Tra le produzioni Originali Netflix prevale l’esigenza di lasciarci una trama coerente, capace di fermarsi al momento opportuno, oppure la smania di uscire ogni anno con una nuova stagione? Per ogni produzione va affrontato un certo tipo di discorso, è inutile generalizzare. Tra i titoli più famosi della piattaforma ce ne sono alcuni che hanno saputo lasciare il segno con pochi episodi, altri che invece hanno preferito andare avanti sacrificando la qualità complessiva del prodotto pur di allungare il brodo e sfornare ogni volta un nuovo ciclo di puntate. Dark, tanto per citarne una, è una serie tv nata con l’intento di chiudere il cerchio alla terza stagione e così è stato. Stessa cosa per Ozark, che si concluderà con la sua quarta stagione nonostante il grande successo -. Ci sono poi produzioni Netflix che, anche a fronte di un numero importante di stagioni, riescono a mantenere comunque alto il livello della scrittura.
Non è tanto, quindi, dalla quantità di episodi che si può stabilire quanto una serie – che sia targata Netflix o altro – si sia dilungata troppo oltre , quanto piuttosto dalla combinazione di elementi diversi.
In questa lista, vi proponiamo sette titoli che ci sono venuti in mente dando uno sguardo al catalogo della piattaforma. Si tratta di serie tv che avrebbero potuto fermarsi molto tempo prima, senza cadere nella tentazione di rinnovare pur in assenza di elementi di novità forti o di idee coerenti con il resto della trama. Sono prodotti che in alcuni casi hanno finito per perdere forza e credibilità, snaturandosi completamente o comunque deludendo le aspettative del pubblico.
Ecco di che si tratta.
1) 13 Reasons Why
La serie di Brian Yorkey ha fatto il suo debutto sulla piattaforma a marzo 2017. Una storia straziante, complessa, emotivamente forte. Jay Asher ha fornito a Yorkey il soggetto con il suo romanzo 13, che in effetti ripercorre le vicende della prima stagione della serie. Il pubblico ne è rimasto colpito, la critica l’ha applaudita. 13 Reasons Why si è presentata come un grosso pugno allo stomaco. Ha dato modo di riflettere e ha fornito spunti per un’analisi più attenta e meno superficiale del mondo giovanile, delle tematiche legate al bullismo, alle violenze, alle difficoltà comunicative dei ragazzi. È stata una serie dallo sviluppo estremamente coerente: tredici episodi per tredici cassette. E tredici storie che si intrecciavano a personaggi complessi, disperati e problematici.
Fosse finita con la prima stagione – l’unica che si ispira al romanzo di Asher – sarebbe stata una serie tv grandiosa. Invece 13 Reasons Why è andata avanti con un secondo capitolo che ha mostrato i primi scricchiolii, poi ancora con un terzo e infine con un quarto. Con il risultato che quello che sembrava un prodotto affilato e sconvolgente, adatto anche (e forse soprattutto) ad un pubblico adulto, si è trasformato in un teen drama che ha notevolmente intricato la matassa, infilando di volta in volta nella storia filoni nuovi e personaggi che ne hanno snaturato completamente l’anima. 13 Reasons Why poteva essere una grande serie tv, ma ad oggi, dopo tre stagioni di troppo, altro non è se non un grosso rimpianto a cielo aperto.
2) La Casa de Papel
Altro titolo che non si può escludere da questa lista è La Casa de Papel, che non è nata come Originale Netflix, ma lo è diventata dopo le prime due stagioni (sulla tv spagnola andò in onda una sola lunga stagione, che poi la piattaforma ha sdoppiato). Parliamo di un fenomeno mondiale, per cui era scontato che le rapine della banda del Professore non potessero fermarsi al colpo alla Zecca di Stato. Ancor di più se i fan di tutto il mondo si erano messi a reclamare a gran voce un seguito per la serie. Álex Pina ha sfruttato l’onda del successo e ha regalato al suo pubblico una nuova palpitante rapina. Milioni di fan hanno guardato la terza stagione de La Casa de Papel e poi anche la quarta e la quinta.
Ma ce n’era davvero bisogno? Al di là del guilty pleasure di guardare un prodotto poco raffinato ma comunque coinvolgente, quello che ha fatto Pina nelle successive stagioni dello show è stato allungare il brodo con una trama che è apparsa il più delle volte ridondante e ripetitiva. Nelle dinamiche narrative, nel percorso individuale dei personaggi, nella riproposizione degli stessi schemi e degli stessi plot twist, persino in gran parte degli elementi scenografici. E mentre il colpo alla Zecca di Stato è durato appena due stagioni, la rapina successiva ha impegnato la banda per ben tre stagioni, di cui l’ultima divisa in due parti: in tutto ventisei episodi in tre anni per riproporre più o meno le stesse dinamiche. Ma ci è piaciuto anche così.
3) Dear White People
Anche le quattro stagioni di Dear White People, a guardarle nel complesso, sembrano troppe. Inutilmente, aggiungeremmo. La serie ci ha propinato delle stagioni un po’ troppo sconnesse tra loro e le ultime due in particolare sembrano allontanarsi notevolmente dall’indirizzo iniziale dello show. Questa serie si presentava come un prodotto di critica sociale, infarcito di idealismo e sarcasmo, leggero e fluido. La seconda stagione si è innestata pressoché sulla medesima linea, gettandosi ancora più a fondo nel racconto dei personaggi e delle loro battaglie, sociali e personali. Ma già il terzo ciclo di episodi ha finito per rincorrere le stagioni precedenti distaccandosene parecchio. Il settarismo ha preso il posto dello slancio idealistico delle prime puntate e gli spunti sono sembrati via via meno interessanti.
La quarta stagione poi è diventata molto più frivola e superficiale, assumendo i toni del teen drama e prediligendo aspetti che all’inizio servivano solo da riempimento narrativo. Anche la forte predominanza delle parti musicali ha finito per allontanare l’ultima Dear White People da quella dell’inizio. La sensazione è che lo show sia andato avanti troppo a lungo, senza idee chiare e soprattutto senza lo slancio dei primi capitoli.
4) Élite
L’altra serie spagnola della lista è Élite, il teen drama dalle tinte un po’ cupe che ha fatto il suo debutto sulla piattaforma nel 2018. Si tratta anche qui di una serie che è diventata in breve tempo un fenomeno adolescenziale, conquistando un’ampia fetta di pubblico proprio tra i teenagers. Come gran parte delle serie tv spagnole degli ultimi anni, anche Élite tende però ad allungarsi più del dovuto, sacrificando la coerenza narrativa all’esigenza di uscire ogni anno con un nuovo ciclo di episodi. Il cerchio di Élite poteva dirsi chiuso con la terza stagione e la morte di Polo, che sembrava aver messo fine al lungo periodo di dolore che si era aperto con la scomparsa di Marina.
La produzione è invece andata avanti con una quarta stagione di otto episodi, che ha aperto nuovi filoni narrativi, e la conferma di una quinta, in arrivo sempre su Netflix.
A tutto ciò, vanno aggiunti ben ventuno episodi speciali, le cosiddette Storie Brevi che approfondiscono i singoli personaggi e si incastrano temporalmente tra una stagione e l’altra. Forse un tantino troppo per un teen drama che è sicuramente molto amato, ma che sembra più interessato ai numeri e al successo di pubblico piuttosto che alla storia e alla qualità generale del prodotto. Élite continua a funzionare e riesce a mantenere i suoi standard di pubblico, ma le novità con cui si era presentata nella prima stagione sembrano ormai un lontano ricordo.
5) House of Cards
House of Cards è stato uno dei primi fiori all’occhiello di Netflix. Un political drama che ha mostrato il volto cinico e opportunista del potere, la scalata alla Casa Bianca di un personaggio controverso e spregiudicato, gli intrighi e le manovre di palazzo, i rapporti di forza all’interno del cerchio magico del Presidente e il forte legame personale e professionale tra Frank Underwood e sua moglie Claire. Lo show ha riscosso subito grande successo, al punto da essere apprezzato persino da Barak Obama. Decine di nomination agli Emmy e ai Golden Globe e migliaia di fan che ne hanno seguito tutte le stagioni con grande trasporto. Ma anche House of Cards ha finito per afflosciarsi nelle sue stagioni finali. Mantenere lo stesso trend qualitativo per oltre cinque anni non è un’impresa da poco, ma nel caso specifico di questa serie, gli eventi non hanno aiutato.
Il licenziamento di Kevin Spacey, colonna portante dello show, in seguito alle accuse di molestie sessuali, ha portato indirettamente ad una fine anticipata e sbrigativa della serie. House of Cards si è concluso infatti con una sesta stagione in cui è stata proprio Claire Underwood (Robin Wright) a prendere le redini del potere. L’ultimo ciclo di episodi però – solo 8 a fronte dei 13 delle stagioni precedenti – ha mostrato una serie in affanno, sbrigativa e priva di uno dei suoi punti forti. Un finale sicuramente non degno di House of Cards, che aveva già dato l’idea di essere andata avanti un po’ troppo a lungo e che con la sesta stagione ha chiuso con l’amaro in bocca un ciclo che sembrava destinato a imperituro successo.
6) You
Un’altra serie che è riuscita a farsi rinnovare ogni anno per una nuova stagione è You, che era stata trasmessa su Lifetime negli Stati Uniti per la prima stagione e poi è stata acquisita da Netflix che l’ha resa disponibile sulla sua piattaforma a partire da dicembre 2018. You è un thriller psicologico che ha per protagonista Joe Goldberg, un libraio di New York che si innamora di una ragazza e ne diventa ossessionato, mostrando il suo lato più psicopatico e maniaco. Le prime stagioni dello show – che sono basate sui romanzi di Caroline Kepnes – sono state un grande successo di pubblico, dato che è poi stato confermato anche dalla buona accoglienza del capitolo successivo. Tuttavia, mentre le prime due stagioni sono riuscite ad imporsi con forti elementi di novità, la terza ha finito per girare sempre intorno allo stesso punto.
La seconda stagione aveva saputo tenere alta l’attenzione dello spettatore mostrandosi in grado di portare ad uno stadio successivo l’evoluzione della trama. Con la terza invece, gli elementi innovativi iniziano ad essere sempre di meno e la storia finisce per girare attorno alle stesse paranoie e alle stesse dinamiche. La sensazione che si ha è di essere intrappolati nella stessa linea narrativa da troppo tempo, ma la quarta stagione – che dovrebbe arrivare per la fine dell’anno – potrebbe metterci una pezza e ridare nuovo spessore allo show.
7) The Rain
Ultimo titolo della lista è The Rain, la serie scandinava apparsa nel 2018 sulla piattaforma e conclusasi nel 2020 con la terza stagione. Si tratta della prima serie tv danese prodotta da Netflix e il suo ultimo ciclo di episodi è stato rilasciato in un periodo storico che l’ha resa più inquietante e claustrofobica. The Rain racconta infatti di un gruppo di sopravvissuti a un virus letale nascosto nella pioggia. Non è una serie molto lunga – il totale degli episodi è 20, distribuiti in tre stagioni – eppure a guardarla tutta si ha comunque la sensazione che duri un po’ troppo. La prima stagione era composta da otto episodi e, in alcuni punti, sembrava già impantanarsi nello svolgimento della trama. Ma l’elemento di novità e qualche plot twist ben dosato erano riusciti ad ogni modo a rendere la storia scorrevole e interessante.
Con la seconda e la terza stagione, il numero di episodi si è ridotto, ma la sensazione che gli autori stessero un po’ tergiversando si è fatta addirittura più concreta. Il finale verso cui si è indirizzato questo prodotto originale Netflix non ha più nulla a che fare con le premesse della prima stagione. La pioggia sembra un lontano ricordo e gran parte degli episodi finiscono per essere puramente riempitivi. Il numero di 6 puntate era probabilmente il minimo per mettere in piedi una stagione, ma The Rain avrebbe funzionato molto di più se avesse seguito un format diverso, anche come miniserie autoconclusiva, impostazione da cui avrebbe tratto indubbiamente maggiore vantaggio.