4) Twin Peaks

Diane, segna questa data: oggi qualcuno ha osato proporre un reboot di Twin Peaks. Non so se sia un sogno, un incubo o un messaggio criptico di qualche entità ultraterrena. Ma una cosa è certa: è un’idea sbagliata. Creata da David Lynch e Mark Frost, la serie non è stata solo un cult degli anni ‘90, ma un fenomeno che ha cambiato il modo di raccontare storie in televisione. Un noir onirico che si muoveva tra soap opera, thriller e horror metafisico, con atmosfere che oscillavano tra il surreale e il disturbante.
Eppure, nel mondo in cui viviamo, nessun capolavoro sembra al sicuro dal richiamo nostalgico dell’industria dell’intrattenimento. Ma chiunque pensi che un reboot di questa serie tv nello specifico sia un’idea sensata, dovrebbe fermarsi un momento. Respirare. Guardare le tende rosse della Loggia Nera che si muovono nel vento. E capire che certe porte devono restare chiuse.
La grande trappola di Twin Peaks è credere che sia solo la storia dell’omicidio di Laura Palmer.
Certo, tutto inizia con il ritrovamento del suo corpo avvolto nella plastica. Certo, l’agente Dale Cooper arriva in città per risolvere il caso. Ma chiunque abbia guardato la serie sa che Twin Peaks non è mai stato solo un giallo. È un viaggio in un mondo in cui il confine tra sogno e realtà si dissolve, dove il tempo non scorre in modo lineare e dove le risposte non sono mai definitive.
Un reboot, per definizione, vorrebbe prendere questa storia e ristrutturarla, renderla più moderna, più accessibile. Ma Twin Peaks non è fatto per essere spiegato o semplificato. È fatto per essere vissuto. E se provi a dare risposte a ciò che deve restare un enigma, lo distruggi.
5) Jessica Jones

Jessica è il lato oscuro dei supereroi, quello che nessuno vuole vedere, ma che esiste eccome. Quando Netflix ha portato sullo schermo Jessica Jones nel 2015, il pubblico si è trovato davanti a qualcosa di diverso. Un noir psicologico mascherato da serie di supereroi. Un viaggio disturbante tra traumi, abusi e vendetta, con una protagonista che non voleva salvare il mondo—voleva solo sopravvivere.
Se c’è una cosa che Jessica Jones ha fatto meglio di qualsiasi altra serie Marvel, è stata mostrare cosa significa essere una vittima e vivere con il dolore. Jessica non è un’eroina in cerca di gloria. È una donna che porta addosso cicatrici profonde, sia fisiche che mentali. Il suo superpotere non è la forza sovrumana, ma la sua capacità di restare in piedi nonostante tutto. La prima stagione ha affrontato il tema dell’abuso in un modo che pochissime serie hanno osato fare. Kilgrave non era solo un cattivo con poteri incredibili. Era il perfetto simbolo della manipolazione, del controllo e della paura che un predatore può instillare in una vittima.
Un reboot della serie tv potrebbe mai ricreare questa intensità senza sembrare un’imitazione sbiadita?
Difficile. E anche se ci provasse, il rischio sarebbe quello di annacquare il messaggio originale per renderlo più commerciale o più digeribile. E Jessica non è mai stata qualcosa di “digeribile”. Ci sono attori che si fondono con i loro personaggi al punto che diventa impossibile separarli. Krysten Ritter non ha solo interpretato Jessica Jones, era Jessica Jones.
Il suo sarcasmo tagliente, la sua stanchezza cronica, il suo modo di bere whisky come se fosse acqua… tutto in lei trasmetteva il senso di una persona che ha visto troppo, sofferto troppo e ormai non si aspetta più niente di buono dalla vita. Jessica è sporca, disordinata, incasinata. Non è la classica eroina dei fumetti con un costume scintillante e una catchphrase. È reale. È cruda.