Come la storia recente ci ha insegnato, scrivere un finale di serie degno di nota è un’impresa in cui è fin troppo facile fallire. Ne esiste una, però, che risulta essere ancora più ardua: realizzare una grande stagione conclusiva, che sia in grado di tagliare il traguardo non solo in maniera soddisfacente, ma di farlo attraverso un rush finale memorabile da cui l’asticella dello standard qualitativo finisce per essere sollevata. Non dovrà dunque sorprendere l’assenza di titoli che presentano alcuni dei migliori finali di serie tv di sempre. Nessuno mette in dubbio il valore di episodi conclusivi come quelli offerti da Sons of Anarchy o I Soprano, ma in questa sede abbiamo deciso di premiare serie che si sono distinte per i rispettivi capitoli di chiusura e non per l’ultimissima pagina scritta.
Andiamo a scoprire quali sono con la classifica delle migliori ultime stagioni di sempre.
10) Dark
Una stagione finale in cui tutto torna. Non è mai un risultato scontato, ma lo diventa ancor meno se la sceneggiatura è quella di Dark, la celebre serie tedesca targata Netflix. Dark intreccia nella sua complessa trama storie, personaggi e linee temporali differenti, dando vita a un arazzo in cui non sempre è facile distinguere i fili. Se riuscirete a non perdervi nel labirinto progettato da Baran bo Odar e Jantje Friese (un block notes su cui prendere appunti potrebbe risultare utile), sarete premiati con una terza stagione all’insegna delle sorprese e della studiatezza.
9) Fleabag
L’indole acuta e irriverente di Phoebe Waller-Bridge si esprime alla massima potenza nell’ultima stagione di Fleabag, serie tv tratta dallo sceneggiato di cui lei stessa è autrice. È un’ultima stagione in cui la protagonista compie un vero e proprio salto in avanti sul piano della crescita personale. Fleabag guarda dentro se stessa e affronta i suoi demoni, non per arrivare a conquistare un idilliaco lieto fine, ma una maggiore consapevolezza, una che le consentirà di scendere dal palcoscenico e vivere la sua vita come se appartenesse soltanto a lei e non fosse uno spettacolo da portare avanti a beneficio del pubblico. Tra la bellezza di legami destinati a non essere e altri che vengono recuperati, la dramedy inglese che ha fatto incetta di premi congeda gli spettatori con quello che è l’equivalente di una carezza carica di malinconica.
8) Bojack Horseman
L’anima delicata e allo stesso tempo potente di Bojack Horseman, la serie animata creata da Raphael Bob-Waksberg per Netflix, raggiunge il culmine nella sua sesta e ultima stagione. Dopo una vita passata a rifugiarsi nell’inerzia e nell’evitamento, Bojack si decide a lavorare su se stesso e di farlo in quello che è l’unico modo possibile, ossia affrontando quel passato che lo insegue come un’ombra e che ha generato i comportamenti tossici e autodistruttivi che sono il suo segno distintivo. Bojack riesce nel suo intento? La risposta al quesito non è così netta, ma quel che è certo è la bellezza che la scrittura ha saputo imprimere allo sforzo compiuto in direzione dell’obiettivo.
7) The Good Place
Una serie tv deve per forza essere lenta per potersi dire di qualità? The Good Place è la prova che la risposta, contrariamente a quanto si sarebbe portati a pensare, è no. Dopo un inizio che esigenze di trama hanno costretto a mantenersi sottotono, la sitcom di Michael Schur spicca il volo e compie un’inarrestabile ascesa, culminata in uno dei finali più poetici di sempre. Ad introdurlo una stagione in cui Eleanor, Jason, Tahami e Chidi sconfiggono ogni sorta di nichilismo e di predestinazione, dimostrando l’assunto che costituisce il nucleo valoriale della serie: se messi in condizione di farlo, tutti possono cambiare.
6) The Americans
La storia sotto copertura dei coniugi Jennings, spie sovietiche camuffate da normali cittadini americani, si chiude con un’ultima stagione che risulta essere la più potente sul piano della resa emozionale. The Americans, il family drama che Joe Weisberg ha vestito da spy story, conclude la sua corsa con un atto ricco di intensità e sfociato in uno dei migliori finali delle serie tv che fa indubbiamente parte dei dieci motivi per amare questo gioiellino fin troppo nascosto.
5) Mad Men
La settima e ultima stagione di Mad Men, la serie in cui il mondo della pubblicità è utilizzato per raccontare i cambiamenti avvenuti nella società americana negli anni ’60, si struttura come un viaggio che da metafora interiore diventa fisico e va a veicolare un intenso, meraviglioso focus di chiusura sul protagonista e sull’esito della sua parabola esistenziale. Un esito a cui si giunge attraverso una presa di coscienza lenta ma costante, che non porta a una pacificazione ma solo a momento di profonda autenticità abilmente racchiuso dalla regia in un unico fotogramma.
4) Mr. Robot
Se una stagione strabiliante come lo è stata la quarta di Mr. Robot si ritrova giù dal podio, significa che la concorrenza è davvero spietata. L’ultimo atto della storia nata dal genio di Sam Esmail ha il merito di riuscire a muoversi superbamente lungo due linee direttive: quella tracciata dagli sviluppi di trama, con la lotta alla Dark Army che giunge a compimento, e quella corrispondente alla parabola individuale di Elliot Alderson, che dopo esser passato per traumi, lutti e realizzazioni ritrova se stesso attraverso quello che è un vero e proprio processo di ricomposizione sviscerato con straordinaria potenza espressiva.
3) The Shield
Le vicende della squadra d’assalto capeggiata da Vic Mackey giungono al capolinea nella settima, bellissima stagione di The Shield, il serial crime che Shawn Ryan ha ambientato presso un immaginario distretto della città di Los Angeles ispirato a Rampart, luogo di uno scandalo risalente agli anni ’90 del secolo scorso. Si tratta della stagione più articolata e complessa, quella in cui i nodi della narrazione vengono al pettine convergendo su una resa dei conti tanto attesa quanto inevitabile.
2) The Wire
Manca il gradino più alto del podio per un soffio la quinta, sontuosa stagione di The Wire, il drama poliziesco scritto da David Simon per HBO. Le prime quattro stagioni tessono pazientemente gli intrecci socio-politici che hanno luogo in quel di Baltimora tra corruzione, droga e abbandono. Nell’ultima quest’interconnessione raggiunge un assurdo, fenomenale apice, capace di sviscerare fino al midollo i perversi equilibri che vengono mantenuti a vantaggio di interessi personalistici e a scapito di quelli della città e dei suoi abitanti. Così il filo – inteso come lo svolgimento di certe, sporche dinamiche e il perpetrarsi dei ruoli che esse determinano – a cui il titolo allude continua a dipanarsi, dando vita a un presente che replica perfettamente il passato e che, di conseguenza, non potrà che forgiare lo stesso, nero futuro.
1) Breaking Bad
La parabola oscura tracciata da Walter White trova uno straordinario, ineguagliabile punto di arrivo nella quinta stagione di Breaking Bad, la serie capolavoro scritta da Vince Gilligan per AMC. Le carte in tavola sono capovolte: Walt ha cedute alle manie di onnipotenza e ha abbracciato apertamente il ruolo di villain. Ormai privo di scrupoli e freni inibitori, completerà la sua discesa negli Inferi con una fine tanto drammatica quanto necessaria. Il compimento della sua evoluzione è un capolavoro di analisi e cura del dettaglio degno del miglior finale di sempre.