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L’esperienza di Nine Perfect Strangers entra nel vivo col benvenuto di Masha Dmitrichenko (interpretata dalla talentuosa Nicole Kidman). Masha è accompagnata da una luce mistica e contornata da una chioma bionda che a tratti ricorda la nobile dama elfica Galadriel de Il Signore degli Anelli. L’ambiente è paradisiaco, il resort benessere è ambientato in un luogo fuori dal mondo e la scenografia è accuratamente ricercata: pochi oggetti d’arredamento, ma molto eleganti e giusti per ogni singola sequenza. La natura è la regina imperante della serie e non solo terrestre, ma anche la natura umana che prevale sulla fisicità dei personaggi. Nonostante ciò la bellezza esteriore non manca di accompagnare alcuni momenti della serie. Jessica Chandler è una bellissima influencer ossessionata dalla perfezione e dai riscontri positivi dei suoi followers.
Ma quando la trama avanza sorge spontanea una domanda: cosa ci vuole raccontare Nine Perfect Strangers (qui la recensione completa)? La nostra serie in questione è basata sull’omonimo romanzo di Liane Moriarty e il subito ci si chiede se la trama seguirà il filo narrativo originale o si prenderà una licenza poetica degna di ogni impavido ideatore? E visto che la serie è racchiusa in un formato di otto puntate la perplessità del pubblico aumenta. Nine Perfect Strangers sarà in grado di attirare il filo dell’attenzione puntata dopo puntata e raggiungere un apice narrativo in così poco tempo? O sarà una storia incompleta che ci spingerà a cercare significati in una possibile nuova stagione?
Il pregio delle miniserie
Gli ideatori di Nine Perfect Strangers sono David E. Kelley e John Henry Butterworth e David E. Kelley è già stato ideatore di miniserie con Big Little Lies (sempre basata su un romanzo di Liane Moriarty) una storia che si schiude strato dopo strato in un contorto intreccio di esperienze al femminile. Il pregio delle miniserie è proprio quello di sviluppare storie e personaggi mostrando il processo narrativo in tutta la sua nudità essenziale. In questo genere un trauma non è solo un deus ex machina che dà il via a un nuovo capitolo, ma è un processo di trasformazione vivida in cui il pubblico è coinvolto contribuendo con le sue stesse domande a creare un universo di significati intorno alla serie.
Nine Perfect Strangers e Big Little Lies
Confrontando la nuova creazione di David E. Kelley con quella più “vecchia”(se mai per una serie sia possibile invecchiare) si nota che per Kelley lo sfondo thriller/noir non è una scelta tematica, ma piuttosto uno strumento di cui le storie si avvalgono per incalzare i personaggi e smuovere le acque di un mondo – quello seriale – ormai stanco del dualismo culturale bene e male, giusto e sbagliato. E le miniserie, nonostante la storia non sia infinita come in Grey’s Anatomy o in The Walking Dead riescono in questo intento regalando una fitta trama di vicende che in poco tempo si dispiegano e istigando lo spettatore a ricercare soluzioni ai dilemmi esistenziali di Big Little Lies e di Nine Perfect Strangers.
Ma in Nine Perfet Strangers David E. Kelley porta più carne al fuoco in termini di genere tematico. Lo notiamo con Melissa McCarthy (coproduttrice insieme a Nicole Kidman) che introduce sapientemente l’elemento della comicità, scelta che in una serie mistery/thriller è sempre un salto nel buio. In questo caso la comicità è usata a piccole dosi, come dei sorsi d’acqua che rinfrescano e smorzano un ambiente a tratti ansiogeno. Mentre, un elemento che accomuna le due miniserie (forse l’impronta dello stile di Kelley) è la volontà di rovesciare i concetti di violenza e trauma e inserirli in un ambiente che sfida il senso comune. Sappiamo tutti che le protagoniste di Big Little Lies uccidono Perry (l’uomo che ha usato violenza contro Celeste e Jane), ma lo spettatore non sente questo assassinio come una un insegnamento finale piuttosto come una reazione a catena di eventi tragici ed esistenziali.
Ma quindi, dove voleva andare a parare Nine Perfect Strangers?
Nine Perfect Strangers può sembrare una serie pretenziosa per l’ambientazione un po’ “tantrica” e molto ricercata, per la presenza di un’attrice importante come Nicole Kidman che con la sua Masha è un punto cardine di una storia enigmatica. Ma, nel dispiegarsi della trama notiamo che la pretenziosità lascia spazio alla sperimentazione narrativa. Lo si nota nell’uso sapiente di generi diversi che regalano allo spettatore una visione più leggera di una trama – per così dire – pesante. Il cast poliedrico alterna figure iconiche come Nicole Kidman e Melissa McCarthy ad attori ancora alle prime armi. Interessante la scelta di usare Manni Jacinto per interpretare il riflessivo Yao che stona con la sua divertente interpretazione dell’immaturo Jason Mendoza in The Good Place
Insomma, l’intento principale di Nine Perfect Strangers è quello di raccontare senza raccontare, di far fluire la storia – o meglio – le storie in un flusso narrativo senza pretese di verità illuminanti, nonostante lo sfondo “hippie esistenziale” dia un’altra impressione. E la verità è che Nine Perfect Strangers è proprio figlia del suo tempo e parla allo spettatore di oggi che non osserva, ma interpreta volendo essere narrativamente coinvolto. Che David E. Kelley sia riuscito nell’intento è ancora presto a dirsi, di sicuro il suo prodotto è una perfetta cavia per un esperimento di questo genere, ma come si suol dire ai posteri l’ardua sentenza!