Se parliamo di serie tv all’avanguardia, di sicuro, la nostra mente volerà verso quegli esempi illustri, come Twin Peaks, Lost e a tutti quei fenomeni televisivi che hanno segnato un’epoca, introducendo dei linguaggi narrativi inediti e dirompenti. Il panorama seriale è in continuo mutamento e, soprattutto negli ultimi anni, è possibile notare anche nei prodotti mainstream un certo gusto sperimentale. Oggi, però, vogliamo dedicare l’attenzione a delle serie tv all’avanguardia forse meno note al grande pubblico, se non addirittura dimenticate. Serie tv che hanno introdotto nuovi codici e diventate ormai dei fenomeni cult di nicchia. Prodotti televisivi che hanno segnato intere generazioni di creativi e continuano a influenzare il panorama seriale stesso, spesso a nostra insaputa. Da Il Prigioniero – una serie sci-fi distopica inimitabile, ma dimenticata – a prodotti nonsense più recenti, passando per i cult degli anni Novanta, ripercorriamo la serialità più avanguardista con sette serie tv (ma la lista sarebbe lunga) contraddistinte da un linguaggio narrativo innovativo, unico e talvolta assurdo. Cioè dei prodotti sconvolgenti, capaci di introdurre nuovi modi espressivi in netto contrasto con la tradizione e rispetto ai canoni televisivi in voga nel periodo in cui andavano in onda.
Vediamo Il Prigioniero e altre sei serie tv visionarie, uniche e arrivate in anticipo con i tempi.
Il Prigioniero – The Prisoner (1967-1968)
Un un ex-agente segreto del governo britannico si risveglia in un mondo familiare, ma strano: Il Villaggio, fuori tranquillo, dentro ostile. Viene privato dei diritti fondamentali, perfino del nome. Di chi può fidarsi? Qual è la realtà? “Fortemente intelligente, visivamente sorprendente e corroborantemente cupa, The Prisoner resterà una metafora politica per secoli”. È così che Rotten Tomatoes definisce un monumento sci-fi degli anni Sessanta, riportando un 100% di rating della critica e il 92% del pubblico. Da non confondere con il remake che, purtroppo, non si è rivelato all’altezza dell’originale britannico. La serie di fantapolitica si sviluppa in una sola stagione di 17 episodi che – anche se pochi ne sono a conoscenza – hanno lasciato un’impronta significativa nella cultura pop. Avvalendosi di un linguaggio carico di simbolismi e tecniche all’avanguardia, Il Prigioniero tratta dei temi che ritorneranno in maniera persistente, sotto forma di parodia e citazioni, nella musica, nel cinema, in tv e nei videogiochi.
Ritroviamo ovunque le tracce della serie tv creata e interpretata (e tal volta diretta) da Patrick McGoohan: da Matrix a The Truman Show, da Babylon 5 a Fringe, da I Simpson alle suggestioni sonore de I Muse fino ai romanzi di Stephen King. A oltre 50 anni dall’esordio, il dramma psicologico sci-fi, fantapolitico e thriller è più attuale che mai. Un prodotto all’avanguardia allora e ancora moderno oggi, caratterizzato dalla combinazione dei temi cari alla controcultura degli anni Sessanta e da un’ambientazione italianeggiante surreale e visionaria. Un’opera divenuta un cult che continua a ispirare la serialità, il cinema e la narrativa.
Be seeing you.
Il Prigioniero
Tales from the Crypt – I racconti della cripta (1989 – 1996)
La serie antologica dell’orrore firmata HBO e creata da William Gaines (Mad, il fumetto) e Steven Dodd non poteva mancare in questa lista di prodotti dirompenti. Basata sull’omonimo fumetto di EC Comics degli anni Cinquanta (da cui è tratto anche il film del 1972), grazie alle politiche permissive di HBO, la serie è potuta arrivare senza troppe censure. Violenza, nudità e volgarità sono stati confezionati in un prodotto innovativo, che conservava la sua originaria impronta stilizzata, pulp e campy. Infatti insegue uno stile volutamente esagerato e assurdo ai fini umoristici, pur raccontando storie di terrore. Ogni capitolo è introdotto dal conduttore, il Crypt Keeper, e offre un ventaglio di cameo gustosissimi, tra cui Dan Aykroyd, Lea Thompson, Malcolm McDowell, Christopher Reeve, Brad Pitt, Demi Moore, Schwarzenegger, Steve Buscemi o Iggy Pop.
Una goduria per i fan del macabro e del soprannaturale che si sono ritrovati tra le mani ben sette stagioni – tra alti e bassi – che hanno segnato il panorama seriale del genere con soluzioni oggi curiose, ma innovative, e volutamente posticce. Sicuramente uno dei tentativi più riusciti di portare in tv un fumetto capace di spaventare da piccoli e incuriosire ancora oggi da adulti. Un horror intelligente e divertente ancora attuale, divenuto ormai un classico di riferimento che continua a essere imitato. Una miscela di horror e umorismo, suspense psicologica e grottesco che si è impressa nell’immaginario collettivo. All’epoca c’erano già diversi show che non avevano pretese di essere presi sul serio, ma Tales from the Crypt porta questo intento a un livello inedito. Personaggi insoliti, ribaltamenti di tropi, disgusto e demenzialità gratuita, tutto servito al momento giusto. Un’avanguardia diversa da quella visionaria de Il Prigioniero, ovviamente, che ha portato in tv un linguaggio esplicito e volgare, assente nella maggior parte delle serie televisive realizzate fino a quel momento.
Dark Shadows (1966 – 1971)
A metà degli anni Sessanta, sui canali ABC arrivava una soap opera gotica e horror, in anticipo sui tempi e ancora unica nel suo genere. Una serie tv di culto che ha ispirato intere generazioni e da cui sono stati tratti numerosi film, come quello omonimo del 2012 diretto da Tim Burton. Trattandosi di uno spettacolo registrato quasi senza interruzioni – che sembra dal vivo sebbene tecnicamente non lo fosse – è stupefacente notare come siano riusciti a rendere credibile ogni elemento soprannaturale, dai viaggi del tempo, le sequenze oniriche ai fantasmi. Un ingegno certosino messo a punto per spaventare lo spettatore. Tanto che in un episodio modificarono un orologio di scena per fare in modo che mostrasse l’ora esatta anche agli spettatori del fuso orario centrale.
Sono celebri, ad esempio, i “finti errori”, come la troupe visibile sullo schermo, i microfoni che penzolano sopra le teste degli attori, i quali a volte fingono di non ricordare le battute o si confondono con i nomi. Una trovata meta narrativa di stampo teatrale che ha anticipato alcuni show odierni. Sebbene faccia sfoggio della moda e delle pettinature dell’epoca, quel particolare gusto retro chic gli conferisce un’aurea insospettabilmente contemporanea, aggiungendo più fascino e mistero. Si tratta di un prodotto connaturato da uno spirito visionario di ricerca ancora oggi evidente. Non è un caso che la maggioranza delle serie tv che abbiamo selezionato, come Il Prigioniero, appartengano a un’epoca segnata da correnti culturali avanguardiste. Creato da Dan Curtis, Dark Shadows è entrata nella classifica di TV Guide come uno dei migliori show di culto di tutti i tempi.
Rabbits (2002)
In a nameless city deluged by a continuous rain, three rabbits live with a fearful mystery.
Rabbits
Ecco spiegato perché Twin Peaks non è in lista. Al suo posto vogliamo consigliarvi, invece, un’altra sua stramba creatura. Una serie tv composta da sette cortometraggi della durata media di 6 minuti, rilasciati inizialmente sul sito web del regista, poi accorpati in un unico film di quaranta minuti. Rabbits è una serie tv scritta, diretta e montata da David Lynch. E chi altri se non una delle menti creative più all’avanguardia dei nostri tempi? Lynch la definisce una sit-com. L’impostazione è quella, ha perfino la traccia di risate in sottofondo (per risultati ben altro che divertenti). Ci limiteremo a definirla come un sogno inquietante che ricorda Friends, che non riesci a smettere di guardare, ma non sai perché.
Qualora faticaste a riconoscerli sotto quelle lunghe orecchie pelose, gli interpreti protagonisti sono Scott Coffey, Laura Harring e Naomi Watts. Inquadratura fissa; un loop musicale sinistro e insistente, composto da Angelo Badalamenti; applausi preregistrati, dialoghi sconnessi e criptici che corrono su un doppio livello, facendoci sentire sempre in pericolo. Un senso c’è, ma non sta a Lynch svelarlo. Come sempre, si è occupato di disseminare indizi e chiavi di lettura ovunque che – se abbiamo pazienza – possiamo scovare. Non sono le sue opere, è Lynch stesso ad essere sempre all’avanguardia. Un viaggiatore del tempo, che salta in avanti e poi torna indietro per creare opere di rottura, regolate da dinamiche che sfuggono al mondo reale e s’innestano con quelle oniriche. La sit-com assume un significato più profondo in riferimento a Inland Empire – L’impero della mente, un film di Lynch del 2006 in cui compare un’immagine di Rabbits. E chissà, la sit-com potrebbe essere anche un filo conduttore di tutte le sue opere.
The Mighty Boosh (2004 – 2007)
The Mighty Boosh è un’altra serie tv che fa del surrealismo il suo tratto distintivo e che, scommettiamo, avrebbe fatto impazzire di gioia André Breton. Se Il Prigioniero utilizza un linguaggio d’avanguardia per creare una narrazione fantascientifica, The Mighty Boosh ricorre a soluzioni innovative per mettere a punto un linguaggio nonsense quasi dadaista. Creata da Julian Barratt e Noel Fielding per BBC Three, la comedy britannica segue le disavventure di Howard Moon e Vince Noir, interpretati dagli stessi Barratt e Fielding. Nella versione televisiva, i personaggi sembrano essere consapevoli di trovarsi in uno show televisivo, rompendo spesso la quarta parete.
Ogni episodio si svolge in luoghi diversi e non c’è mai una connessione canonica tra loro. La comedy, infatti, non segue nessuna regola, se non quelle che ha elaborato per sé stesa. Fuori dagli schemi, in ogni puntata i protagonisti interagiscono con una miriade di personaggi altrettanto bizzarri, dando vita a situazioni nonsense e umoristiche e talvolta a neologismi. La serie pullula di esilaranti numeri musicali capaci di fondere tra loro generi diversissimi, dall’elettronica all’heavy metal, al funk fino al rap. Uno dei tratti distintivi dello show è sicuramente l’improvvisazione della maggioranza dei dialoghi. The Mighty Boosh è diventata ben presto un fenomeno di culto. Bizzarra e insolita – uno show e che solo i britannici potevano concepire – la comedy riesce a fondere i linguaggi avanguardistici del passato con le suggestioni del presente, per un risultato brillante, tutt’altro che scontato.
Tim and Eric Awesome Show, Great Job! (2007–2010)
La serie di sketch comici statunitense creata e interpretata da Tim Heidecker ed Eric Wareheim è un altro esempio di unicum televisivo. Caratterizzato da un umorismo altamente surreale, lo show mescola con disinvoltura satira, anti-umorismo e cringe comedy. Un concept sperimentato anni prima anche da Bob Odenkirk e David Cross con il loro spettacolo comico all’avanguardia intitolato “Mr. Show”. Uno show di HBO trasmesso a metà degli anni Novanta che Tim Heidecker ed Eric Wareheim (creatori infaticabili nonché padri di Tim & Eric’s Bedtime Stories) hanno rinforzato con nuovo carburante creativo che frantumava i cliché televisivi degli ultimi 20 anni. Un antesignano illustre di una Pezza di Lundini, insomma.
Infatti in ogni puntata si alternavano ospiti celebri, come Zach Galifianakis (che l’anno dopo realizzerà qualcosa di analogo con Between Two Ferns), John C. Reilly, Ray Wise, lo stesso Bob Odenkirk, Will Forte o Maria Bamford; un ensemble di artisti alternativi come Neil Hamburger, Tommy Wiseau e David Liebe Hart; ex star popolari, come Karen Black, Frank Stallone e Alan Thicke; e ancora, pornostar, sosia di celebrità, imitatori, attori dilettanti trovati attraverso Craigslist e celebrità, tra cui Will Ferrell, Elisha Cuthbert, Andy Samberg, Jonah Hill, Ben Stiller, Paul Rudd, Ted Danson e Josh Groban. Non c’è una trama a guidare lo show. Tra una pseudo intervista, scherzi, gag e sketch pseudoscientifici venivano trasmessi degli spot pubblicitari montati con tecniche uniche e uno stile di effetti speciali a mo’ di parodia, a cura di Doug Lussenhop. Il risultato finale è una serie esilarante di sketch comici fuori dal comune. Uno stile di umorismo assurdo, arrivato in tv come una ventata di aria fresca e divenuto ben presto un cult. Apprezzato – o detestato – per i livelli di follia e per il carattere innovativo, Tim and Eric Awesome Show, Great Job! ha segnato senz’altro una generazione di comici.
The Twilight Zone (1959 – 1964)
Una panoramica sulle serie tv e show televisivi all’avanguardia che inizia con Il Prigioniero non può non terminare con The Twilight Zone. Ovvero quando Franz Kafka incontra la fantascienza e insieme partoriscono una creatura televisiva dai tratti horror e visionari. Un’opera che vide tra gli sceneggiatori niente meno che Ray Bradbury. Forse poco ricordata, la serie ci perseguita ancora. Come l’espressione stessa “twilight zone”, che continuiamo a usare per descrivere delle esperienze surreali (in italiano ricorderete senz’altro il titolo “Ai confini della realtà”). Creata da Rod Serling – un creativo e attivista politico che ha contribuito a creare numerosi standard del settore televisivo – la serie sci-fi è considerata all’unanimità come uno dei più grandi prodotti televisivi di tutti i tempi.
Ci riferiamo, ovviamente, all’originale degli anni Sessanta, poiché i vari revival, reboot e remake non sono mai riusciti a eguagliare l’originale. Un prodotto stratificato che nasconde tra le sue maglie una critica sociale feroce. Per non avere problemi, infatti, Serling optò per un’ambientazione fantascientifica – con tanto di robot e alieni – sia per avere maggiore libertà creativa, sia per schivare qualunque attacco lanciato dai sui detrattori, visti i numerosi riferimenti allo scenario socio-politico allora contemporaneo. The Twilight Zone è una serie antologica che ha ispirato numerose serie tv, da Alfred Hitchcock Presents a Tim & Eric’s Bedtime Stories, fino a Black Mirror. Tra i tanti espedienti innovativi, ad esempio, ricordiamo gli inimitabili switching endings. Una tecnica narrativa in cui la visuale dello spettatore veniva ribaltata con un colpo di scena finale che capovolgeva la prospettiva.
Da Il Prigioniero a The Twilight Zone, queste erano sette serie tv fortemente avanguardiste che hanno segnato il panorama seriale.
Il Prigioniero e le altre sei serie tv e show di questa lista sono dei gioielli sperimentali e all’avanguardia che vi consigliamo di recuperare – o riguardare – poiché contengono innumerevoli elementi che hanno influenzato, e continuano a influenzare, il panorama seriale.