Negli ultimi anni stiamo assistendo a un boom senza precedenti e davvero fuori dal comune relativo alla produzione di miniserie tv. Di pari passo con questa incredibile infornata di show televisivi autoconclusivi, gli spettatori si stanno piacevolmente abituando a queste linee narrative di breve durata, collezionando limited serie una dopo l’altra.
Le piattaforme streaming che hanno invaso i palinsesti televisivi tradizionali delle tv di tutto il mondo stanno puntando con decisione su questi piccoli gioielli di estensione limitata.
Talvolta, il successo di pubblico e critica di alcune miniserie è talmente ampio da costringere l’emittente di turno a produrne una seconda e inaspettata stagione.
È stato il caso, ad esempio, di uno degli show di maggiore successo degli scorsi anni, Big Little Lies, della Hbo. Dopo addirittura cinque Emmy awards incassati, tra cui la statuetta come miglior miniserie, quelle per la migliore attrice protagonista e non (assegnate a Nicole Kidman e Laura Dern) e quella per il miglior attore non protagonista (Alexander Skarsgard) il canale via cavo americano ha optato per il rinnovo di una seconda stagione, a dire la verità meno brillante e convincente della prima, riuscendo, tuttavia, a ingaggiare persino un pezzo da novanta di Hollywood, vale a dire sua maestà Meryl Streep.
Un altro esempio, sempre di casa Hbo, di una miniserie iniziata tale, ma cresciuta da serie tradizionale, è la più recente The Flight Attendant con Kaley Cuoco. L’inaspettato successo dello show, condito con l’interpretazione magistrale dell’ex Penny di The Big Bang Theory, ha convinto i piani alti dell’azienda a rinnovarla per una seconda stagione che, tra l’altro, si sta rivelando una piacevolissima sorpresa, nonostante lo scetticismo iniziale, non deludendo affatto le aspettative.
Ma chi dobbiamo ringraziare per questo rivoluzionario e immediato cambiamento?
In primis, l’emittente televisiva più potente, premiata e credibile (in ambito di serie tv) del momento: stiamo, naturalmente, parlando della Hbo.
Le miniserie tv dell’Hbo hanno scritto pagine imponenti della serialità televisiva, divenendo delle vere e proprie pietre miliari dell’intrattenimento.
Marchio di fabbrica della tv via cavo americana, le limited series prodotte sono il fiore all’occhiello dell’azienda; ne possiamo citare qualcuna, come ad esempio, Band Of Brothers, ambientata nel corso della Seconda Guerra mondiale, True Detective (miniserie antologica), un crime spietato la cui prima stagione ha toccato vette altissime di tensione grazie anche a una scrittura praticamente perfetta e alle magiche interpretazioni dei due protagonisti, e, infine, la più recente Chernobyl, capolavoro indiscusso degli ultimi anni, capace di portarsi a casa ben tre Emmy.
Cerca di stare al passo coi tempi anche il colosso Netflix, poco avvezzo fino a una manciata di anni fa, al format delle miniserie.
Partendo in sordina con alcuni prodotti, taluni convincenti come il western Godless, altri veri e propri buchi nell’acqua, come il visionario Maniac, in pochissimo tempo la N gigante rossa ha saputo affondare il colpo con show televisivi che hanno catturato il cuore dei propri spettatori.
È il caso, ad esempio, della toccante Unorthodox, che ci catapulta nelle stringenti maglie dell’ortodossia ebraica, dell’avvincente Unbelievable sul delicato tema dello stupro, passando per la meravigliosa e attualissima When They See Us fino al successo planetario della Regina Degli Scacchi con la quale Netflix riesce a vincere per la prima volta nella sua storia l’Emmy come miglior miniserie (bissando, oltretutto, il successo stagionale di The Crown). Vi rimandiamo, a proposito, al nostro articolo 5 miniserie presenti su Netflix che sono ingiustamente sottovalutate.
Tra i due litiganti, il terzo gode? Non proprio, ma ci va molto vicino.
La piattaforma streaming Hulu, negli ultimi mesi, ha fatto palestra e si sta specializzando con miniserie di eccellente qualità spesso trasmesse, in Italia, da Disney plus. Esempi notevoli sono la commovente Normal People, una devastante e vivida storia d’amore adolescenziale, o le più recenti Dopesick e The Dropout, entrambe basate su casi farmacologici realmente accaduti negli Stati Uniti d’America.
Ma quali sono i motivi principali che si nascondono dietro questa enorme richiesta di miniserie tv?
Ne abbiamo individuati principalmente tre, quanto basta per legittimare l’incalcolabile quantitativo di limited series prodotte negli ultimi tre anni; un aumento vertiginoso di miniserie tv offerte dai più importanti network televisivi proporzionale all’esponenziale gradimento da parte del pubblico comodamente seduto davanti allo schermo:
Il tempo
Senza dover incorrere nella banale critica sociale della nostra epoca, dominata da stress, tempi ristretti e gravosi impegni familiari e lavorativi, il pubblico di casa viene sempre di più attratto dall’immediatezza delle cose.
Le miniserie, infatti, sono in grado di garantire vicende appassionanti e coinvolgenti racchiuse in pochissime ore di trasmissione.
Ci sono limited series che si sporgono fino alle dieci puntate, vedi ad esempio Maid di Netflix, quelle che si esauriscono negli oramai otto canonici episodi (True Detective, Dopesick), fino a produzioni dalla brevissima durata, preferendo non sforare il numero di quattro/cinque puntate e a tal proposito si potrebbero citare raffinate produzioni come Patrick Melrose, Olive Kitteridge (qui la nostra recensione Olive Kitteridge: una miniserie che lascia il segno in soli quattro episodi) o la più recente Scene Da Un Matrimonio.
In verità, nel corso degli anni, i colossi tv di tutto il mondo ci hanno lentamente accompagnati per mano in questo piacevole viaggio nel ridimensionamento delle tempistiche.
Siamo passati gradatamente da serie tv composte da molteplici stagioni e innumerevoli episodi a serie tv che hanno iniziato a preferire gli 8/10/12 episodi standard per stagione.
Annoveriamo, ad esempio, nella prima categoria il dramma medicale Dr. House (otto indimenticabili stagioni, ma con un’invidiabile media di ventidue episodi per stagione) o l’intrigante crime CSI (quindici stagioni, la maggior parte delle quali composte da ventidue episodi in su).
Alla seconda categoria, invece, appartengono show televisivi di successo come, ad esempio, la serie tv di spionaggio per eccellenza, Homeland (otto stagioni, da dodici episodi ciascuna), lo spin-off di Breaking Bad, l’acclamato Better Call Saul (cinque stagioni da dieci episodi più l’ultima, attualmente in onda, da tredici) o il sottoprodotto Star Wars The Mandalorian (ferma a due stagioni da otto episodi ciascuna aspettando la terza attesissima stagione).
Questo evidente accorciamento di stagioni ed episodi raggiunge il suo apice con le miniserie.
Poche ore di intrattenimento che fanno felici gli spettatori meno pazienti, incapaci di sorbirsi stagioni su stagioni, preferendo istantaneità e tempestività.
Sono sempre di più, infatti, i fruitori di serie tv che rinunciano, ad esempio, al recupero di show massicci del passato per non sottostare a impegni duraturi.
Mettiamoci nei panni, ad esempio, di chi fosse intenzionato a ripristinare una serie tv come Mad men (novantadue episodi suddivisi in sette stagioni) o, addirittura, Grey’s Anatomy, per giunta ancora in corso, con le sue diciotto infinite stagioni e la bellezza di quattrocento episodi trasmessi.
Insomma, la parola d’ordine è immediatezza.
Il pubblico gradisce il tutto e subito, il qui e ora, l’hic et nunc. Senza fronzoli, senza lungaggini, senza l’opprimente sensazione di un legame con qualcosa che nessuno sa quando si spezzerà.
Il costo
Va da sé che, concentrandosi su pochi episodi alla volta, le spese di produzione vengono sensibilmente diminuite.
A fronte dei costi multimilionari ed esorbitanti come, ad esempio, quelli stanziati per le attesissime Il Signore Degli Anelli di Amazon Prima o The Last Of Us della Hbo, le spese preventivate, invece, per le miniserie sono più contenute.
Questo, a dire la verità, consente alle emittenti televisive di poter contrattualizzare anche importanti star del cinema, orami abituate alla chiamata del piccolo schermo.
Ne sa qualcosa Nicole Kidman, protagonista di due drammi recentissimi (The Undoing e Nine Perfect Strangers), la divina Kate Winslet, che ha fatto incetta di premi contribuendo al successo di due miniserie Hbo (Mildred Pearce e Mare Of Easstown) fino ad altisonanti nomi come la fresca vincitrice del premio Oscar Jessica Chastain e il sontuoso Oscar Isaac, interpreti di spicco dello straziante Scene Da Un Matrimonio.
Meno soldi investiti, qualità all’altezza delle aspettative, pubblico accontentato. L’equazione perfetta del segreto alla radice delle miniserie tv degli anni recenti.
La qualità
É capitato, purtroppo, che le enormi distanze percorse dalle serie tv, molto spesso costringendo gli autori ad allungare il brodo compromettendo l’integrità e la qualità del prodotto, hanno tracimato nell’approssimazione sfinendo il proprio pubblico da casa.
Sì, è stata lo spartiacque dell’età dell’oro della serialità che stiamo fortunatamente attraversando, la madre delle serie tv contemporanee, ma è anche vero che una serie maiuscola come l’iconica Lost avrebbe meritato un trattamento differente senza doversi necessariamente trascinare stancamente fino alla sesta stagione.
L’obbligatorietà dei tempi ristretti, infatti, permette agli autori delle miniserie tv, sottoposti a una attenzione maggiore da dedicare alla minuzia dei particolari, di concentrare in un arco narrativo limitato un calibrato numero di informazioni da fornire e sottoporre agli spettatori.
Sta naturalmente all’abilità creativa degli autori e alla loro proverbiale capacità di sintesi, il compito di centrare il bersaglio.
Distillare in pochi episodi un intero concentrato di accadimenti, background dei protagonisti e colpi di scena, non è mai facile, ma la storia recente ha dimostrato tutto il contrario.
Basti considerare l’enorme lavoro compiuto da Damon Lindelof col suo Watchmen, mattatore assoluto degli Emmy 2020, ma anche la caccia sfrenata al temutissimo villain Lando nella prima stagione della miniserie antologica Fargo.
Non sappiamo fino a che punto questa moda contemporanea andrà avanti; se assisteremo a un ritorno al passato, oppure se si continuerà a premere forte sull’acceleratore delle limited series.
Quello che possiamo garantire è che ci attendono nei prossimi mesi stuzzicanti show televisivi appartenenti a questo format.
Elisabeth Olsen, ammirata in Wandavision e nel secondo capitolo del Doctor Strange al cinema, sarà la protagonista del thriller Hbo Love And Death.
Il colosso di New York ci diletterà, inoltre, con un’altra miniserie a tinte gialle, The Staircase, con protagonista il premio Oscar Colin Firth.
Netflix risponderà a tono con Monster: The Jeffrey Dahmer Story, del più che prolifico Ryan Murphy che ha già maturato un’invidiabile esperienza nel settore delle limited series, alcune riuscitissime come l’emozionante The Normal Heart, altre abbastanza deludenti come Hollywood.
Non si farà attendere nemmeno Hulu con Under The Banner Of Heaven (col richiestissimo Andrew Garfield come protagonista) e che, in Italia, avremo la fortuna di visionare sulla piattaforma Disney plus, e The Girl From Plainville, crime drama con la bravissima Elle Flenning.
Contestualmente Showtime, Starz e Apple tv (guai a sottovalutare quest’ultima nei prossimi anni) hanno rilasciato in questi giorni tre prodotti davvero interessanti: la serie antologica The First Lady con Viola Davis nei panni di Michelle Obama, Gaslit, miniserie di soli tre episodi incentrati sul caso Watergate e con protagonisti due mostri sacri come Sean Penn e Julia Roberts e We Crashed in cui Jared Leto e Anne Hathaway sono gli interpreti principali della serie tv incentrata sull’ascesa e sulla decaduta di una startup americana dal valore inestimabile.