“Tutto questo, vedi? Sono variabili, casualità, caos. Ogni equazione ha bisogno di stabilità, di un’entità nota: si chiama costante”
Quando il 28 febbraio 2008 andava in onda il quinto episodio della quarta stagione di Lost ero un ragazzo con tante variabili nella mia vita e pochi appigli. Ero alla ricerca di me stesso costantemente proiettato in un’immagine del futuro troppo sfocata per poter essere reale. Quel lontano giorno, come già da molto tempo, ero perso. Non avevo di fronte a me una guida, non conoscevo un valore autentico da porre sopra le mille preoccupazioni giornaliere, al di sopra del caos di un mondo troppo appannato per poter essere vissuto a pieno.
Lost mi accompagnava in quella quotidianità aprendo spiragli verso una strada che avrei lentamente e in maniera incerta intrapreso. Mi metteva di fronte al mistero che è nel mondo e a quello che sta nell’uomo. Tracciava e urlava la possibilità di un cambiamento. Sembrava dirmi che le difficoltà non sarebbero venute meno ma che quel futuro lentamente si sarebbe fatto più chiaro. Sembrava sussurrare che nell’instabilità dell’esistenza ci sarebbe stata la possibilità di trovare un’àncora a cui legarsi.
Quel lontano febbraio andava in onda “La costante”, il più profondo e intimo episodio di Lost.
Non possiamo non ricordarlo. Non serve far leva sulla nostra memoria perché quell’episodio è vivo in tutti noi. Ha suscitato una partecipazione collettiva che solo gli eventi più significativi sanno trasmettere. Se pensiamo a Lost pensiamo a “La costante” e rivediamo e riviviamo dentro di noi le emozioni di un’esperienza che ci ha accomunato. Perché ognuno di noi nelle nostre case, sui nostri divani, davanti agli schermi ha sentito qualcosa. Qualcosa di reale e profondo. Qualcosa che in cuor nostro abbiamo sempre desiderato e in cui segretamente abbiamo riposto fiducia. La possibilità che ci sia una costante nella nostra vita.
Desmond come tutti noi è incerto, disperso e confuso. Vive a cavallo di due mondi, di due realtà in cui non riesce a riconoscersi. Quei due tempi sono il nostro presente e il nostro futuro. Momenti che si accavallano costantemente e si alternano tra la concretezza che ci obbliga a vivere pensando all’oggi e il sogno che ci proietta in quello che sarà o che vorremmo che fosse. Il protagonista dell’episodio ha molto da recriminare. Ha perduto il suo amore, l’ha volutamente rifiutato perché nella sua codardia non ha ritenuto di esserne all’altezza.
Ogni giorno ci confrontiamo con questo peso. Con la difficoltà di sentirci pronti ad amare, a vivere realmente la nostra esistenza. Ci barcameniamo tra mille impegni e proviamo ad allontanare da noi l’idea che ci sia qualcosa di altro, qualcosa che ha un valore superiore al resto. Perché se ci lasciamo andare a questo pensiero ci rendiamo conto di quanto lontani ancora siamo da quell’ideale. Abbiamo paura. Siamo codardi. Non ci sentiamo pronti per iniziare a vivere. E, forse, non lo siamo realmente.
Eppure, arriva un momento in cui il tempo si esaurisce.
Un attimo in cui il nostro presente viene ad accavallarsi al futuro. In quell’istante il nostro mondo sembra collassare. Potremmo trovarci a perdere per sempre l’immagine che del futuro avevamo sognato, rinunciando così a un’esistenza piena. Desmond attraversa quel momento. Vive la condizione di un uomo scisso e sballottato tra due piani temporali diversi. E in lui non c’è altro che paura, confusione e smarrimento. Vaga senza sostegno in due momenti fondamentali della sua esistenza.
In questa condizione, nella nostra condizione, il mondo finisce per porci di continuo. In quei momenti rischiamo di accettare per sempre di essere passivi strumenti di un destino implacabile. Di lasciare che la corrente ci trascini via e ci faccia perdere la nostra coscienza, tutto noi stessi. Desmond con l’aiuto di Faraday comprende questo pericolo e anche noi, con loro due, lo percepiamo. Noi e il mondo viviamo seguendo un segreto codice che dobbiamo imparare a dominare. La matematica di Faraday non è altro che la chiave di lettura di qualcosa di più profondo. Dietro quei numeri e quelle variabili, dietro le equazioni che regolano le cose e che non possiamo controllare c’è il bisogno di qualcosa. Di un elemento che faccia da trait d’union nell’instabilità generale, che ritessa insieme tutto e dia il la a una sinfonia.
Come le note senza una direzione sono solo suoni sconclusionati così le variabili della nostra vita e quelle delle equazioni non sono altro che insensatezza se dimentichiamo di inserirle in una sinfonia.
In greco “syn-phoné”, un suono che accorda, che unisce, che ricuce. Insieme. L’incerto protagonista di questo straordinario episodio di Lost cerca disperatamente la sinfonia. È un direttore che ha con sé tutta l’orchestra ma che non sente dentro di sé la musica. Quella musica che dobbiamo costruirci da soli (“Make your own kind of Music”), come sottolineava la melodia che introduce per la prima volta ai nostri occhi proprio la figura di Desmond Hume nel primo episodio della seconda stagione.
Des quella musica la ha. Ma non la ricorda. Non ricorda cosa serva per mettere in moto la sinfonia. Non sa chi sia Sayid o Lapidus e non sa dove lui stesso si trovi. In mente ha una sola cosa che condivide nei due tempi, nelle due realtà. Il suo presente e il suo passato hanno in comune Penny. Quella ragazza per la quale non ha saputo lottare. Per la quale non ha saputo sentirsi all’altezza. Nascosta in quell’immagine, nella foto che stringe e accartoccia nelle sue mani, c’è l’amore. L’amore vero, l’amore profondo che sopravvive al tempo.
Desmond muove la mano, fende l’aria con la sua bacchetta da direttore d’orchestra attendendo il suono, attendendo la risposta della sua orchestra. Non sarebbe possibile nessuna sinfonia senza una risposta. Se Penny avesse cambiato numero, se nel cuore della donna non fosse sopravvissuta la speranza immortale di chi ama davvero non ci sarebbe stata musica. Desmond non avrebbe ritessuto la sua realtà, non avrebbe potuto vedere ricomposta la sua coscienza. Non avrebbe trovato se stesso. Ma Penny risponde (“Hai risposto, Penny!”), crede, spera, aspetta. Attende e lotta contro ogni logica, contro ogni razionale pensiero.
E vince. L’amore corrisposto vince.
Tutto combacia. Desmond lancia la nota sull’archetto e il violino inizia a suonare grazie a Penny. Michael Giacchino ci regala ancora una volta una musica trascinante e profondissima mentre i due innamorati si scambiano le promesse d’amore fondendosi in una cosa sola. L’equazione ha trovato la sua costante. L’orchestra la sua melodia. E ora le variabili del mondo fanno meno paura.
Sono passati dieci anni esatti da quell’episodio di Lost. La mia vita è ancora tremendamente incasinata e lontanissima dall’immagine di un futuro che nel 2008 vedevo sfocatamente. Ma qualcosa è cambiato. Nelle variabili infinite e nell’incontrollabile caos di avvenimenti che sembrano prendere il sopravvento ogni giorno se chiudo gli occhi posso vedere la mia costante. Posso percepirla distintamente. E allora tutto diventa più sensato e controllabile. Perché, quantomeno, adesso so cosa è importante. Ora lo so.
– Desmond: Ti prometto.
– Penny: Non importa quando.
– Desmond: Tornerò da te.
– Penny: Non smetterò mai.
– Desmond: Te lo prometto.
– Penny: Te lo prometto.
Ti amo.
Dedicato al compianto prof. Enzo Lippolis che mi ha accompagnato nella mia crescita umana oltre che professionale e mi ha ricordato sempre l’importanza di credere nei valori dell’uomo