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Da Ulisse a Frodo: la Quête dall’epica classica al fantasy moderno

roy kent
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Tra i tanti insegnamenti che ci ha lasciato il 2022 ce n’è uno che conferma un dogma ormai ben stabile: il fantasy è uno dei generi più ambiziosi che ci siano nella produzione seriale. In tal senso, il 2022 è stato un anno pazzesco per la produzione di questo tipo, che ha raggiunto il momento clou tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, con l’avvio, quasi in contemporanea, delle due serie più ambiziose dell’anno: House of the Dragon e Il Signore degli Anelli – The Rings of Power. Al di là poi dei diversi esiti che hanno avuto, la presenza contemporanea di due produzioni così importanti e ingombranti nel panorama seriale ha stimolato la riflessione sul genere fantasy, uno dei più longevi della storia della narrativa mondiale, estremo sviluppo di una tradizione che affossa le proprie radici nell’epica classica e attraverso i secoli si è sviluppata, arrivando alla forma, o meglio alle differenti forme, che conosciamo ora.

In tal senso, è interessante sicuramente andare ad analizzare come il genere fantasy si sia evoluto negli anni, ereditando elementi dai suoi illustri predecessori, come l’epica o la letteratura cavalleresca. Un discorso molto complesso, che per comodità conviene scindere in diverse trattazioni, considerando di volta in volta singoli elementi che dalla letteratura antica hanno percorso la propria strada fino a sfociare nel fantasy moderno, sotto forme aggiornate e rivisitate, ma comunque ampiamente riconoscibili. Per iniziare, possiamo soffermarci su quello che è un elemento fondamentale della letteratura medievale, ereditato dall’epoca classica, rimaneggiato e poi confluito nel fantasy di oggi sotto forme diverse: la cosiddetta quête.

Quête è un termine che deriva dal francese e testualmente significa “ricerca”. Si tratta di una parola associata a un topos narrativo proprio soprattutto della letteratura medievale e cavalleresca, particolarmente in voga coi racconti del ciclo arturiano o simili. Come si evince bene dal significato del termine, la quête è una ricerca che compie il protagonista del racconto. Nella letteratura cavalleresca era associata più che altro a una reliquia o comunque a un qualcosa di materiale, ma col tempo la quête ha assunto diverse sfaccettature, facendosi anche spirituale, amorosa e così via, aggiornandosi con l’incedere dei tempi. Andiamo, dunque, a ripercorrere la storia dell’evoluzione della quête, com’è arrivata a svilupparsi nella letteratura cavalleresca e come si è poi declinata nel fantasy moderno, fornendone in conclusione alcuni massimi esempi provenienti dal mondo delle serie tv.

La Quête dall’epica classica alla letteratura cavalleresca

La quête non è, di fatto, una vera e propria invenzione della letteratura medievale, anche se qui trova la sua definizione, ma è uno stilema tratto, come gran parte delle componenti, dall’epoca classica. Questo topos narrativo è associato, chiaramente, a quello del viaggio, movimento che rende possibile la ricerca in questione. Il viaggio è uno dei temi centrali della grande epica classica, in particolare di uno dei due poemi omerici, l’Odissea, e poi dell’epopea virgiliana che è l’Eneide. In entrambi i casi la trama si sviluppa attraverso lunghe peregrinazioni: quella di Ulisse per tornare nella sua Itaca e quella di Enea in fuga Troia, verso la città che rappresenta il suo destino: Roma.

In entrambi i casi vediamo già una delle prerogative della quête moderna: la sua ambivalenza. La letteratura medievale ha ripreso in pieno questo tema del viaggio, adattandolo però quasi solo unidirezionalmente. La quête nella letteratura cavalleresca è, essenzialmente, ricerca, è un viaggio attivo, quindi. Verso qualcosa e non lontano da qualcosa. Nel fantasy moderno, come vedremo presto, la quête viene spesso capovolta e la ricerca spesso non è tesa a trovare l’oggetto, ma a fuggirne. In tal senso, i due esempi classici che abbiamo fatto prima sono altamente precursori di questa ambivalenza della quête: Ulisse compie un viaggio attivo, verso Itaca, mentre Enea compie un viaggio passivo, in fuga da Troia.

La letteratura classica è piena, chiaramente, di racconti imperniati sul tema del viaggio, soprattutto le grandi epopee come il ciclo degli Argonauti e così via. Questo importante topos narrativo è stato dunque pienamente ripreso dalla letteratura medievale e posto al centro del poema cavalleresco. Non solo il viaggio in sé, ma anche i singoli elementi costitutivi della quête vengono ripresi in queste narrazioni. Tra questi abbiamo la predestinazione e l’intervento divino, due componenti fondamentali di questo topos. L’eroe, sia classico che medievale, è spesso eletto, o quantomeno semi-consapevole. L’elezione avviene da forze esterne, ultraterrene: le divinità nell’epica classica, Dio in quella cavalleresca. La quête nella letteratura medievale è infatti spesso legata alla ricerca di elementi religiosi: su tutti, chiaramente, il Sacro Graal.

Intorno alla quête si è costruita gran parte della letteratura cavalleresca e se è vero che questo genere narrativo ha poi fatto da significativo background allo sviluppo del fantasy moderno, allora è impossibile non rintracciare anche qui quell’elemento così centrale nell’epica medievale. La quête, infatti, modellata dalla letteratura romanza a partire dal precedente classico, si è sviluppata ulteriormente nel fantasy, accogliendo istanze moderne e variegate, sia a livello di significato che di costruzione narrativa.

Il Signore degli Anelli
Il cammino di Frodo ne Il Signore degli Anelli è il massimo esempio di quête nel fantasy moderno (640×340)

Il Signore degli Anelli: il massimo esempio di quête moderna

Recuperando quel discorso dell’ambivalenza della quête, arriviamo a quello che è il grandissimo esempio di questo topos nel fantasy moderno. Il Signore degli Anelli, in generale, ha completamente riscritto le regole del genere, prima tramite i romanzi, poi grazie ai film. Il fantasy letterario e cinematografico porta indelebile la firma di Tolkien e l’opera di quest’ultimo è il laboratorio ideale per analizzare e studiare tutti i tratti distintivi del fantasy moderno, perché li condensa e li esalta rendendosi un esempio magnifico, sia di continuità con l’epica che di novità dei suoi connotati peculiari.

Nel viaggio che Frodo compie per distruggere l’anello troviamo tutti quanti gli stilemi della quête classica. C’è, chiaramente, il viaggio, fisico, che lo hobbit e i suoi compagni devono compiere per la Terra di Mezzo, ma è un percorso anche emotivo e spirituale, di crescita personale. C’è la predestinazione, perché Frodo non è andato in cerca di quest’avventura, ma si è trovato addosso la responsabilità di portarla avanti e ha scelto di intraprenderla. C’è la forza divina, che nel fantasy moderno è il più delle volte sostituita con una forza soprannaturale, che è rappresentata qui dall’anello stesso, che sceglie Frodo e lo guida verso il Monte Fato. C’è, infine, e questa è la manifestazione dell’ambivalenza della quête di cui si parlava, l’oggetto della ricerca, che però connota il viaggio in senso passivo, non attivo. L’oggetto della quête è l’anello, che però non va trovato, ma va distrutto. In tal senso, il cammino di Frodo è sovrapponibile a quello di Enea: in fuga, verso il proprio destino.

Ne Il Signore degli Anelli, dunque, la quête è completamente capovolta. Un retaggio più dell’epoca classica che di quella medievale, dove difficilmente la ricerca avveniva “al contrario”, per così dire. Ciò non toglie che il viaggio di Frodo rientri alla perfezione in questi canoni, è anzi il massimo esempio di letteratura di viaggio nel fantasy moderno. Il Signore degli Anelli, sia nella sua espressione cartacea che visiva, ha tutto il respiro di una grande epopea, presenta evidentissimi tratti in comune con l’epica classica. L’opera di Tolkien ha fissato degli standard con cui praticamente tutte le opere venute dopo, in questo campo, hanno dovuto fare i conti. Il Signore degli Anelli sta al fantasy moderno come l’Odissea sta al poema epico, possiamo dire. È un passaggio fondamentale per comprendere a pieno come determinati stilemi narrativi siano confluiti nel genere fantasy, è un filtro presente in tantissime opere.

Tra gli innumerevoli apporti forniti da Il Signore degli Anelli alla narrazione contemporanea, c’è proprio quello di aver garantito una versione moderna e aggiornata della quête. Questa, poi, è rintracciabile in moltissime opere successive, tra cui ovviamente le tante serie tv fantasy che negli ultimi anni hanno popolato il panorama seriale. La pressoché totalità delle opere del genere contengono questo topos: nel prossimo capitolo ne forniremo alcuni esempi, volti a illustrare le diverse declinazioni che nella narrativa odierna ha assunto la quête.

Il percorso di Arya in Game of Thrones è un esempio di quête moderna (640×360)

La quête nelle serie tv: tre massimi esempi

Nel passaggio dal Medioevo all’età moderna, la quête chiaramente si è spogliata di alcune caratteristiche, o meglio le ha ampliate, mantenendole riconoscibili, ma sotto forme molto diverse. Ad esempio, una condizione della ricerca nella letteratura medievale era il suo significato religioso, che chiaramente col fantasy moderno si è perso, ma è ancora rintracciabile nella presenza di forze soprannaturali che governano l’azione. L’avvento, poi, di discipline come la psicoanalisi e di tendenze come la decollettivizzazione della società, sempre più imperniata sull’individualismo, hanno arricchito la quête di significati emotivi e intimi molto più profondi rispetto a ciò che accadeva in passato. Questo anche grazie, ovviamente, allo sviluppo delle tecniche narrative, con l’avvento del romanzo moderno che ha introdotto un lavoro del tutto inedito sui personaggi. Tutte queste novità, riversate sull’epica e confluite nel fantasy, hanno modificato in maniera significativa quel topos fondante che è la quête, creandone delle declinazioni differenti.

Qui, ora, proveremo a condensare il discorso offrendone degli esempi, tratti da serie tv che presentano un fantasy d’impianto medievale, quindi contestualmente più vicini al tema della quête. Il primo è tratto da quella che è la serie fantasy per eccellenza, ovvero Game of Thrones. Lunga e complessa, la produzione HBO, così come i libri di riferimento di Martin, offrono praticamente spunti illimitati di analisi. Game of Thrones è un’opera collettiva, con tantissimi protagonisti e la quête, qui, non è singola, né tantomeno centrale, ma la narrazione si popola, nel suo corso, di quête molto specifiche e sottili, ma estremamente significative. Ce ne sono due, in particolare, che sono assimilabili e che rappresentano un esempio perfetto di quella che potremmo definire “quête identitaria”. Il viaggio, inteso in senso interiorizzato, è un percorso di crescita. Se la ricerca fisica porta al raggiungimento dell’oggetto desiderato, quella spirituale porta all’assunzione di una nuova identità, cresciuta e sviluppata. Questo è ciò che succede ad Arya e Bran in Game of Thrones: a un certo punto, entrambi s’imbarcano in un viaggio che è anche fisico, ma soprattutto spirituale, il quale li porta ad assumere delle nuove identità: Arya diventa nessuno, Bran il Corvo a tre occhi. Sono parabole che rientrano alla perfezione nella descrizione della quête perché di fatto sono tensioni verso un qualcosa, che non è un oggetto fisico, ma una crescita personale. Viaggi con delle prove, anche se spesso metaforiche e interiorizzate. Ciò che si ottiene, alla fine della ricerca, non è una reliquia sacra, ma una nuova identità. In tal senso, quelle di Arya e Bran in Game of Thrones sono delle quête ultramoderne, perché lavorano sull’individuo e sulla psiche, due concetti cardine di tutta la narrativa contemporanea che consumano la distanza da impianti di stampo più tradizionale.

Come per qualsiasi innovazione storica, le novità possono portare a due reazioni: la conservazione della tradizione o l’abbraccio di nuove pulsioni. Gli sviluppi moderni della letteratura non hanno solo decostruito e declinato il topos della quête, ma in alcuni casi lo hanno perfino rafforzato. In un mondo di varianti diverse e di novità sempre più spregiudicate, il richiamo alla tradizione si fa altrettanto significativo, e allora mentre molte opere hanno lavorato su variazioni sul tema, altre hanno applicato una mimesi dei grandi modelli. È il caso, ad esempio, di Willow, serie di Disney Plus sequel del film del 1988 ideato da George Lucas, che non fa altro che mettere in scena la più classica delle quête. Willow e i suoi compagni, qui, compiono il viaggio alla ricerca del principe Airk e dopo diverse peripezie, tra scontri fisici e spirituali, arrivano alla fine del loro cammino. Lineare, precisa, tradizionale: la quête di Willow è uno dei massimi esempi, nelle serie tv, del persistere degli schemi tradizionali anche nel fantasy moderno.

Infine, l’ultimo esempio gioca su uno dei grandi connotati della quête: la predestinazione. Uno dei tratti distintivi dell’eroe medievale, ma anche di quello classico, è l’elezione. In passato erano principalmente le divinità ad eleggere, con lo sviluppo del fantasy moderno questo tratto non si è perso, si è sicuramente slegato dalla religione, ma, come detto in diversi passaggi, ha assunto solo una forma diversa. La predestinazione nel fantasy moderno è l’esatto equivalente della fede nel mondo antico: l’eroe compie la propria ricerca credendo in una forza superiore, qualunque essa sia. In alcuni casi, questo concetto è portato allo stremo, perché l’elezione avviene come condizione di nascita. Prendiamo il caso de La ruota del tempo: nella serie di Prime Video, la quête è completamente predestinata perché un ragazzo si trova a scoprire di essere il Drago Rinato e ha il compito di sfidare il Tenebroso. Non c’è scelta, niente libertà. L’azione è predeterminata. Frodo, nonostante abbia ricevuto la predestinazione dell’anello, avrebbe potuto scegliere di abbandonarlo e tornare per la sua strada. Rand, ne La ruota del tempo, non può perché quello è il suo stato di nascita. La differenza, s’intuisce, è enorme e porta all’estremo questo tratto della quête.

Quelli qui indicati sono tre esempi di come la quête può svilupparsi nelle serie tv fantasy, ma chiaramente ce ne sono molti altri, il più delle volte comunque riconducibili a queste casistiche. Tutto il discorso intorno a questo topos narrativo è interessante per prendere consapevolezza su come il fantasy non sia un genere spuntato così, da un momento all’altro, ma abbia delle radici profondissime, che dall’epica classica passano al romanzo cavalleresco e arrivano fino ai giorni nostri. Al pari della quête, ci sono tantissimi altri stilemi narrativi che testimoniano questa evoluzione: nei prossimi appuntamenti li approfondiremo usano sempre questo schema, così da sviluppare un piccolo compendio dei tratti del fantasy moderno e della loro storia nei secoli.