Da che l’uomo ne ha memoria, i reboot sono sempre esistiti. Certo, nel tempo le nomenclature e le definizioni sono cambiate ma se ai tempi dell’antica Grecia la gente poteva ritrovarsi di anno in anno a vedere l’ennesima riproposizione della storia di Edipo secondo la lettura di un diverso tragediografo, non dovremmo stupirci del fatto che il pubblico venga costantemente sommerso ancora oggi da annunci di nuovi remake di film e di serie tv del passato o di reboot di alcuni storici franchise. Eh, già. Queste tipologie di operazioni, volte a resuscitare prodotti del passato con il fine di svecchiarli o di farli conoscere alle nuove generazioni, sono sempre state all’ordine del giorno, tra risultati di buona qualità e altri assolutamente pessimi. Nonostante ciò, è innegabile che, soprattutto negli ultimi anni, questa tendenza pare essere cresciuta esponenzialmente, tra live action che riportano in vita con una differente veste i cult del passato e continui annunci di rilanci dovuti a un effetto nostalgia che non riesce proprio a lasciarci andare.
Perché quella dei reboot, sembra essere diventata una vera e propria mania, sulla quale aveva provato a darci le sue riflessioni proprio la serie Reboot, carinissimo show di Disney + cancellato di recente in maniera fin troppo prematura.
Tanti reboot, probabilmente troppi.
Un dato che non dovrebbe stupirci: d’altra parte, se pensiamo alla mole di materiale prodotto ogni anno all’interno di un’industria tanto prolifica come quella dell’intrattenimento, non dovremmo meravigliarci del fatto che è sempre più difficile per un autore partorire un concept originale che non si riveli troppo rischioso per case cinematografiche, per canali via cavo e per piattaforme streaming. Due fra le soluzioni più praticate? Ritornare a brand già esistenti e ben consolidati considerati come usato sicuro o cercare di dare nuova linfa e vita a un brand promettente già portato in scena ma che in passato non era riuscito a risplendere quanto inizialmente preventivato. Se dunque gli annunci di reboot di saghe dall’alto potenziale, precedentemente sprecato o non sfruttato a dovere come quella di La Bussola d’oro (His Dark Materials) su HBO o quelle di Eragon e di Percy Jackson (che in futuro vedranno una nuova versione seriale made by Disney +) sono ben accette, è quando veniamo a scoprire che anche altri franchise di successo come quello di Harry Potter e di Twilight otterranno un nuovo starting point che iniziamo a percepire che forse qualcosa non non va.
Da qui, la domanda sorge assolutamente spontanea: abbiamo davvero bisogno di questo genere di prodotto?
Partendo dal fatto che, più in generale, quando si parla di intrattenimento in tutte le sue forme, il concetto di bisogno è sempre relativo, la risposta a questa domanda ricadrebbe in un chiaro, conciso e semplice “No“. Checché se ne dica, qualsiasi genere di film e serie tv, nasce prima di ogni cosa, al di là dell’arte, come un bene di consumo, un bene volto a incamerare quanto più possibile: trattasi di un dato di fatto che non va in nessun modo a intaccarne la possibile qualità o la vena artistico-creativa dei suoi autori. Inutile quindi girarci attorno: i reboot nascono in primis, come del resto qualsiasi altro prodotto, per guadagnare. Non che in ciò vi sia qualcosa di male a patto che vi siano anche ulteriori motivazioni o velleità.
Purtroppo, però, come ben sappiamo, molto spesso i reboot sono diventati solo un modo relativamente comodo per rientrare nei costi e mancano di altro proposito.
Quali altri motivi potrebbero, d’altra parte, a produrre serie tv basate su saghe che al cinema, al di là del personale gusto del pubblico, sono riusciti ad avere così tanto successo, sia dal punto di vista economico che in quanto a popolarità e che, per giunta, sono ancora tanto freschi nella nostra memoria? Checché oggi se ne dica, entrambi i brand sopracitati, nonostante critiche in merito alla resa di alcuni aspetti (soprattutto per quanto riguarda il caso di Twilight), sono ancora franchise con una forte schiera di fan e continuano a essere visti da numerosissime persone. Una prova? Pensate anche solo a come la famosa “maratona di Harry Potter” proposta ogni anno da Italia1 venga sempre accolta tra scroscianti applausi ed entusiasmo da un vastissimo pubblico: questo perché, nonostante non siano assolutamente perfetti e vi siano dei cambiamenti rispetto alla controparte cartacea, i film della saga sono il risultato di un buonissima trasposizione, frutto di un lavoro così curato da aver generato un vero e proprio fenomeno mondiale. E allora, perché rifare tutto da capo, soprattutto a nemmeno quindici anni di distanza dall’ultimo film uscito al cinema (2011)?
Semplice, perché la Warner Bros, così come in altre situazioni la Disney o qualsiasi altra casa di produzione lo sa bene. Perché, nonostante le possibili diffidenze nei confronti di remake, reboot, revival e quant’altro, la gente finirà comunque per visionarli. Questi prodotti possono infatti contare su di un franchise forte, con un fedelissimo e agguerritissimo fandom che sicuramente ne discuterà facendoli assurgere ancora di più a fenomeno globale. Il concetto alla base? Detto in poche parole, irrisori rischi di fallimento a differenza di quelli che potrebbero, inevitabilmente, seguire prodotti nuovi e originali, magari pure promettenti, ma incapaci di fornire solide garanzie su cui poter fare pieno affidamento.
Perché, d’altra parte, una major dovrebbe investire su qualcosa che potrebbe rivelarsi tanto redditizio quanto un flop su tutti i fronti quando può sempre contare sull’effetto nostalgia e sulla passione di un pubblico affezionato?
Se prendiamo come riferimento proprio il brand di Harry Potter cogliamo subito la furbizia dell’operazione che ha deciso, almeno per ora, non di esplorare il marchio del Wizarding World, ma di rievocare passo passo le avventure del maghetto più famoso di sempre. E per quale motivo avrebbe dovuto agire altrimenti? Quando la Warner decise di investire sul marchio di Animali Fantastici non ottenne, infatti, il successo sperato! Certo, il grave flop che ha colpito la saga si deve in buona parte a infelici scelte di trama e a una storia non pienamente convincente, ma anche e soprattutto all’allontanamento da ciò che ha reso Harry Potter l’immortale e popolarissima saga che tutti amano: Hogwarts e il romanzo di formazione (non a caso il recente videogioco Hogwarts Legacy è stato un vero successo mondiale).
A fronte di ciò, non possiamo davvero parlare di bisogno: quel che però è paradossale è che, pur lamentandoci della scarsa inventiva e del crescente e apparente calo della creatività da parte di autori e sceneggiatori, saremo i primi a guardare, presi dalla curiosità, questi reboot, remake e revival. Come un cane che si morde da solo la coda, saremo infatti i primi, con le nostre visualizzazioni, a incoraggiare la stessa pratica che andiamo criticando e che rischia di produrre, alla lunga, una stagnazione di contenuti. Speranzosi di essere smentiti da un panorama filmico e seriale che possa coniugare il ritorno al passato con un futuro ricco di novità, non ci resta altro da fare se non aspettare pazientemente l’evolversi di queste tendenze.