Quando sentiamo nominare la parola fiction, immediatamente il nostro pensiero si focalizza su un’immagine ben definita, quella della serie pulita e ordinata che quella volta abbiamo intercettato su Rai 1 e che, a distanza di anni, forse decenni, è ancora lì, intoccabile ed ineluttabile. La fiction della Rai rappresenta il primo baluardo storico-culturale della serialità italiana e se è riuscita a sopravvivere fino ad oggi, con i dovuti adattamenti e cambiamenti, un motivo ci sarà, per forza. Oggi analizziamo i passaggi fondamentali di quella che è diventata un’istituzione, contro cui alcuni combattono e che altri difendono a spada tratta: la fiction della Rai.
La nostra guida informativa di tutte le fiction Rai e Mediaset nel 2024.
Quel che è stato della Rai
E’ completamente inutile lamentarsi. Okay, dalla fine dello scorso millennio fino ad una manciata di anni fa, la fiction made in Rai ha vissuto un periodo di totale (o semi totale) stasi, ma i risultati sono sempre stati dalla sua parte, più o meno. Ci sono state tantissime cantonate, vedi per esempio Sirene o Regina dei Fiori (per la lista completa siete nel posto giusto), ma molte ce l’hanno fatta eccome, rimanendo a galla per lungo tempo. Un dato che dà ragione ai cari Don Matteo e Montalbano è legato alla proliferazione su scala nazionale che queste serie riescono ad ottenere: se lo share di una fiction del genere venisse proiettato sul numero degli abitanti degli Stati Uniti, si otterrebbero risultati astronomici, praticamente ricoprendo l’intera popolazione italiana. Ovviamente si parla di fantascienza e lungi da noi paragonare la qualità delle due tipologie di prodotto, ma questo dato spiega perfettamente quanto sia importante la fiction nel nostro paese, e quanto questa sia ancora culturalmente attaccata alla pelle della maggior parte degli spettatori. Nel frattempo nell’era delle OTT, il pubblico si evolve, si ringiovanisce, e la Rai, guidata da Tinny Andreatta (ora a Netflix Italia),decide di puntare su quell’elemento oscuro chiamato piattaforma (probabilmente collaborando a ispirare Boris 4, tra le altre cose), ottenendo fin da subito un’ottima risposta, sia in termini di share, realizzando un punteggio (25%) nettamente superiore alla media settimanale (ferma circa al 19%), e riorganizzando l’orientamento narrativo della rete in modo tale da accogliere le esigenze di un pubblico più ampio, andando dunque a guardare per la prima volta in molti anni verso le nuove generazioni.
Da Rocco Schiavone a La mafia uccide solo d’estate, passando per Il cacciatore e La porta rossa, la Rai ha cominciato a puntare sull’internazionalità dei propri prodotti, senza però dimenticare l’importanza dell’identità locale su cui è stata fondata e costruita la fiction italiana. Tutti questi prodotti hanno le parvenze e le sembianze delle serie internazionali, con molti riferimenti soprattutto alla sfera crime, ma spingono ed evidenziano, da contraltare, tantissimi elementi unici della tradizione della nostra fiction. Per fare un esempio concreto: Rocco Schiavone è il classico detective tormentato all’americana, che va a letto con decine di donne che conquista con il suo fascino, ma che la mattina si imbestialisce di fronte alla sua lavagnetta delle rotture e sbotta contro i colleghi in romanesco. E potremmo stare qui fino a domani mattina. Insomma, dal punto di vista narrativo, tra il 2015 e il 2020, c’è una forte tendenza all’internazionalizzazione dei prodotti che un tempo sarebbero stati rigorosamente Made in Italy. Allo stesso modo si guarda al lato pratico e tecnico, decidendo di investire sia sulla piattaforma RaiPlay, che ha goduto di diverse anteprime esclusive e che oggi, per quanto riguarda per esempio i talk show, è diventata un collettore di highlights molto gradito e utile. La Rai però, anche qui con molta cautela, si concede il tempo di crescere da questo punto di vista, collaborando nel frattempo con i colossi già affermati in Italia, come Netflix e Prime Video, e utilizzando la loro maggiore visibilità per lanciare le sue fiction tra i giovani e dire loro, senza fronzoli: questa roba qua, che facciamo noi, è uguale a quella che piace a te.
Quel che è e quel che sarà
L’ultimo eclatante caso esempio di ciò che dicevamo in conclusione del precedente paragrafo, è ovviamente Mare fuori. Una serie evento che negli ultimi due anni ha conquistato le case degli italiani tramite la doppia esposizione su Netflix e il prime time Rai (oltre che RaiPlay), ribadendo il concetto di quanto effettivamente la rete pubblica italiana per eccellenza stia puntando sullo sviluppo di questa “nuova” risorsa. Dopo aver floppato la scorsa stagione con due rischiosissimi remake come Noi e Vostro Onore, la Rai è tornata con i piedi per terra e ha deciso di puntare sul vero e proprio made in Italy. Mare fuori è un prodotto sicuramente divisivo, un Gomorra in salsa teen, per la maggior parte degli scettici. Il fatto è che bisogna ricordarsi che si tratta di un prodotto della televisione pubblica, che per canoni non si distacca troppo dai classici confezionati Rai, ma che si rivolge a un pubblico molto più ampio di una serie Netflix, e che dunque va visto con molta più leggerezza di quanto in realtà non si faccia, dimenticando le varie perplessità sul piano tecnico, che comunque restano vive, nonostante si tratti comunque di una serie che sa essere profonda e che tratta diversi temi complessi. Comunque sia, a questo giro la Rai ha fatto decisamente centro, e probabilmente ha trovato la giusta strada da percorrere, nonostante quello attuale sia un periodo di clamorosi cambiamenti (vedi l’addio di Fazio su tutti). Una cosa è certa: non si può dire che, quanto meno, non ci stiano provando in tutti i modi a dare una scossa al panorama televisivo italiano.