1) Alice in Borderland
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Alice in Borderland è una serie giapponese tratta dall’omonimo manga di Haro Aso che, come suggerisce il titolo, è una rivisitazione in chiave gamer di Alice nel Paese delle Meraviglie. La serie è piaciuta al pubblico mainstream, ma non ha soddisfatto gli irriducibili degli anime. Arisu, il protagonista, di punto in bianco si sveglia in una Tokyo alternativa e fantascientifica. La sigla dovrebbe trasmetterci quel senso di estraniamento, panico e adrenalina in accordo con gli effetti speciali, il mistero e il carattere in stile survival game della serie.
Invece non si dimostra all’altezza e, rispetto alle sigle degli anime giapponesi, come quella di Death Note, manca di tutti quegli elementi visivi e sonori vorticosi e spavaldi che ci preparavano a spaccare tutto. Una sigla che non finisce mai, una versione a rallentatore di quella di The Walking Dead dalla quale però hanno strappato via tutta l’emozione e la suspense.
Non si tratta di sigle bruttissime, ma di sigle che, per colpa di Netflix e non solo, non svolgono il loro compito.
Non ci trasmettono emozioni. Non ci catapultano nella narrazione. Mancano di quell’originalità che Netflix possiede e di quelle caratteristiche che fanno aprire in pochi secondi mondi paralleli eccitando indelebilmente la nostra fantasia. Con queste 10 sigle Netflix non ha sbagliato del tutto, ma non si è impegnata abbastanza e ha sprecato le sue infinite potenzialità creative.
Skip intro sì o skip intro no?