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Kotaro abita da solo, impara e ci insegna a vivere per davvero

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NON sono presenti, in questo articolo, spoiler della prima stagione di Kotaro abita da solo!

Avete presente quando iniziate una nuova serie (o anime) senza alcuna aspettativa ma siete completamente rapiti da quello che state guardando e siete lì a chiedervi: ma per quale motivo ho ignorato questa cosa bellissima fino a questo momento della mia vita? Ecco, è un po’ quello che mi è successo qualche giorno fa, quando ho beccato totalmente a caso, nel catalogo di Netflix, Kotaro abita da solo. In Giappone, l’opera di Mami Tsumura ha riscosso un enorme successo di pubblico ed è stata considerata uno dei manga più commoventi che siano stati scritti negli ultimi anni, ma purtroppo in Italia sono in pochissimi a conoscere la bellezza di questa storia. Più in generale, sono in pochi a conoscere la profondità che questi racconti possono raggiungere e quel modo unico che hanno di toccare temi estremamente delicati, riuscendo ad arrivare a chiunque decida di farne esperienza. Kotaro abita da solo è una storia drammatica, velata da qualche sfumatura di divertimento e ironia ma che presenta un nodo tematico molto complesso e sfaccettato.

Kotaro è un bambino di 4 anni che vive da solo in un appartamento di un condominio giapponese. La sua età però è soltanto un numero, perché in realtà il piccoletto si comporta come un adulto, dimenticandosi quasi completamente di essere ancora un bambino. Molto presto, i suoi strampalati vicini di casa finiranno per diventare un’anomala rete familiare su cui contare e da cui sentirsi amato e protetto. Il protagonista bambino di questa storia maschera la propria fragilità dietro un atteggiamento maturo e distaccato, ispirandosi al suo eroe samurai Tonosaman, che rappresenta non solo una fonte d’ispirazione ma anche l’unico filo che lo lega ai vividi ricordi familiari che ancora conserva gelosamente. Questo è il motivo per cui l’appuntamento con il cartone animato è un’imperdibile occasione per ricostruire quel labile legame che è stato parte fondamentale di un passato ormai lontano.

Kotaro abita da solo

Ogni episodio è un piccolo nucleo di avvenimenti quotidiani che riescono bene a raccontarci la solitudine di Kotaro, le mancanze di cui soffre e soprattutto la sua profondità psicologica, la quale si riflette nel modo in cui si relaziona agli altri, grandi e piccoli. Anche se riesce a instaurare dei legami con i suoi coetanei a cui cerca di trasmettere le sagge lezioni che la vita gli ha permesso di apprendere (nonostante la sua giovane età), Kotaro sembra avere una naturale predisposizione verso la comprensione del mondo degli adulti. Non solo riesce a comprendere i loro discorsi senza alcuno sforzo, ma è anche capace di leggere i loro reali sentimenti e interpretare i pensieri più profondi che animano azioni e atteggiamenti. Inoltre, cerca costantemente di essere forte per convincere gli adulti ad amarlo e a considerarlo degno delle loro attenzioni. La storia quindi sottolinea la centralità dei legami genitoriali, considerati fondamentali e imprenscindibili nella vita di ciascuno.

Questo racconto però ci ricorda anche in che modo i legami non debbano essere riconducibili necessariamente alla famiglia in senso stretto ma possono nascere anche dalla sintonia, dalla vicinanza reciproca e dalla condivisione. Kotaro trova nei suoi vicini di casa, specialmente in Karino, una presenza stabile, in grado di trasmettergli amore. Con loro comprende di potersi sentire davvero un bambino e non più “un adulto in miniatura” su cui gravano enormi responsabilità. Il giovane ragazzo, infatti, da disegnatore di manga squattrinato e scansafatiche, si reinventa tutore e padre del piccolo e riesce di riflesso a migliorare anche la sua di vita, sia personale che artistica. I momenti che i due trascorrono insieme sono divertenti e pervasi di ironica leggerezza, ma rappresentano anche la parte più commovente di tutta la storia. Il caso unisce queste due anime solitarie e incasinate che finiscono per incastrarsi e dimostrarsi un sincero e profondo affetto.

Kotaro abita da solo

Quella che vediamo, episodio dopo episodio, è la rappresentazione di una profonda crisi esistenziale che attanaglia un bambino cresciuto troppo in fretta, convinto di essere stato la causa delle decisioni prese dai suoi genitori. Il suo continuo sforzo per essere all’altezza delle aspettative che si è imposto da solo ne è la manifestazione più evidente. Kotaro si pone costantemente dei limiti perché è convinto che essere deboli implichi l’allontanamento delle persone che gli sono accanto. Kotaro abita da solo tratta in maniera estremamente sincera, delicata ma anche diretta il tema dell’abbandono infantile, tutto ciò che questa esperienza comporta e le conseguenze che possono derivarne. Molte sono le “scoperte” che il bambino fa ogni giorno, alcune accolte con più stupore, altre invece con un velo di malinconia. Kotaro ci fa tornare un po’ bambini ma, allo stesso tempo, ci invita a crescere, ci prende un po’ per mano perché vuole che anche noi, con lui, proviamo a guardare le cose fuori dalla solita bolla, così da comprendere di quante fortune godiamo e di quante ci dimentichiamo completamente.

Kotaro abita da solo è la riscoperta della bellezza delle piccole cose, dei piccoli gesti che sono in grado di scaldare il cuore e che molto spesso diamo per scontati, come se fossero dovuti da chi ce li rivolge. Questo bambino cresciuto senza amore e attenzioni parla al nostro cuore e sa interpretare i segni delle emozioni di chi incontra. Ha dovuto badare a se stesso, darsi spiegazioni da solo – alcune più corrette di altre – e quando gli interrogativi si sono fatti troppo pesanti e insopportabili ha saputo rifuggire dalla realtà e costruirsi qualche fantasia di troppo.

Kotaro abita da solo è una carezza a quella parte infantile che rimarrà per sempre dentro di noi. Disegni che si fanno guardare con enorme piacere e colori tenui e vivaci insieme che ben si adattano al registro drammatico e divertente della storia completano un anime davvero insolito, capace di toccare le corde più profonde dell’animo e di suscitare, di tanto in tanto, qualche occhietto lucido.

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