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Kenya Barris è l’autore della modernità

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Il panorama seriale contemporaneo appare più saturo che mai. Che si tratti di crime, di drammi storici, di teen drama o di comedy, non c’è genere che non sia oggi stato esplorato in ogni sua forma, fino a giungere a un equilibrio apparentemente imperturbabile, in cui nulla sembra poter davvero portare una ventata di novità nel mondo della fiction televisiva. Eppure, sebbene in Italia ancora non ce ne siamo accorti, c’è un uomo che da solo sta operando una vera e propria rivoluzione della televisione, servendosi delle armi della sitcom e della satira per portare avanti una vera e propria missione personale. Stiamo parlando di Kenya Barris, autore delle sitcom black-ish e mixed-ish per ABC (e presto la nuova serie old-ish), della comedy a tinte teen grown-ish per Freeform e infine del mockumentary autobiografico #blackAF per Netflix.

Kenya Barris

Quello che Barris ha costruito a partire dal 2014, anno della messa in onda del primo episodio di black-ish, è un impero seriale che non ha precedenti nel mondo televisivo, un progetto con un target molto ampio eppure mirato che va dai teenager fino agli over 65, dal pubblico afroamericano che vi si vede rappresentato sino a quello bianco, che è invece l’oggetto principale della dialettica portata avanti nelle quattro comedy. A distinguere il progetto di Kenya Barris rispetto al mare magnum di prodotti seriali che vengono ogni anno distribuiti sono due elementi caratterizzanti che insieme ne definiscono la forza innovatrice: la spiccata eppure mai eccessivamente pesante componente didascalica e la presenza di un fattore autobiografico più o meno marcato, che raggiunge il suo apice in #blackAF, in assoluto il meno tradizionale tra i lavori di Barris.

Kenya Barris è moderno perché ha saputo, se non prima quanto meno meglio degli altri, intercettare la necessità di verità che si cela dietro il muro della finzione televisiva ed è stato capace di unirla al culto dell’ego dell’era social. Pensiamo a black-ish (che vi abbiamo raccontato qui perché è una comedy assolutamente imperdibile), la prima opera del nostro modernissimo autore. Il protagonista della serie è Andre “Dre” Johnson, vicedirettore di un’agenzia pubblicitaria, un uomo nero che dal ghetto è riuscito a perseguire il sogno americano. Dre è sposato con Rainbow, detta “Bow”, medico anestesista con una madre afroamericana e un padre bianco e i due hanno all’inizio della serie ben quattro figli, che poi diventeranno cinque con il procedere delle stagioni.

Le analogie tra la famiglia Johnson, protagonista di black-ish, e la vera famiglia Barris sono innumerevoli, come gli spettatori avranno modo di conoscere guardando #blackAF. Innanzitutto Kenya, esattamente come Dre (e il suo interprete Anthony Anderson), dalle zone più povere della California è riuscito a trasferirsi a Los Angeles, dove ha incontrato la fama e il denaro e si è trasferito in un quartiere a prevalenza bianco, sentendosi in qualche modo sia un impostore con i bianchi che un traditore nei confronti dei neri. Barris è sposato con un medico anestesista di nome, indovinate un po’, Rainbow detta “Bow” e i due hanno attualmente ben sei figli.

Kenya Barris

Dunque non è difficile comprendere come black-ish sia fin dalla sua origine una reinterpretazione della vita del suo creatore, che cerca di raccontare al mondo la sua storia attraverso la voce narrante di Dre Johnson. Lo strumento del narratore è presente in tutte le opere di Barris, eppure in nessuna di queste appare né pedante né infallibile. Tanto Dre in black-ish, quanto Bow in mixed-ish, Zoey (la primogenita della famiglia Johnson) in grown-ish o la stessa famiglia Barris in #blackAF sono personaggi prima ancora che narratori, individui complessi e decisamente non soltanto positivi, la cui voce viene impiegata per interagire con lo spettatore, per educarlo e rendergli note le tematiche politiche, sociali e culturali che vengono affrontate all’interno dello spazio televisivo.

La modernità di Barris, così evidente dalla sua capacità di cogliere il bisogno contemporaneo di storie che rimandino a una verità allo stesso tempo particolare e universale, è perfettamente espressa dai titoli delle sue serie. Il suffisso “-ish“, traducibile in italiano con “più o meno“, è una rappresentazione brillante dell’attuale condizione di precarietà esistenziale che riguarda lo spettatore – e più in generale l’individuo – del giorno d’oggi. I protagonisti delle opere di Kenya Barris sono più o meno neri, più o meno cresciuti, più o meno consapevoli della propria identità. Eppure, quando ha voluto incentrare una serie su stesso, in cui il protagonista altro non è che Kenya Barris nei panni di Kenya Barris, l’autore ha deciso – complice il cambio di casa di produzione da ABC a Netflix – di darle un titolo diverso, eppure altrettanto moderno e in continuità con il suo lavoro precedente: #blackAF, ” #moltonero”, che sintetizza in modo brillante il paradosso tra la la convinzione di essere nero “AF” e la continua necessità di provare agli altri di essere “abbastanza” afroamericano anche se è ricco, famoso e vive in una bolla di privilegi.

Kenya Barris

Kenya Barris, più di qualsiasi altro showrunner, ha avuto il coraggio di mettersi a nudo nelle sue opere. Infatti, nonostante ognuno di queste abbia un pubblico di riferimento preciso che non necessariamente coincide con le altre, nonché precise caratteristiche stilistiche e narrative che le distinguono chiaramente le une dalle altre, tutte contengono immancabilmente l’anima del loro autore. La penna di Barris, tanto quanto la sua persona, sono espressione di un desiderio pienamente moderno di raccontarsi nel raccontare, di parlare del mondo a partire dal sé, di scherzare senza per questo dimenticarsi di prendersi sul serio. Per questa ragione il suo progetto è a oggi un unicum all’interno del panorama televisivo, destinato tuttavia a lasciare una profonda influenza sulla serialità del futuro, che vede in black-ish, i suoi spin-off e #blackAF il punto di partenza di un universo creativo di storie da guardare con occhi nuovi.

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