Cosa rende una serie tv un cult? Molto spesso sentiamo parlare dei prodotti più disparati – da Breaking Bad a The Office, passando per Pose, I Soprano, The West Wing e persino Gossip Girl – come di veri e propri cult, senza però comprendere fino in fondo cosa significhi questa definizione. Sebbene non si possa segnalare un significato univoco per il termine, è bene chiarire che, benché molte serie definite tali siano da considerare dei veri capolavori, la qualità di un prodotto non è condizione necessaria né tanto meno sufficiente perché questo assurga allo status di cult. Infatti potremmo dire che una serie diventa cult quando lascia un segno indelebile all’interno del panorama seriale, sia perché rivoluziona i paradigmi di un genere che perché ne crea uno nuovo, oppure ancora perché è capace di trascendere il limitato spazio del piccolo schermo e avere un impatto significativo sulla vita quotidiana delle persone. Ecco allora che serie televisive come Gossip Girl, pur non potendo certo essere definite di qualità, vengono comunque etichettate come cult, mentre prodotti splendidi come Grace & Frankie non possono ambire allo stesso titolo.
Sebbene la maggior parte delle serie tv cult abbiano una durata mediamente lunga e giungano a conclusioni se non soddisfacenti quanto meno fortemente desiderate, vi sono alcuni casi in cui la corsa di questi prodotti che definiscono un’era è stata interrotta troppo presto. Le serie tv comprese in questa lista fanno parte di questa esigua categoria, che speriamo non veda mai accrescere le proprie fila.
1) Sense 8
Tra le serie tv Netflix più amate degli ultimi anni, Sense8 ha sofferto di una corsa travagliata, che ne ha visto la cancellazione dopo due sole stagioni per via dei costi di produzione insostenibili, nonostante un fandom affezionatissimo e battagliero che non ha avuto pace finché la serie non ha ricevuto una qualche conclusione tramite un film evento. La cancellazione di Sense8 resta ad oggi il più grande rimpianto seriale della piattaforma streaming, che sembrava aver trovato con questa un mix perfetto e soprattutto originale, un mosaico di culture, emozioni e differenti prospettive che è stato capace di lasciare un’influenza profonda nel cuore degli spettatori. Sebbene le speranze che le vicende dei sensates possano tornare sugli schermi siano esigue, i fan della serie non si sono ancora arresi e periodicamente nascono petizioni che chiedono che Netflix regali loro un finale soddisfacente, dal momento che il film conclusivo non è stato accolto del tutto positivamente.
2) Penny Dreadful
Sebbene, come “Pose”, non sia sempre stata riconosciuta come il capolavoro che è, “Penny Dreadful” è fortunatamente entrata nell’Olimpo del serie cult.
Penny Dreadful è sempre stata una serie di nicchia, snobbata dal circuito dei premi e spesso passata inosservata durante la sua corsa nonostante un cast stellare che comprende grandi nomi come Eva Green, Josh Hartnett e Timothy Dalton. Eppure, a distanza di oltre cinque anni dal suo episodio conclusivo, l’ultimo della terza stagione, Penny Dreadful continua a rivestire un ruolo fondamentale all’interno del genere horror, un paradigma televisivo che ha stravolto profondamente e che oggi sembra non riuscire più a prescindere dal capolavoro di Showtime. Sebbene la conclusione di Penny Dreadful voglia porsi come apparentemente definitiva e pensata come tale fin dall’inizio (come dimostrato dall’apparizione della parola “Fine” dopo l’ultima scena), nessuno dei fedelissimi fan della serie ci ha mai creduto, poiché i tempi con cui questa si realizza sono così affrettati da stonare completamente rispetto alla narrazione lenta, complessa e intrisa di poesia e mitologia della serie. Penny Dreadful sarebbe probabilmente giunta alla stessa conclusione, ma il viaggio per giungerci sarebbe stato diverso se non fosse stata bruscamente interrotta e costretta a correre ai ripari a causa dei bassi ascolti.
3) Galavant
Quello di Galavant rappresenta un caso particolare, perché consapevoli fin dall’inizio che già il rinnovo per la seconda (e ultima) stagione fosse quasi un miracolo, gli autori della serie sono stati molto attenti a dare alla comedy musicale più famosa della tv una conclusione assolutamente perfetta. Tuttavia ciò non toglie che la cavalcata di Galavant sia stata decisamente troppo breve, solo 18 episodi che i fan della serie, una nicchia a dir poco affezionatissima, continuano ancora oggi a riproporre costantemente come forse il più grande esempio di rimpianto seriale della televisione recente. Probabilmente la comedy ABC, nonostante abbia raggiunto quasi immediatamente lo status di cult avendo creato praticamente un genere televisivo ex novo, ha semplicemente avuto la grande sfortuna di andare in onda durante anni in cui la televisione era ancora un fenomeno generalista, soprattutto considerando che andava in onda sul network più commerciale del palinsesto americano e quindi di non trovare una collocazione adeguata che ne favorisse il proseguimento.
4) Firefly
Esiste forse nella storia un cult più breve di “Firefly”? Il western fantascientifico creato da Joss Whedon è andato in onda quasi vent’anni fa per una sola stagione di 14 episodi, a cui è seguito poi un film conclusivo (Serenity) nel 2005. La cancellazione rapidissima della serie resta ai più inspiegabile – persino per una mente brillante come quella di Sheldon Cooper, che in “The Big Bang Theory” la ricorda più volte come un vero e proprio trauma, un mistero per il quale non trova soluzione – eppure non ha impedito a Firefly di diventare un vero e proprio cult, contribuendo anzi a consacrarne il mito. Ci chiediamo però cos’altro ancora Joss Whedon avesse in mente di raccontarci, quali altre avventure avesse pensato per Il capitano Malcom “Mal” Reynolds e il suo equipaggio, come volesse esplorare il brillante universo narrativo che ci è stato presentato nella prima stagione. La cancellazione di “Firefly” avrà anche contribuito a rendere la serie immortale, ma per noi rimane soltanto un enorme rimpianto, perché aveva ancora moltissimo da dare.
5) Pose
Nessuna serie come “Pose” è riuscita a rivoluzionare il concetto di rappresentazione in televisione. Basterebbe solo questo a renderla un cult, eppure c’è molto di più.
La terza e ultima stagione di Pose è una delle migliori stagioni finali nella storia della televisione (insieme a queste), è profonda, dolorosa, straordinariamente traboccante di umanità. Eppure non è abbastanza. Non è abbastanza perché una serie che dà voce a coloro che spesso vengono obbligati dalla società al silenzio è un’opera rara e va preservata, non è abbastanza perché le storie da raccontare erano ancora tante, non è abbastanza perché nello sterminato panorama seriale contemporaneo non esiste nessun prodotto che assomigli anche lontanamente a “Pose“. E allora sarebbe stato necessario concedere a Pose spazio, alimentarne il fuoco, continuare a credere nella capacità della serie FX di essere al tempo stesso il ritratto profondo della solitudine eppure di rappresentare anche la speranza e la forza dei legami che creiamo. La speranza è che il segno lasciato da Pose nella serialità sia tale da contribuire a una vera e propria rivoluzione.
6) Fleabag
Come “Pose”, anche “Fleabag” ha un finale assolutamente perfetto. Eppure non avremmo mai voluto che finisse, non quando sembrava avere ancora così tanto da insegnarci.
Se è vero che già siamo stati fortunati che Phoebe Waller-Bridge ci abbia concesso una seconda stagione di Fleabag, quando inizialmente la prima stagione era stata concepita anche come l’unica, è proprio l’assoluta perfezione del secondo capitolo delle avventure del personaggio femminile più controverso e amato degli ultimi anni a farci desiderare che la serie non si concluda qui e possa ancora andare avanti a insegnarci la vita. Perché la verità è che tramite le esperienze di Fleabag, attraverso il suo percorso accidentato e quella sua sincerità che quasi ci mette a disagio siamo stati in grado di imparare a comprendere il mondo da un punto di vista che forse nemmeno sognavamo di poter vedere in televisione, quello di una protagonista dalla personalità così peculiare che riesce tuttavia a farsi portatrice dei dubbi e delle paure di una generazione intera. E allora non possiamo che sperare che un giorno Phoebe Waller-Bridge decida di permettere alla sua Fleabag di fare ritorno, perché noi ne abbiamo ancora tremendamente bisogno.
7) Les Revenants
“Les Revenants” è l’unica serie di questa lista a non essere in lingua inglese, poiché è una produzione francese del 2012, in un’epoca precedente a quella dei servizi streaming e in cui farsi conoscere in tutto il mondo era piuttosto difficile per opere in lingue diverse da quella egemone inglese. Eppure la serie gioiello di Canal+ ci è riuscita, diventando tanto popolare da ispirare addirittura un (fallimentare) remake statunitense. Fermata dopo sole due stagioni, Les Renevants è un racconto doloroso e straordinariamente originale sul significato del lutto e della perdita, che mette al centro le vite a metà di chi da scomparso si ritrova nuovamente a dover vivere, intrecciando una vena fantascientifica a una più spirituale, laddove filosofia e vita quotidiana si incontrano per dare origine a una potente storia sul significato di umanità. La seconda stagione della serie Canal+ non mantiene il livello della prima, anche perché soffre il dover chiudere il cerchio di una vicenda così complessa in soli 8 episodi, che tuttavia non bastano a dare un senso compiuto a quanto ci è stato mostrato.
8) The Newsroom
Prima di The Morning Show, che di recente ha portato nuovamente alla ribalta seriale il mondo del giornalismo televisivo, c’è stata The Newsroom, che in sole tre stagioni è riuscita a lasciare un segno indelebile nel mondo della serialità contemporanea. Nata dalla mente brillante del premio Oscar Aaron Sorkin, la serie è uno spaccato tanto realistico quanto illuminante di quanto accade all’interno di una redazione giornalistica televisiva. Protagonista di The Newsroom è l’anchorman Will McAvoy, ma la serie ha un’impronta fortemente corale e racconta con una minuzia di dettagli impressionante tutti i ruoli e i retroscena che contribuiscono alla costruzione di uno dei più importanti telegiornali americani, intrecciando in modo astuto e perfettamente riuscito la finzione con l’attualità. Al realismo della narrazione, che non manca di fare riferimenti alla situazione politica statunitense o ai problemi che dominano il mondo contemporaneo, si accompagnano la brillante sceneggiatura di Sorkin, un cast stellare che include nomi del calibro di Jeff Daniels, Sam Waterston, Jane Fonda e Dev Patel e personaggi sfaccettati e originali come difficilmente se ne sono visti in televisione. Rimane il rimpianto per la breve corsa di The Newsroom, fermata dopo sole tre stagioni l’una più corta della precedente, e che pur arrivando a un finale più che soddisfacente siamo certi potesse dare ancora molto al mondo della televisione.
9) Roswell
Forse non sarà una serie al livello di capolavori come “Pose”, “Fleabag” o “The Newsroom”, eppure anche “Roswell” ha definito il rapporto di una generazione con la televisione, conquistandosi lo status di cult.
Il teen drama dei primissimi anni duemila è stato una pietra miliare della serialità per adolescenti, costruendo un universo narrativo che fondeva elementi fantasy con altri fantascientifici, senza dimenticare la preponderante componente teen. Senza “Roswell” probabilmente non sarebbero esistiti, o avrebbero avuto una vita molto diversa, prodotti culturali di massa come la saga di “Twilight” o quella di “Shadowhunters”, che hanno un debito enorme nei confronti della serie creata da Jason Katims e basata sui romanzi di Melinda Metz. Roswell è stato fermato alla fine della sua terza stagione, la cui puntata finale cerca sì di dare una conclusione alle vicende dei protagonisti, ma di fatto lascia aperte praticamente tutte le questioni non strettamente legate all’aspetto relazionale della vita dei protagonisti. Saremmo stati curiosi di vedere come la parte fantascientifica della serie sarebbe stata sviluppata nelle stagioni successive, soprattutto perché gli ultimi episodi della terza stagione avevano lasciato intendere alcuni grossi sconvolgimenti che avrebbero potuto dare nuova linfa vitale alla narrazione.
10) Lie to Me
La terza stagione sembra essere maledetta, perché “Lie to Me” si aggiunge a “Pose” e a molte altre serie che hanno visto la loro corsa fermata proprio dopo questo capitolo.
C’è stato un periodo, alla fine degli anni Duemila, in cui non si parlava d’altro che di “Lie to Me“. Tutti si improvvisavano esperti nell’arte di leggere il corpo umano e cogliervi le prove inconfutabili di bugie e tradimenti, spacciando per una scienza esatta quella che il dottor Cal Lightman e il suo team utilizzavano nella serie per risolvere i crimini più disparati. Quello che distingueva Lie to Me da molti altre serie procedural era non soltanto l’ampio ventaglio di casi affrontati, ma soprattutto la complessità dei personaggi e delle loro relazioni, l’evoluzione coerente eppure complicata delle personalità e dei legami al centro della serie. Il finale della terza stagione, apertissimo, faceva un passo fondamentale proprio nella direzione dello sviluppo umano e relazionale del suo protagonista, che rende ancora più difficile accettare la brusca conclusione della serie, finita proprio nel momento in cui sembrava poter fare un ulteriore salto di qualità.