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Lo strano fenomeno della “iPhone Face”: i volti degli attori sono diventati “troppo perfetti”?

Timothée Chalamet è un emblema del fenomeno della iPhone Face
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A proposito dello strano fenomeno della iPhone Face.

“La perfezione non esiste”, dicevano gli antichi. E non solo loro: la Gen Z, in particolare, sembra stia riscoprendo il concetto, accogliendo i propri limiti con una consapevolezza per certi versi inedita, figlia di una maturazione che si auspica possa portare nel tempo a un’autenticità crescente, connessa più di vicino a una qualche idea di spontaneità in tutti i contesti. Qualcuno aggiungerà alla massima un “purtroppo”, altri un “per fortuna”. Ogni generazione ha le proprie ricette per approcciarsi a inevitabili fragilità e altrettanto inevitabili confronti col mondo che ci circonda. Il tema è suggestivo e non sarà certo questo articolo a risolvere la questione.

Oggi, però, affrontiamo un tema del quale non si parla ancora granché ma centra perfettamente il concetto, capovolgendolo: il fenomeno cinematografico e televisivo della “iPhone Face” o, se preferite, della “Instagram Face”.

Tema interessante, perché parte dal presupposto che la perfezione, in realtà, “esista davvero”. Quando non esiste, è applicata digitalmente in post-produzione, dando vita a scenari più irrealistici e, allo stesso tempo, più appetibili per il grande pubblico. I fenomeni della “iPhone Face” e della “Instagram Face”, affini e sovrapponibili, affrontano aree di interesse simili. Col primo, si intende in particolare la tendenza contemporanea di film e serie tv a inserire in produzioni di stampo storico degli attori con “volti troppo moderni e perfetti”, per questo meno credibili.

Se ne parlò in particolare nel 2019 quando uscì il film The King, ambientato nel Medioevo. In giro per i social, molti commentarono la decisione di optare per  Timothée Chalamet e Lily-Rose Depp per due ruoli centrali. Il problema? Non certo le qualità dei due attori, eccezionali e dal talento indiscusso, bensì i loro volti. Volti ritenuti “fuori luogo”, seppure bellissimi. Ancorati a canoni fuori da quel tempo e a una percezione di contemporaneità che stonava col contesto creato.

In poche parole: due “iPhone Face”, bravissimi e bellissimi ma al posto sbagliato nel momento sbagliato. In pratica, troppo “perfetti”.

La questione ha alle spalle una storia più lunga di quel che sembra. Così si esprimeva già nel 2013 si leggeva il magazine The Daily News: “Lo sbiancamento dei denti, la chirurgia plastica, i piercing, l’allenamento con i pesi, l’alimentazione sana e lo yoga hanno reso difficile trovare il perfetto interprete per film d’epoca. Se a ciò si aggiunge la natura inesorabile dei video ad alta definizione su cui vengono realizzati e visti sempre più film e l’emergere di un pubblico visivamente esperto, si ottiene spesso una ricetta per la dissonanza storica“.

Lily Rose Depp
Credits: Rolling Stone

Variano di poco le questioni riguardanti le “Instagram Face”, affrontate alcuni anni fa anche dall’autorevole The New Yorker. Secondo questo assunto, si indica una tendenza a uniformare sempre più i volti degli attori, secondo canoni di bellezza affini a quelli che dominano su social network come, per l’appunto, Instagram. Attori dai volti naturalmente perfetti come i già citati Timothée Chalamet e Lily Rose-Depp, ma potremmo dire altrettanto per Zendaya, per esempio. Oppure per Jacob Elordi, giusto per citare un secondo esempio maschile. I tratti sono “universali” e sempre più ricercati da Hollywood: mascelle definite, pelle perfetta, simmetria quasi irreale, dentatura impeccabile dal bianco innaturale.

Alcuni sottolineano, in particolare, una problematica nel fatto che i volti degli attori delle nuove generazioni siano perfetti al punto da essere volti meno “interessanti” rispetto a un tempo.

Meno interessanti, e persino meno distinguibili l’uno dall’altro. Dove sono finite le suggestive “irregolarità” di Steve Buscemi, Tilda Swinton o William Dafoe, si domanda qualcuno? Generalizzare è sempre un errore e sarebbe corretto evidenziare i volti che sfuggono ai canoni come quelli di Adam Driver, Barry Keoghan o Anya Taylor-Joy da una parte, l’immutato “interesse” dei volti citati da “iPhone Face” dall’altra, ma la questione merita comunque di essere approfondita.

Il fenomeno si connette ai criteri applicati in sede di casting, ma anche alle post-produzioni sempre più invasive di film e serie tv, tali da aver appiattito i canoni naturali degli interpreti coinvolti, stravolti dall’applicazione di filtri che arrivano addirittura a mostrarli, talvolta, come se fossero personaggi creati con la CGI. Ma è davvero così? Oppure si sta esagerando un po’? La verità, come sempre, sta nel mezzo. La questione esiste, ma c’è chi la sta già affrontando per trovare equilibri diversi nei prossimi anni.

Un'altra "iPhone Face": Lily Collins, protagonista di Emily In Paris
Credits: Netflix

Partiamo da un presupposto: è, in parte, una questione di percezioni. Per dimostrarlo, evochiamo uno scenario inverso che avevamo affrontato qualche tempo fa a proposito dei volti degli attori degli anni Ottanta. Perché sembravano, spesso e volentieri, più “maturi” rispetto alla loro effettiva età anagrafica? Nell’articolo in questione, prendemmo come esempio particolare il cast di una delle serie tv più iconiche del decennio, Cheers, sviluppando il tema con un approccio che richiamava l’attenzione sui mutati canoni estetici e, soprattutto, la percezione a posteriori dei contemporanei rispetto a personaggi che avevano una trentina d’anni quarant’anni fa.

Fermiamoci qui e rimandiamo all’approfondimento citato, mentre ora torniamo alle “iPhone Face” e alle “Instagram Face”.

Già detto dei casting, sempre più mirati all’individuazione di profili affini ai volti che vediamo quotidianamente in giro per i social, concentriamo l’attenzione sugli aspetti tecnici che hanno portato allo sviluppo delle definizioni. L’estetica dei protagonisti di film e serie tv ricorda sempre più le foto scattate con un iPhone in modalità ritratto: ultra-definite, iper-luminose, senza difetti visibili. Si arriva addirittura regolare le proporzioni facciali, quando non si rispondono a certe esigenze. Le post-produzioni stanno uniformando i volti, anche quando sarebbero naturalmente più “interessanti” di così. Più “belli” secondo certi criteri, ma meno veri.

L’intervento della tecnologia si connette così all’utilizzo di cosmetici e di prodotti che riducono le imperfezioni, applicando quanto serve sia nelle tecniche di ripresa che nell’applicazioni di filtri affini a quelli usati quotidianamente sui social. Una scelta estetica, talvolta un’esigenza. Il passaggio dalla pellicola al digitale, evocato di recente anche a proposito delle serie tv e i film sempre più bui, ha enfatizzato le irregolarità della pelle, le rughe e i pori che molti sentono il bisogno di eliminare artificialmente. Anche le luci usate giocano un ruolo importante: a favore della “perfezione” si perde la profondità dei volti.

Un esempio significativo in tal senso riguarda la serie tv Emily in Paris, ricca di “iPhone Face” e di “Instagram Face”.

L’estetica della serie sembra uscire da una campagna pubblicitaria di profumi. La serie Netflix si distingue per un approccio visivo brillante e saturo, con colori vivaci e una luce morbida che limita fortemente le ombre. I volti degli attori, illuminatissimi, si presentano con una levigatezza quasi irreale, affine a quello delle pubblicità di moda o dei servizi fotografici per riviste di lusso. In questo caso, la funzione narrativa ed espressiva è persino ovvia, visto il contesto nel quale è ambientata la serie. Si è arrivati a dire pure questo: “Non sembra Parigi, sembra un sogno costruito per un editoriale di Vogue”. Su Reddit, invece, fioccano i commenti di chi sostiene che “ogni fotogramma di Emily in Paris sia stato pensato per essere un post su Instagram”.

Robert De Niro e il de aging in The Irishman
Credits: Wired

I fenomeni della “iPhone Face” e della “Instagram Face” si ritrovano così in innumerevoli produzioni, portando a riflettere sulle opportunità delle spasmodiche modifiche digitali nella loro globalità. Si arriva ad alcune evidenti esagerazioni, anche quando l’applicazione dei filtri risponde a esigenze specifiche che non si associano a una qualche ricerca della “bellezza perfetta”. Si pensi, per esempio, alla post-produzione oltremisura artificiosa di uno degli ultimi film di Martin Scorsese, il bellissimo The Irishman. Il de-aging applicato su De Niro, seppure fondamentale a livello di trama e foriero, di conseguenza, di opportunità narrative intriganti, creò un effetto piuttosto anomalo sul volto del celebre attore, tanto da renderlo quantomeno “strano”.

Parallelamente, molti segnalarono l’applicazione dei filtri e dei ritocchi vari per alcuni film della Marvel degli ultimi anni, come per esempio Ant-Man and the Wasp: Quantumania.

È davvero necessario intervenire così massivamente? Le esigenze attuali del mercato danno una risposta affermativa, ma ci sono altri aspetti da considerare.

Insomma, è chiaro: i fenomeni della “iPhone Face” e della “Instagram Face” sono reali, seppure vengano spesso distorti da una percezione esagerata da parte di una porzione significativa di pubblico, soprattutto nel primo caso. È un segno dei tempi, ma anche un potenziale problema. Al di là degli “incidenti” sul volto di De Niro, è evidente che sia importante trovare una misura nell’utilizzo della tecnologia per preservare una certa credibilità. Ne sa qualcosa la regista Greta Gerwig: l’autrice del fortunatissimo Barbie ha scelto di non applicare lo “smoothing digitale” sui volti per il film, ottenendo un risultato estetico eccezionale. L’autenticità si è così inserita armonicamente in un mondo fantasioso, col massimo equilibrio. Altrettanto si potrebbe evidenziare per le scelte fatte da Denis Villeneuve per Dune: qui l’autore ha puntato su un look più materico e naturale, senza eccessi digitali, ottenendo un risultato simile.

I due casi citati, peraltro, evocano un ulteriore scenario.

Le scelte in sede di casting coinvolgono molte delle iPhone Face citate in precedenza (Timothée Chalamet e Zendaya, ma anche Rebecca Ferguson), valorizzate tuttavia attraverso una fotografia più cruda e autentica. Si è così restituita l’armonia “contemporanea” attraverso un bilanciamento realistico, tracciando una strada che con ogni probabilità verrà portata avanti anche in futuro.

Zendaya in Dune
Credits: Warner Bros.

La sensazione, d’altronde, è che il trend stia attraversando una fase di transizione. Se da un lato è insita nella natura umana la ricerca spasmodica della perfezione, figlia soprattutto del confronto costante col prossimo, dall’altra c’è una Generazione Z che sfugge sempre più spesso alle tossicità del fenomeno e oggi si presenta in pubblico con più naturalezza e spontaneità.

Per il momento si parla di una fase dalle linee ambigue nelle quali si tende ancora all’applicazione di filtri “ingombranti” e all’aspirazione a modelli assimilabili alle “iPhone Face”, ma la nuova consapevolezza che si sta acquisendo potrebbe portare a evoluzioni conseguenti nell’industria di Hollywood nei prossimi anni. I paradigmi globali potrebbero cambiare e portare con sé una nuova estetica di film e serie tv, più fedeli alla realtà che a una perfezione artificiosa.

Sarà davvero così? Staremo a vedere, ma una cosa è certa: la perfezione sarà sempre e solo una questione soggettiva, con la speranza che in futuro possa diventare un po’ meno interessante. Il sogno ideale, d’altronde, diventa quasi sempre il peggiore degli incubi. Avevano ragione i vecchi, e hanno altrettanto ragione i più giovani: non esiste, non sul serio. E per fortuna, va benissimo così. È sempre bene tenere The Substance all’interno dei confini di un film horror.

Antonio Casu