In uno splendido film di alcuni anni fa, un autore di lettere su commissione finiva per interagire un po’ troppo intimamente con un’intelligenza artificiale, acquistata per assisterlo nel suo lavoro. Lettere d’amore, certo. Ma anche confessioni intime, lettere d’anniversario. Parole scritte al posto di altri, per ogni tipo di legame umano. Theodore, interpretato da Joaquin Phoenix, scopriva nell’intelligenza artificiale – doppiata da Scarlett Johansson – qualcosa di intenso che camminava al suo fianco, imparando a simulare il linguaggio umano passo dopo passo, al punto da fargli perdere la testa. Fino a confondersi con lui, e persino a superarlo. L’amore per un’entità non fisica si univa all’angoscia per il sentimento provato e le sue conseguenze. Il titolo del film è Her: vinse l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale, ed è del 2013. A dodici anni di distanza, molte cose sono cambiate.
Le intelligenze artificiali non sono più materiale per le inquietudini degli autori di fantascienza: sono diventate parte della nostra quotidianità. E stanno arrivando rapidamente a rendere obsolete molte attività che un tempo erano esclusiva degli esseri umani.
Oggi non serve più immaginare scenari simili. Li stiamo vivendo. Le intelligenze artificiali non solo stanno cambiando il nostro modo di scrivere: iniziano a scrivere davvero. E la domanda non è più “se succederà”, ma “quanto ci abitueremo a questa idea”.
È un tema che sconfina nell’etica e chiama in causa un futuro da ripensare radicalmente. Un futuro nel quale il lavoro sarà qualcosa di molto diverso rispetto a quello che è sempre stato nella storia dell’uomo. L’intelligenza artificiale cambierà la nostra società e il nostro modo di organizzarci in comunità, andando a toccare le radici stesse della convivenza sociale. Saremo altro, da qui a poco. E forse lo siamo già. Sono ormai lontani anni luce i tempi di uno dei migliori film nella storia del cinema: 2001: Odissea nello Spazio.
In quel caso, Stanley Kubrick aveva presentato al mondo un assistente artificiale che a un certo punto lottava per la sua sopravvivenza, prevaricando le priorità di conservazione umana.
Un atto di ribellione e resistenza che sembrava più umano dell’umano. E che rappresenta un topos fin troppo esposto nella letteratura fantascientifica del Novecento e degli anni Duemila. Dal 1969 di Kubrick alla contemporaneità di Westworld, d’altronde, il passo è stato più breve del previsto. Breve sì, ma anche lunghissimo. Perché confinavamo pensieri, sogni e incubi a un futuro indefinito, ma ora quel futuro cammina tra noi. E si riflette persino nelle logiche visionarie di una serie tv che ha anticipato il futuro con una lucidità tale da esser diventata obsoleta ancora prima di essersi conclusa: Black Mirror.
Già, Black Mirror. A proposito della serie tv ideata da Charlie Brooker, un episodio in particolare centra perfettamente il concetto che stiamo per sviluppare: il rapporto sempre più intenso tra l’intelligenza artificiale e l’intrattenimento. In particolare, quello con il cinema e le serie tv.
Credits: Netflix
Prima puntata della sesta stagione. Era il 2023. Il suo titolo è Joan Is Awful.
Una donna come tante scopre di essere diventata, a sua insaputa, la protagonista di una serie tv generata ogni giorno da una piattaforma di streaming. Ma perché inconsapevole? Tutto quello che ha fatto durante la giornata è stato trasformato in una puntata di “Joan Is Awful”, disponibile per gli abbonati. La piattaforma utilizza infatti un’intelligenza artificiale capace di generare, in tempo reale, una serie personalizzata per ogni utente. Costruita sui suoi dati, le sue abitudini, le sue ricerche. Persino sui micro-gesti. Ogni sera c’è un nuovo episodio. Ogni sera, la sua vita viene adattata, distorta e riscritta da un algoritmo. Interpretata, tra l’altro, da un’attrice che manco recita: è la sua versione digitale a farlo.
Una forma d’intrattenimento che schiude le porte a una personalizzazione radicale dei contenuti. Nessun autore fisico, nessuna maestranza umana: solo una macchina che scrive, monta, assembla e distribuisce in tempo reale ciò che noi stessi, inconsapevolmente, le forniamo. Non più una storia che ci ispira, ma contenuti che ci rispecchiano. E a forza di specchiarsi, l’immaginazione si esaurisce. Resta solo il riflesso algoritmico del nostro sé ottimizzato. Ecco, arriviamo al punto: quanto siamo distanti da tutto ciò? Poco, pochissimo. L’intelligenza artificiale avanza a passi da gigante. Giorno dopo giorno, si incunea nelle nostre vite e sta già riscrivendo le regole dell’intrattenimento professionale.
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