Ieri sulla pagina Facebook di Marco “Monty” Montemagno abbiamo potuto assistere a un interessante video di una lunga chiacchierata con l’attore Paolo Kessisoglu (coprotagonista, tra le altre cose, di Camera Café). I due affrontano moltissimi temi: dallo sport all’attualità, dalle esperienze professionali alla situazione del web oggi. Quello però che ci ha colpito di più e che ci fa piacere raccontare è quanto è stato detto sul nostro mondo. Il mondo delle serie tv.
Dato che il video ha una durata di oltre un’ora può essere utile avere a disposizione un estratto più fruibile della parte relativa alle serie tv. Anche perché nell’intervallo di tempo dedicato a questo argomento sono uscite riflessioni realmente interessanti. Sono stati infatti colti molti aspetti della serialità di oggi che possono essere spunto per ulteriori approfondimenti.
Montemagno introduce l’argomento facendo riferimento a una loro precedente chiacchierata. Ricorda infatti che era emerso quanto le serie tv americane risultino sempre più accattivanti di quelle nostrane. La domanda è sottolineata da questa espressione:
Apri Netflix e dici “che livello però!”. Poi magari vedi una serie italiana e dici “Insomma, non mi sembra dello stesso livello”.
Da questa riflessione nasce un’interessante discussione sulle ragioni. Il primo aspetto affrontato è quello relativo alla differente qualità della recitazione in lingua inglese rispetto a quella in italiano. Montemagno sottolinea come, ad esempio, quando un attore americano interpreta un sicario quello che vede il pubblico è esattamente un sicario. Mentre quando un attore italiano interpreta, per esempio, un mafioso la reazione che lui ha è quella di un attore che “fa la parte” di un mafioso. Come se ci fosse una sorta di distonia tra il tempo recitativo e l’impersonificazione del personaggio.
Interessante la replica di Paolo Kessisoglu. Chiarito che il discorso è articolato e complesso secondo lui è necessario ammettere che gli americani sono più bravi. Non unicamente nell’aspetto recitativo.
Aspetto per il quale riporta una sua esperienza personale. Ci racconta che nelle poche occasioni in cui ha dovuto recitare in inglese ha trovato maggior facilità che non in italiano. La ragione secondo lui è che dovendosi concentrare sulla lingua straniera non disperdeva energie come invece succede quando si recita nella propria lingua. Ci si concentra di più su cosa deve essere detto. Come si diceva però, più bravi non prettamente sull’aspetto recitativo ma soprattutto su quello tecnico.
I mezzi a disposizione delle produzioni estere, soprattutto americane, sono enormi rispetto a quelle nostrane. Il tema del budget e delle sue implicazioni in ambito tecnologico e produttivo sono quindi un elemento rilevante per capire e spiegare il divario che notiamo. Ma non è solo questo.
Paolo Kessisoglu fa notare come innanzitutto il mestiere dell’attore nel modello americano è riconosciuto a ogni livello, anche a inizio carriera, per la sua professionalità. Intesa in termini di “professione”. In Italia ancora è visto come hobby. Questo è dovuto al fatto che ciò che ruota attorno alla recitazione è comunque un business e come tale viene trattato. Un business che, al giorno d’oggi, non fa distinzione tra l’attore di cinema e quello di televisione. Nella sua esperienza invece questa distinzione è ancora forte e radicata in Italia.
Il sistema di business che ruota intorno all’attore in America viene definito come integrato. Questo proprio in virtù della maggior interazione tra cinema e televisione che permette una crescita maggiore dell’intero prodotto. Aggiunge poi alcuni elogi sulla serietà che esiste dietro il modello americano. Come esempio di serietà riporta la considerazione che c’è sulla formazione e sulla crescita accademica di attori e tecnici rispetto che in Italia. Quindi l’investimento nella formazione come elemento determinante la qualità del prodotto finale.
L’importanza della formazione è ribadita con una considerazione decisamente interessante sul fatto che la recitazione sia un mestiere.
Mentre in Italia è considerata qualcosa attinente a una più generica forma “artistica” che quindi afferisce più all’improvvisazione che non alla tecnica. Su questo argomento invece il suo pensiero è molto diverso:
La recitazione afferisce poco con l’arte. È un lavoro più artigianale che artistico.
Paolo chiude questa prima parte di conversazione sulle serie tv citando lo show targato Netflix La Casa di Carta come esempio di produzione non americana che però ha il respiro di quelle americane. Sia per resa visiva che per impatto. Cita tra le produzioni italiane che possono ambire a medesima considerazione: Rocco Schiavone. Ci sentiamo d’aggiungere e consigliare anche Gomorra, in questo senso.
La chiacchierata tra i due prosegue con una considerazione sui due colossi della produzione e distribuzione in streaming di contenuti seriali: Netflix e Amazon Prime Video. Montemagno fa notare come Amazon abbia portato quest’anno a 5 miliardi di dollari l’investimento per l’acquisto e produzione di contenuti originali.
Un incremento notevole che lo avvicina ai 7/8 di Netflix. Questa rincorsa al rialzo da parte delle due aziende fa presupporre un ulteriore aumento della qualità di ciò che potremo vedere nei prossimi anni.
La parte sulle serie tv di questo interessante video si conclude parlando dell’esperienza di Paolo come produttore. Da 5 anni infatti produce Private Collection su Sky Arte, condotto dalla moglie Sabrina Donadel. Rispondendo alle domande di Monty scopriamo che la serie tv che ha fatto da spartiacque nell’immaginario di Paolo è 24. Questa serie infatti ha mostrato all’attore italiano come fosse possibile realizzare un prodotto di alta qualità pur contenendo i costi di produzione. Lavorando su una buona scrittura e su una razionalizzazione della logistica, delle location e delle riprese.
Non ci resta che consigliarvi la visione dell’intera intervista anche per conoscere tutti gli altri temi affrontati. La conversazione, come nel caso delle serie tv, è stata sempre molto frizzante e mai banale. Ve la mettiamo qui sotto. Buona visione.