsi col mondo che lo circonda e la serie ne segue la “rinascita” tra episodi esilaranti e sketch divertenti. Circa vent’anni fa, la serie suscitava l’interesse di un pubblico di ragazzini essenzialmente per il tono leggero e per la vita incasinata del protagonista, ma bisognava arrivare alle soglie dei trenta per apprezzarne davvero ogni aspetto. A tredici anni circa, il concetto di fallimento era ancora un’astrazione che non si riusciva ad afferrare del tutto, semplicemente perché a quell’età non si è ancora toccato il fondo e non si avverte la necessità di risalire. Con quasi vent’anni di più sul groppone, l’immedesimazione con Earl e con la sua visione delle cose risulta invece più automatica. Motivo per cui un rewatch sarebbe d’obbligo.
3) I Simpson
Riusciamo ad immaginare anche solo una fase della nostra vita in cui non ci siano stati I Simpson a farci compagnia? La serie animata ambientata a Springfield è un caposaldo della narrazione seriale degli ultimi trent’anni. È arrivata in Italia nel lontano 1991 e da quel momento in poi è stata una tappa irrinunciabile dei nostri momenti di relax post pranzo col televisore acceso. Tre decenni e loro sono sempre lì, gialli come sempre, divertenti come la prima volta. C’è chi ha rivisto la prima e l’ultima puntata una dopo l’altra e ha provato sensazioni molto contrastanti. Un trentennio si fa sentire.
Eppure I Simpson riescono ancora a sorprenderci e a divertirci.
In ogni fase della vita si riesce ad apprezzarne un aspetto: una volta erano le marachelle di Bart e le avventure scolastiche di Lisa, poi sono diventati i bulli con problemi di autostima, poi lo stile di vita di Homer Simpson e così via. L’ironia è stato il grande tratto caratteristico de I Simpson. Si è evoluta, assottigliandosi e subendo di volta in volta le influenze del tempo presente, ma c’è sempre stata. Quel che è cambiato è stato il nostro modo di percepirla e di guardare in generale alla serie. Una serie che grandi o piccoli possono sempre apprezzare. Tre generazioni diverse possono guardare insieme un episodio de I Simpson e restarne soddisfatti per motivi diversi. Dopotutto, per rimanere attrattiva dopo trent’anni, I Simpson qualcosa di speciale deve pur averlo
4) Malcom
Disney+ ha avuto la magnifica idea di includere nel catalogo una serie che era scomparsa dai palinsesti tv da un bel pezzo. Ritrovare Malcom tra i titoli della piattaforma è stata una straordinaria sorpresa e anche l’occasione per rivederne qualche episodio. L’esordio risale al 2004, quattro anni dopo la prima messa in onda negli Stati Uniti. Malcom è poi andata avanti per sette stagioni e ha fatto conoscere anche al pubblico di Italia 1 il talento di Bryan Cranston, che di lì a poco avrebbe interpretato il suo personaggio più iconico. Di Malcom era impossibile non innamorarsi, soprattutto quando si era piccoli. Guardando dei nostri coetanei cacciarsi nei guai sullo schermo, scattava immediatamente un legame di immedesimazione con i protagonisti della serie. Ci sentivamo anche noi parte del contesto, consideravamo Malcom e i suoi fratelli degli amici e vivevamo le dinamiche di quella stramba famiglia. Non pretendevamo poi molto, di Malcom ci bastava anche quello che vedevamo. A guardarla invece a distanza di anni, scopriamo di questa serie degli aspetti che ci erano del tutto sfuggiti la prima volta. Tematiche come la disabilità, il razzismo, la critica sociale, le difficoltà della middle class americana più povera erano elementi che per me rimanevano solo sullo sfondo e che invece ci stavano raccontando uno spaccato di società con una naturalezza che oggi appare strabiliante.
5) Xena – Principessa Guerriera
Ho scoperto di recente che la prima puntata di Xena – Principessa guerriera è andata in onda quando io non avevo ancora compiuto tre anni. Poi gli episodi – oltre centotrenta – sono andati avanti per sei stagioni, arrivando alle soglie del Duemila e consentendomi di guardarne in diretta alcuni spezzoni. Fortunatamente Italia 1 era prodiga di repliche, specie la domenica mattina. Ricordo che noi ragazzine eravamo affascinante dal personaggio di Xena. Finalmente anche noi avevamo la nostra eroina di riferimento. Di quella serie ci piacevano innanzitutto l’azione e il ritmo. La trama l’ho capita bene solo qualche anno dopo, riguardando con curiosità alcuni episodi. C’erano degli aspetti che non avevo mai colto di quel telefilm, ad esempio il modo in cui scelse di trattare il tema dei legami gay. Un bambino non se ne sarebbe neanche reso conto, ma Xena – Principessa guerriera parlava anche di un legame speciale tra le protagoniste, che oltrepassava i confini dell’amicizia. Parliamo di una serie tv degli anni Novanta che era già riuscita a trasmettere dei valori che, qualche decennio fa, faticavano a trovare la strada per arrivare al grande pubblico. Ma questo e altri aspetti, non li ho mai colti quando ammiravo le gesta della principessa guerriera da bambina ignara.
6) Willy, il Principe di Bel-Air
Altra serie tv di cui non avrei potuto apprezzare lo slancio innovativo è Willy, il Principe di Bel-Air. Andava in onda addirittura prima che io nascessi, ma nel corso degli anni Novanta e parte del Duemila capitava spesso di ritrovarla in replica su Italia 1. Willy è un personaggio che salta immediatamente agli occhi di un ragazzino, per i suoi modi, per le sue battute, per il suo stile. Will Smith ci faceva divertire e ci accompagnava nella scoperta di una serie che è poi divenuta cult, ma da adolescenti potevamo coglierne solo il lato comico, quello più frivolo. L’importanza di questo show sta invece anche nell’aver saputo raccontare uno spaccato di società americana portandolo nelle case del pubblico internazionale. Il divario sociale tra afroamericani appariva sullo sfondo di una serie che ha trattato temi ordinari come la famiglia, l’amicizia, il legame genitori-figli, gli scontri generazionali, in una maniera talmente naturale da non lasciarcene neppure accorgere. Guardare Willy, il Principe di Bel-Air a distanza di anni è un’esperienza da fare per cogliere tutte le sfumature di uno show di cui percepivamo solo una minuscola parte quando eravamo ragazzini.
7) Futurama
Accanto a I Simpson, una delle altre serie animate che ci hanno accompagnato per più di un decennio è Futurama. D’altronde, parliamo sempre di quel Matt Groening che ha messo mano a entrambe le produzioni (e pure a Disincanto, che è una serie Netflix niente male, anche non si è ancora capito cosa sia) e che lascia intravedere i suoi tratti distintivi. Futurama inizia con Fry che va a consegnare una pizza in un laboratorio di criogenia applicata e finisce per sbaglio in una capsula che lo congela per mille anni. Il ragazzo si risveglia dopo un millennio e trova il mondo attorno a sé completamente stravolto. Futurama è una di quelle serie animate che tutti hanno visto almeno una volta, per forza. Ma un conto è guardarla da bambini – e restare affascinati dalla trama, dalle particolarità dei personaggi, dai colori, dall’ambientazione -, tutt’altra storia è riguardarla da adulti: c’è qualcosa di straordinariamente intenso in alcuni episodi di Futurama, degli aspetti che uno spettatore bambino non potrà mai comprendere davvero. Lo show, oltre a divertire e rilassare, spinge a fare delle riflessioni sulla vita che oggi, a distanza di qualche anno da quando la guardavamo per la prima volta, mettono addosso un senso di disagio pazzesco. Una malinconia che naturalmente a meno di dieci anni non si poteva percepire.
8) La Tata
La Tata arrivò in Italia nei primi anni Novanta, con le prime stagioni trasmesse su Canale 5 e il resto su Italia 1. Francesca Cacace era la protagonista, una donna che era stata licenziata e aveva bussato alla porta della famiglia Sheffield per chiedere lavoro come bambinaia. Maxwell Sheffield, il padre di famiglia, rimasto da poco vedovo, scelse di tenerla in casa con sé e affidarle la cura dei suoi tre figli. Una sitcom famigliare come tante, leggera e spassosa, che ci capitava di guardare qualche volta su Italia 1 nell’attesa che andassero in onda i nostri telefilm preferiti. Anche in questo caso, il vero valore di una serie come questa non potevamo coglierlo appieno da bambini. La Tata sapeva parlare di emancipazione femminile con leggerezza, facendo ironia su cliché ed etichette. È diventata una serie a suo modo iconica, ma quando mi capitava di guardarla una ventina d’anni fa avevo una prospettiva assolutamente diversa. Integrazione, indipendenza femminile, divario sociale e traumi famigliari facevano parte del grande calderone che La Tata ci serviva ogni volta con un nuovo episodio su Italia 1. Magari oggi la troveremmo noiosa, però riusciremmo a coglierne i tratti innovativi che tra gli anni Novanta e Duemila restavano per noi totalmente oscuri.
9) American Dad!
E veniamo ad un’altra serie animata, pensata per essere compresa più dagli adulti che dai bambini. Il bello delle serie tv d’animazione è che possono essere viste da tutti senza annoiare nessuno, ma di American Dad! devo aver capito probabilmente solo una minuscola percentuale di tutto ciò che lo show voleva comunicare.
Rispetto a I Simpson, Futurama, Dragon Ball e gli altri cartoni della prima fascia pomeridiana, American Dad! era quello che mi piaceva di meno.
Forse proprio perché non ne comprendevo appieno l’ironia e la carica sferzante. Come I Griffin – il creatore è lo stesso – anche i protagonisti di American Dad! sono personaggi privi di profondità, di cui l’autore si serve per raccontare le contraddizioni della middle class americana, con le sue fissazioni, i suoi schemi, le sue dinamiche. La satira politica è presente praticamente in ogni episodio del cartone ed è sempre incisiva e tagliente. American Dad! è un cartone che si adora da adulti, proprio per il suo linguaggio volgare, le sue trovate imbarazzanti, le sue parodie sempre efficaci. Da piccoli però, preferivamo qualcosa come I Pokémon, I Simpson o Holly e Benji.
10) Buffy l’ammazzavampiri
Ed eccoci giunti in fondo alla lista con un’altra serie che è stata amatissima dal pubblico generalista dei primi anni Duemila. Buffy l’ammazzavampiri è stato il primo show a tema “vampiri” che io abbia mai visto, prima di passare a cose un pochetto più moderne come The Vampire Diaries. Però l’argomento mi incuriosiva già a quei tempi, quando ero poco più che bambina. Buffy piaceva alle ragazzine della mia generazione perché aveva una protagonista femminile che sapeva cavarsela in tutte le situazioni. L’azione, gli scontri, il ritmo complessivo della serie erano gli elementi che più di tutto ci portavano a guardare lo show. Ma gli occhi con cui fissavamo le scene di Buffy l’ammazzavampiri erano quelli di chi non poteva coglierne le riflessioni più profonde nascoste dietro una battuta, una morte, una scena anche all’apparenza banale. Ci sono metafore sulla vita e sulla morte in questo show che oggi riescono a sbalordirci, mentre vent’anni fa non potevamo assolutamente cogliere. Buffy l’ho veramente apprezzata solo molto tempo dopo, quando sono riuscita a leggere oltre l’azione e la frenesia della narrazione.