1) Peaky Blinders
La poesia, l’estetica, il magnetismo di Thomas Shelby. Non può mancare in questa classifica Peaky Blinders, la serie che ha saputo far innamorare il mondo del dialetto di Birmingham.
Tutto è studiato con meticolosità senza precedenti e le immagini del passato, i ricordi, le visioni e il presente si fondono in una successione continua e quasi ininterrotta col sottofondo delle splendide melodie di un rock sporco e industriale.
Da dove partire nella valutazione di Peaky Blinders? Forse proprio dalle musiche che hanno saputo accompagnarsi al racconto con incredibile aderenza. Nick Cave, i Radiohead, i Joy Division, la cover di Bob Dylan (una canzone di cui vi abbiamo parlato in questo approfondimento su Mad Men) e molti altri ancora. La scelta dell’uso di canzoni moderne per un’ambientazione come quella della Birmingham del primo dopoguerra poteva creare un pericoloso scollamento con lo sfondo narrativo.
Il risultato invece è stato sorprendente. Partendo già dalla magnifica sigla, declinata in tutte le sue cover, Red Righ Hand, appare fortissimo il legame con le scene e le situazioni di Peaky Blinders. I rintocchi della musica rievocano l’industriale, operaia Birmingham e contemporaneamente le parole fungono da emblematica presentazione della famiglia Shelby. Così anche i Joy Division, band che si ispirava proprio alle atmosfere industrial si integra totalmente all’ambiente mentre i Radiohead forniscono la nota di interiorità ed esistenziale turbamento che caraterizza il magnifico volto a due colori di Thomas Shelby.
Ecco, il leader della gang criminale, il protagonista unico e solo di Peaky Blinders carica su di sé il peso di una crisi, quella del primo Novecento, che sarebbe poi confluita nel nichilismo più evoluto. Formato dagli orrori della guerra, privato dell’amore, condannato a un’eterna lotta di tutti contro tutti Thomas diventa presto vittima del suo ruolo. Il lirismo di Peaky Blinders ci restituisce i suoi deliri mentali, il lento sprofondare nella difficoltà umana e morale di un uomo che nell’apparente apatia nasconde il suo dolore più profondo.
Magnifico e giustamente incensato Cillian Murphy che restituisce ogni sfumatura, ogni microespressione al suo personaggio fondendosi fatalmente con lui. E a fargli da sfondo un’ambientazione di grande impatto, estraniante: la nebbia, il carbone, le ciminiere, l’aria pesante, l’oscurità si fanno esteriorizzazioni di Thomas Shelby e dei suoi incubi e ci restituiscono un’immagine dell’Inghilterra simile a quella ottocentesca già oggetto dello sguardo ruvido di autori come Charles Dickens.
La trama, con alcune licenze poetiche (in questo articolo le incongruenze più insospettabili di Peaky Blinders), accompagna senza cedimenti il suo one-man e coinvolge con gusto. Il risultato è una serie imprescindibile tra le migliori in assoluto nella storia seriale anche se tuttora in svolgimento. Vedremo come evolverà Peaky Blinders e quale sarà l’esito finale ma intanto non pensiamo sia un azzardo inserirla sul podio delle migliori serie britanniche di sempre.