Non mi piace, ma quanto mi piace criticarla. È un pensiero che probabilmente ha sfiorato anche voi, almeno una volta nella vita. Quel piacere quasi perverso nel seguire una serie tv nonostante la trovassimo scadente, fastidiosa e non all’altezza dei nostri gusti. La gioia che si prova a guardare qualcosa che non ci piace è un fenomeno diffusissimo, conosciuto con il termine “hate-watching”; da non confondere con il guilty pleasure. Un fenomeno che interessa critici di spettacolo, come Tim Goodman, e psicologi. Non si tratta di arrivare fino in fondo a qualcosa che non ci convince del tutto; magari per darle un’altra chance. L’hate-watching è odio consapevole, finalizzato all’appagamento personale. Odiamo per sentirci migliori, insomma. L’essere umano ama sparlare, criticare e fare a pezzi. Non tutti siamo affetti da questa “malattia”. Però basta guardarsi intorno per imbattersi in scie di odiatori cronici, soprattutto sul web. Specificare “guardo questa serie solo per capire fino a che punto arriveranno gli sceneggiatori con questo scempio” è il must have dell’odiatore seriale. Nella sua palette, le sfumature vanno dal sarcasmo velato alla cattiveria gratuita. Il fenomeno, ovviamente, non riguarda solo la serialità. Il meccanismo dilaga in ogni ambito: si seguono pagine social, influencer, programmi televisivi, spettacoli teatrali e testate giornalistiche solo per criticarli, deriderli e distruggerli. Addirittura il pubblico attenderebbe delle opere con il desiderio di vederle fallire! E questo lo sanno bene anche i creatori e i produttori delle serie tv. A volte pare che ne approfittino. Quasi a voler sfidare l’odiatore seriale, appagando la sua sete di disprezzo. Come ha fatto Álex Pina de La casa de papel, che passerà alla storia della serialità per le sue trashate più ridicole. Impossibile da dimostrare, ma potrebbe darsi che i creatori volessero provocare volutamente l’hate-watcher. Ciò che è certo è che si tratta di un fenomeno ben lontano dal sano spirito di critica, dal pluralismo e dalla voglia di confronto. La frustrazione e l’invidia, a volte, sono il carburante principale che alimenta questo trend.
Vediamo quindi 5 serie tv, come La casa de papel, che stuzzicano l’odiatore seriale che si nasconde in (quasi) ognuno di noi.
Emily in Paris (2020 – in corso)
Tra le serie tv più odiate, la regina indiscussa è sicuramente sua maestà Emily in Paris, su Netflix. È lo show di Darren Star (Sex and The City) che proprio non riusciamo a smettere di seguire, e di lamentarcene. E più il pubblico la critica disgustato, smontando un outfit di Emily dietro l’altro, più Star rincara la dose. Tutti amano odiare gli abiti che indossa Emily (Lily Collins), a tal punto che c’è chi definisce i suoi outfit come un crimine d’odio. La serie tv però non ha ricevuto solo stroncature. Anzi, ha ottenuto perfino una nomination agli Emmy come Outstanding Comedy Series. Tuttavia la maggioranza del pubblico, e molta critica, concorda nel definirla una serie irrealistica, imbarazzante, volitiva, frivola, scritta male e piena di stereotipi culturali. Addirittura su Rotten Tomatoes lo score della critica è più alto rispetto a quello del pubblico, quando i primi sono notoriamente più severi dei secondi.
Nonostante tutto, la rom-com continua a essere una delle serie più seguite (e derise) di Netflix, restando salda in Top 10 per settimane consecutive. Chi l’ha guardata dunque? E perché chi la critica aspramente non riesce a non perdersi una puntata? Perché odiare Emily fa bene all’umore. Emily in Paris dovrebbe essere vista per quello che è: un guilty pleasure. Una serie leggera, senza pretese e simpaticamente frivola. Un intrattenimento poco impegnativo, capace di illuminare le giornate con chiacchiere da salotto e colori smaglianti. Invece la serie di Star ha assunto un ruolo sociale imprevisto: un pungiball su cui sfogare ansie e frustrazioni. Emily è diventata così il capo espiatorio di cui la serialità ha bisogno. Più se ne parla (male), più macina ascolti. Più la protagonista veste male, più noi ci sentiamo meglio. Più abbondano errori, ingenuità di trama ed elementi ridicoli, più la pulsione irrefrenabile di (s)parlarne aumenta, favorendo il tam-tam.
Bridgerton (2020 – in corso)
Il dramma storico creato da Chris Van Dusen, e prodotto da Shonda Rhimes, è ad oggi una delle serie tv più viste del pianeta (oltre 60 milioni di persone, solo per la prima stagione!). Ma è anche una delle più criticate. E odiate. Come Emily in Paris e La casa de papel, Bridgerton ha tutte le carte per aggiudicarsi il premio immaginario de “la serie che ogni hate-watcher sogna“. È controversa, spudorata e volutamente esagerata. Grida allo scandalo, e fa gridare allo scandalo. È il guilty pleasure ideale, uno show leggerissimo che non meriterebbe nemmeno tutte le attenzioni che ha ricevuto. Invece la tentazione a gridare ai quattro venti quanto non ci piaccia pare essere irresistibile. Molti spettatori hanno dichiarato perfino di averla iniziata solo perché tutti ne parlavano, male.
Con i cliché, gli scandali e quel glamour patinato proprio di un romanzetto rosa, Bridgerton ha ossessionato l’opinione pubblica, saltando di bocca in bocca proprio nel periodo natalizio, grazie agli argomenti di discussione che intavola con nonchalance. Tematiche che non si presterebbero nemmeno al dibattito mordi e fuggi. Razzismo, politica, sesso e altre questioni spinose sono diventate così oggetto di accesissime discussioni social. Intanto, tra chi criticava il suo eccesso di politicamente corretto, chi inneggiava alla libertà sessuale ritrovata e chi si diceva disgustato dal revisionismo storico, la serie di Shondaland macinava visualizzazioni. Cucchiaini peccaminosi, messaggi body positive, figlie che chiedono alle madri come rimanere incinta, regine afrodiscententi nell’epoca vittoriana. Insomma tanti argomenti interessanti e controversi su cui non potevamo non esprimere il nostro giudizio. Poi la vena trash ha fatto il resto, accalappiando lo spettatore in una rete da cui, arrivato a quel punto, era ormai impossibile uscirne. Piacere e odio, disgusto e dipendenza. Sono queste le leve che, consapevolmente o meno, hanno portato Bridgerton a diventare una delle serie tv più seguite. Potremmo quasi dire che l’odio abbia favorito il suo successo?
Vinyl (2016)
Un odio di diversa entità riguarda Vinyl, una serie tv maledetta che aveva un potenziale stratosferico, a partire dai nomi coinvolti. In ordine sparso: Bobby Cannavale, Mick Jagger, Martin Scorsese o Olivia Wilde. Solo per citarne alcuni. Mentre la regia e la recitazione sono state sempre elogiate, la scrittura e la trama hanno risentito delle critiche più negative. Vinyl ha conquistato perfino due nomination agli Emmy Awards eppure, sul web, il clima che l’avvolge odora di odio e disappunto. Le serie tv oggetto di hate-watching non sono necessariamente scadenti. Vinyl è un prodotto di elevato pregio artistico. C’è qualcosa di misterioso che innesca il fenomeno. Una combinazione di elementi incomprensibili e di reazioni psicologicamente perverse. In questo caso, a giudicare dalla mole dei commenti negativi, sembra quasi che la colpa sia da imputare alle alte aspettative. Un cortocircuito nello spettatore che, pur non trovando la serie di suo gradimento, ha continuato la visione per autolesionismo.
Il crime dama della HBO è stata una delle più grandi delusioni seriali del 2016, che ha portato alla cancellazione improvvisa, forse anche per questioni economiche. Ma per qualcuno è stato soddisfacente vederla fallire, e poterlo gridare. Cos’è che non funzionava davvero? E perché ancora oggi resta una delle serie tv più odiate? La qualità è lampante, ma la delusione del pubblico l’ha travolta. Non è riuscita a reggere le aspettative ed è crollata sotto al peso dei suoi grandi nomi. Una serie tv spigolosa, che non nasce per compiacere il pubblico. Tutto ciò ha finito per favorire forse quel famoso tam-tam che ha alimentato l’hate-watching. Saranno state le molteplici leggerezze della scrittura ad aver deluso gli spettatori più esigenti? È facile perdonare le imprecisioni di una serie tv scadente, ma non ci riusciamo quando il prodotto è firmato Scorsese. Vinyl avrebbe potuto entrare nella hall of fame della serialità per magnificenza, invece ci entrerà per essere una delle serie tv più odiate di sempre. E sul suo cadavere continuano a riversarsi migliaia di spettatori e di critici pronti a dire la loro sul perché l’esperimento sia fallito impietosamente. Un odio incomprensibile e ingiustificato che però attira ancora valanghe di spettatori desiderosi di poter dire la loro sul perché un progetto così scintillante non ce l’abbia fatta a brillare.
Pretty Little Liars (2010 – 2017)
Lasciamo i lustri di Vinyl perché l’odio che avvolge Pretty Little Liars è di tutt’altra pasta. Il teen drama basato sull’omonima opera di Sara Shepard sembra essere stato ideato appositamente per sfruttare il fenomeno a proprio vantaggio. L’odio è la vena pulsante della serie tv, che seduce e conquista. La detesto, ma non riesco a smettere di guardarla è uno dei commenti più frequenti quando si parla di lei. Il segreto del successo dello show, forse, sta tutto qua: fa così arrabbiare lo spettatore da divertirlo e appagarlo. Il divertimento, infatti, nasce proprio dal criticare le scelte dei personaggi, e degli showrunner stessi. Per sette stagioni si è instaurato così un triangolo amoroso tra pubblico, personaggi principali (che si salvavano sempre in extremis) e team creativo, dove ognuno si pungolava in stile odi et amo. Più i colpi di scena scatenavano le ire del pubblico, più questo restava incollato allo schermo.
L’avversione per un certo personaggio, o per una sua azione, ha creato dunque fazioni, dibattiti e schieramenti che nemmeno Risiko! Un capello fuori posto di Aria, una mise sbagliata di Spencer, una scelta inconcludente di trama. Qualunque cosa, purché se ne parlasse. Male. Non è necessario averlo visto per conoscere le dinamiche degli “A”. Una faccenda che ha acceso dei dibattiti più infuocati di quelli sull’eredità familiare. Le critiche e i commenti negativi sono arrivati perfino a coloro che non possiedono una connessione internet. Ogni finale di stagione era accompagnato da disappunto, delusione e promesse solenni fatte in ginocchio sui ceci da coloro che giuravano che non avrebbero proseguito la visione. Invece, puntualmente, all’uscita del nuovo capitolo erano di nuovo tutti lì, pronti a fare a pezzi la povera Pretty Little Liars.
La casa de papel (2017 – 2021)
Chi più de La casa de papel merita di essere annoverata tra le serie tv che hanno tratto un evidente vantaggio dall’hate-watching? Un prodotto spagnolo che arriva dal nulla, ma che in pochissimo tempo si è imposto come un evento seriale imperdibile. Il motivo? Tutti ne sparlavano e tutti dovevamo dire la nostra. Improvvisamente ci siamo ritrovati a chiedere al nostro interlocutore cosa ne pensasse de La casa de papel perché davamo per scontato che l’avesse vista. Commentare il disappunto per i buchi di trama, le decisioni avventate di Raquel Murillo o gli ingressi improbabili di Tokyo era diventata improvvisamente una droga seriale di cui strafarsi. Ma il martire assoluto di questa crociata che sventola la bandiera dell’hate-watching è lui: Arturo Román detto Arturito; alias il personaggio seriale più odiato dell’ultimo decennio. Non possiamo fare a meno di parlare male del direttore della Zecca di Stato, di criticarlo e di inveirgli contro. Perché farlo provoca in noi un senso di appagamento incondizionato. La casa de papel è dunque un circo. Un luogo di ludibrio trash, volutamente eccessivo dove qualcuno viene buttato tra le belve feroci mentre il pubblico si diverte.
L’hate-watching è un fenomeno psicologicamente complicato e affascinante, di cui nessuno è davvero immune. Perché è così divertente e soddisfacente guardare qualcosa che non ci piace e che provoca in noi sentimenti negativi? Il richiamo dei social diventa irresistibile così l’odio finisce per alimentare meme e dibattiti interminabili in cui dobbiamo dire la nostra. La casa de papel non sarà nata per sfruttare questo fenomeno, ma di certo ha cavalcato l’onda e ha saputo usarlo a suo vantaggio a partire dalla seconda stagione.
Una trama deludente, un’incongruenza o un buco narrativo; un episodio inspiegabile, un abito sbagliato o un personaggio detestabile diventano quindi il pretesto per sfoggiare tra amici conoscenze e virtù. Parlare male di qualcosa sulla bocca di tutti ci permette di proporre il nostro punto di vista ed esprimere la nostra unpopular opinion per dimostrare, magari, che avremmo saputo fare di meglio. Il fenomeno ha un potere liberatorio. Gli psicologi concordano nel ritenerlo un modo per incanalare la negatività. Una pulsione che nascerebbe quindi per contrastare le insicurezze. Odiare qualcosa scatenerebbe in noi una sensazione di euforia, appagamento e piacere. Per molti spettatori è dunque un modo per esorcizzare i propri difetti, proiettandoli su qualcosa che si detesta.
L‘hate-watching è più diffuso che mai, non solo tra i leoni da tastiera e tra i troll. Probabilmente ciascuno di noi ne ha subito il fascino almeno una volta. Non è qualcosa di cui andare fieri e ovviamente dovremmo sempre preferire il love-watching. Senza dubbio si tratta di un segnale sociale allarmante, che andrebbe ascoltato con più attenzione. Ad ogni modo finché esisterà, esisteranno anche serie tv come La casa de papel, che tanto odiamo perché tanto amiamo odiare.