Cade in questi giorni la prima, triste ricorrenza della scomparsa di Roberto Nobile, attore amato particolarmente dal pubblico televisivo la cui carriera, divisa tra teatro, televisione e cinema ha occupato oltre quarant’anni della sua vita.
La morte dell’attore, giunta inaspettatamente, come un fulmine a ciel sereno, ha avuto un grande impatto sul mondo dello spettacolo. Le agenzie giornalistiche nel rilanciare la notizia hanno riportato messaggi di cordoglio da parte dei colleghi carichi di significativa e sincera partecipazione. Come quello commosso di Luca Zingaretti con il quale Roberto Nobile aveva condiviso l’avventura sul set de Il Commissario Montalbano. O quello emozionato di Marco Marzocca col quale l’attore aveva condiviso l’avventura di Distretto di Polizia.
Proprio in queste due serie televisive l’attore aveva interpretato quelli che probabilmente sono i due ruoli più iconici della sua carriera. Sicuramente quelli per i quali era maggiormente conosciuto: Nicolò Zito, giornalista e direttore dell’immaginaria Televigata; e Antonio Parmesan, Sovrintendente Capo presso il commissariato X Tuscolano di Roma sud.
Personaggi minori in serie di grandissimo successo entrati però nel cuore del pubblico televisivo. Personaggi amati ai quali Roberto Nobile ha legato in maniera indissolubile il suo volto. Tanto da esser riconosciuto come Zito o Parmesan dagli spettatori anziché col suo vero nome. Nessuna mancanza di rispetto. Semmai la conferma della bravura di un attore sicuramente fuori dal comune. Un attore apprezzatissimo anche da noi di Hall of Series che con questo portrait vorremmo farvelo conoscere meglio.
Nato a Verona nel 1947, quasi per caso come ci racconta il figlio Lorenzo, sceneggiatore e regista, nel corso di una piacevole chiacchierata, Roberto Nobile era ragusano di origine e romano d’adozione avendo vissuto nella capitale gran parte della sua esistenza.
Laureato in Lettere nel 1973 all’Università di Messina con una tesi sul Risorgimento l’attore lascia la sua amatissima Sicilia per trasferirsi a Bologna e frequentare l’allora unico corso, in Italia, di Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo, il celebre DAMS. In quegli anni l’ateneo felsineo, tra i più importanti nel nostro paese, è in ebollizione, in pieno fermento: una perfetta fucina per menti artisticamente brillanti.
Dopo due anni a Bologna la continua ricerca di un qualcosa di più lo porta a muoversi tra Milano e Genova dove perfeziona il suo percorso recitativo e comincia a calcare le assi dei palcoscenici. Nel capoluogo ligure l’attore ragusano fonda una sua compagnia, la Sentimental Circo, con la quale intraprende un interessante percorso teatrale che coinvolge i degenti del locale ospedale psichiatrico. Una sorta di teatroterapia alla quale è particolarmente affezionato, in virtù del forte legame creatosi con i pazienti.
Con la stessa compagnia gira anche l’Italia e l’Europa producendosi, cappello in mano come in un film di Federico Fellini, nel teatro di strada.
La sua parentesi genovese si interrompe nel 1986 quando si trasferisce a Roma per cominciare la sua carriera nel cinema e nella televisione.
Come detto precedentemente la maggior parte del pubblico ha conosciuto e ricorda Roberto Nobile come Nicolò Zito e Antonio Parmesan. In realtà la sua filmografia inizia ben prima e prosegue ben oltre questi due ruoli. Precisamente nel 1985 fa il suo esordio interpretando la parte di un professore di latino nella commedia drammatica Festa di Laurea scritta e diretta da Pupi Avati. Con il regista bolognese tornerà a lavorare qualche anno dopo in Ultimo minuto del 1987.
Nel 1990 ottiene il suo primo ruolo di un certo rilievo nel film drammatico Stanno tutti bene, scritto e diretto da Giuseppe Tornatore con protagonista Marcello Mastroianni. Roberto Nobile interpreta la parte di Guglielmo, uno dei tre figli maschi di Mastroianni, modesto suonatore di gran cassa che si spaccia per orchestrale di una importante compagine sinfonica milanese sovente in giro per l’Europa.
Nel 1992 interpreta il ruolo di capo infermiere nel film drammatico Le amiche del cuore, diretto da Michele Placido con il quale collabora alla stesura del copione vincendo il premio Amidei per la migliore sceneggiatura.
Nello stesso anno, a teatro, interpreta il ruolo del professore di francese Mortillaro nella commedia Sottobanco, diretta da Daniele Luchetti e tratta dal romanzo omonimo di Domenico Starnone. Nell’occasione stringe una importante amicizia durata fino alla sua morte con Silvio Orlando. I due riprenderanno più volte lo spettacolo ma soprattutto collaboreranno nella trasposizione cinematografica uscita nel 1995, probabilmente il suo film preferito.
Proprio il professor Mortillaro è uno di quei personaggi che Roberto Nobile ha reso favoloso. Disilluso, con evidenti problemi di alcolismo (nel film, durante lo scrutinio finale, si possono notare diverse lattine di birra svuotate sul suo banco) Mortillaro è uno di quei professori vecchio stile, incistati nel proprio ruolo, un po’ alla Marchese del Grillo: io so’ io e voi nun siete… Uno di quei professori il cui scopo non è certo quello di insegnare la materia quanto, piuttosto, portare a casa lo stipendio e andare il prima possibile in pensione. Forte coi deboli e debole coi forti, inadeguato ai tempi in cui vive, è incapace di provare empatia nei confronti di quegli alunni che hanno evidenti problemi: scolastici e personali. Del resto il suo motto, pronunciato più volte nel film, è: c’è chi nato per studiare e chi è nato per zappare, con una serie di variazioni sul tema. Come se tutto si risolvesse in una semplice equazione.
Il personaggio di Mortillaro rappresenta oggi, nel 2023, il corto circuito del sistema scolastico non più capace di far fronte ai suoi stessi errori fatti per aiutare quegli studenti che ne avevano bisogno. In occasione di un nuovo allestimento teatrale (2018) proprio Roberto Nobile descrive l’evoluzione del suo personaggio che da perdente, nella versione cinematografica, è diventato vincente pur restando vecchio di età ma soprattutto di pensiero: “il 6 politico del ’68 è stato ritenuto sbagliato e si è pensato che la società intera dovesse essere più elitaria e i perdenti rimanere tali. Questo fa sì che nella ripresa dello spettacolo sia lui il vincente“. L’attore ragusano ammette anche di aver avuto qualche difficoltà nel rispolverare il suo personaggio dovendo aggiornarlo: “ho fatto fatica a riprendere il testo, perché come personaggio dovevo adeguarmi ai tempi nuovi e cercare di mostrare una nuova sfumatura di cinismo e cattiveria“.
Cattiveria e cinismo che non gli appartenevano assolutamente. E nel caso non foste convinti è sufficiente guardare le foto o ascoltare le poche interviste reperibili su internet. Schietto sì, capace di infervorarsi anche, in difesa del proprio pensiero, intelligente e mai banale. Ma sempre dolce, cortese, sorridente, con quello sguardo amabile che ha catturato l’affetto del pubblico.
La filmografia di Roberto Nobile, come detto, prosegue lungamente. Ricordiamo che ha lavorato, tra gli altri, con Nanni Moretti (Caro Diario, La stanza del figlio e Habemus Papam), con Alessandro Di Robilant (Il giudice ragazzino, sceneggiato da Andrea Purgatori scomparso recentemente), Carlo Mazzacurati (Vesna va veloce) e Antonello Grimaldi (Caos calmo).
Grandi registi nazionali ma anche internazionali, con i quali l’attore ragusano si è sempre trovato bene a lavorare. In una intervista affermava di non aver mai avuto preferenze né, tanto meno, difficoltà a esser diretto da uno o l’altro. Ciò che apprezzava in ognuno di loro era l’intensità e la coerenza con la quale lavoravano. Caratteristiche che gli permettevano di dare in meglio di sé ogni volta e per questo esser sempre riconoscibile sullo schermo lasciando una traccia indelebile in ciascuna delle sue interpretazioni.
Anche le serie televisive hanno avuto una grande importanza nel suo curriculum. Al di là dei due ruoli già accennati Roberto Nobile ha iniziato la sua carriera televisiva nel 1986 nella miniserie in due puntate Attentato al Papa, un instant movie che ricostruisce le indagini sull’attentato a Giovanni Paolo II, diretta da Giuseppe Fina.
Dopo un’apparizione ne Il giudice istruttore, con Vittorio Gasmann, e una ne L’ispettore Sarti – Un poliziotto, una città, nel 1992 colleziona 13 puntate nel ruolo di un commissario in Edera, il primo teleromanzo italiano secondo la pubblicità dell’epoca, prodotto da Titanus e Reteitalia e distribuita in prima serata su Canale5.
Tra il 1995 e il 1997 è un Sovrintendente di Polizia ne La Piovra, stagioni sette e otto.
E finalmente il successo. Meritato, meritatissimo diciamo noi. Mai cercato e soprattutto tenuto a distanza, come ci racconta Lorenzo che da piccolo ha calcato i set dove lavorava il padre: “ci capitava di andare a mangiare fuori e la gente, naturalmente, lo riconosceva. Si avvicinava per scambiare due parole, per un autografo, per fargli un complimento ma lui diceva che si sbagliavano, che non era lui, che si trattava del fratello gemello“.
Amico di Francesco Bruni, uno degli sceneggiatori de Il commissario Montalbano, Roberto Nobile legge il copione de Il ladro di merendine e se ne innamora. In una intervista affermava di aver detto all’amico di voler interpretare il ruolo di Nicolò Zito, ruolo che sentiva scritto per sé e che ha sempre amato interpretare. Diceva che si sentiva onorato di interpretare un giornalista coraggioso in Sicilia, la sua amatissima regione, purtroppo martoriata dalla mafia.
Così il 6 maggio 1999, finalmente, eccolo su RAI2, nei panni del giornalista che fornisce a Montalbano la telecamera per videoregistrare, di nascosto, un colloquio che il commissario ha con un dirigente dei servizi segreti italiani.
Nicolò Zito compare in ventinove episodi (su trentasette). Ininterrottamente dalla prima alla tredicesima stagione è al fianco del commissario più amato della televisione italiana aiutandolo nelle sue indagini: fornendogli informazioni, mandando in onda servizi tagliati secondo le necessità dell’investigatore, ascoltandolo e confessandolo, anche. Tra Nicolò Zito e Salvo Montalbano c’è un legame d’amicizia, certamente. Ma soprattutto c’è un legame basato sul rispetto reciproco: ognuno è professionista d’eccellenza nel suo campo e come tale merita tutta la stima dell’altro.
Si conoscono da una vita, hanno lo stesso background regionale alle spalle. Conoscono il territorio come le loro tasche e sanno come muoversi. Si cercano. Anzi no, in realtà è Montalbano a cercare Zito, a sfruttarlo per il proprio tornaconto, che è poi quello della giustizia. E questo vuol dire soltanto una cosa: che il commissario si fida del giornalista, ciecamente.
Il rapporto che c’è tra Zito e Montalbano è uno dei punti forti della fiction il cui successo, al di là della bravura della regia, degli sceneggiatori, degli interpreti e della musica, fondamentale accompagnamento, secondo Roberto Nobile è dovuto ai paesaggi della Sicilia, al quieto vivere, alla bontà del cibo cucinato. Elementi che spaccano la sofferenza e l’insoddisfazione derivate dall’oppressione dei grandi criminali creando un colore unico, affascinante e bellissimo.
In una intervista l’attore affermava di guardare volentieri ogni episodio di Montalbano, “con l’ingenuità e la felicità dello spettatore, a prescindere dal fatto che ci sia o meno. Dietro il successo di questa fiction c’è soprattutto la penna di Camilleri, sinonimo di buona letteratura, un fatto raro nel panorama italiano“.
Contemporaneamente a Il Commissario Montalbano Roberto Nobile ha impersonato il Sovrintendente di Polizia Antonio Parmesan in Distretto di Polizia, per 180 episodi andati in onda tra il 2000 e il 2008.
Piccolo aneddoto sull’attore: il padre, poliziotto in forza al commissariato di Scicli, lo portava spesso in ufficio con sé permettendogli di giocare con la macchina da scrivere. Chissà che quei momenti non siano stati di ispirazione per un personaggio che l’attore sentiva particolarmente vicino a sé: “Parmesan è certamente il ruolo che mi ha dato notorietà. Mi è sempre riuscito facile poiché è un personaggio tranquillo, fuori dall’azione, sereno, che dispensa consigli. È riflessivo, saggio, sta dietro la scrivania e usa il computer. E per certi versi mi rispecchia molto“.
L’idea che l’attore ha del personaggio è quella che effettivamente viene recepita dal pubblico: Parmesan è affidabile, serio, attento, empatico. Una roccia sulla quale si può contare, un amico e persino un padre. Autorevole, non perde quasi mai la pazienza, ha sempre una buona parola per tutti ma al tempo stesso è inflessibile e ligio al proprio dovere. Fornisce un prezioso aiuto agli investigatori e senza di lui Distretto di Polizia non sarebbe stato lo stesso.
Uscendo un attimo dal mio ruolo di autore di questo pezzo posso raccontarvi che ho conosciuto Roberto Nobile, artisticamente parlando, proprio in Distretto di Polizia, una serie che non ho mai amato particolarmente ma che guardavo esclusivamente per il personaggio di Parmesan. Con l’attore ho subito sentito un forte legame, qualcosa mi ha accomunato a lui ed è rimasto, scolpito, immodificabile. Credo fosse il suo ruolo secondario, eppure indispensabile, il fatto che rifuggisse il primo piano ma fosse la persona sulla quale tutti potevano contare. Dire che me ne sia innamorato è esagerato ma certo è che ogni volta che rivedevo il suo volto in un film o in un’altra serie era come incontrare un amico al quale si vuole molto bene, davvero, in maniera del tutto inspiegabile.
Tornando nei panni di chi scrive, parlare con il figlio è stata una rivelazione. Una serie di indizi che Lorenzo ci ha rivelato, e che custodiremo con una certa gelosia, ci ha permesso di scoprire l’interessante mondo che si celava dietro l’attore, un mondo che merita di esser conosciuto meglio.
Roberto Nobile, infatti, era principalmente uno che lavorava con la parola. Attore, certo, soprattutto di teatro, ma anche sceneggiatore e scrittore.In una intervista affermava di scrivere da sempre, di aver affrontato ogni genere compreso i diari e le poesia adolescenziali, quelle “ingenue e lacrimose“, che definiva banali. Ma ha capito di saper scrivere davvero nel momento in cui si è impegnato nella stesura della tesi di laurea dove “non c’era spazio per la mia animella ferita“.
Così, nel corso della vita “ho lanciato messaggi in bottiglia come naufrago in isola disabitata. Nessuno è venuto a salvarmi, e forse non era possibile e forse non accadrà mai; però i messaggi erano scritti benino, e questo è ciò che conta alla fine“.
Il piacere nei confronti della parola, in particolare quella italiana, lo ha espresso tutto nel suo ultimo libro, uscito nel 2014, intitolato “L’ospedale della lingua italiana. Dove le parole usurpate dalle omologhe americane trovano cura e conforto“. In questo libro Nobile esprime il suo disappunto, il suo rodimento, nei confronti di chi, proprio in Italia, disprezza la lingua italiana. E nell’intervista rilasciata a TV2000 l’attore spiega molto bene il perché si senta in dovere di difendere la nostra lingua. Senza retorica, parlando anche da padre che vuole lasciare un mondo migliore al figlio, nelle parole di Roberto Nobile si capisce la passione per qualcosa che va oltre il semplice mestiere di scrittore e attore. Una passione che passa attraverso lo studio e l’assimilazione di una lingua, l’italiano, in un contesto, quello della Sicilia rurale, dove si parlava solo dialetto.
Proprio questa intervista inizia con una nota biografica della quale abbiamo già parlato. Nato a Verona in realtà ci resta pochi mesi. Tornato in Sicilia Roberto Nobile passa la prima parte della sua vita nella sua terra, amata visceralmente, con quella passione che caratterizza chiunque abbia a cuore la propria patria. “Sono siciliano. Sì, è vero, sono nato a Verona però i miei dopo sei mesi mi hanno portato in Sicilia, perciò sono siciliano più di tutti i siciliani” dice all’inizio di un monologo nel quale poi canta e racconta storie in siciliano, alla maniera dei cuntisti, i cantastorie, maniera imparata studiando in gioventù con Mimmo Cuticchio, importante attore e regista siciliano, erede dell’Opera dei Pupi.
Abbiamo parlato di Roberto Nobile come attore di cinema e di televisione. Ne abbiamo parlato anche come scrittore, tralasciando, per motivi di spazio, un’opera da lui pubblicata e dedicata alla motocicletta (Col cuore in moto), sua passione giovanile che lo ha portato a partecipare a gare anche di un certo livello.
Per concludere permetteteci di parlarne ancora come attore e autore teatrale, la sua vera grande passione. Il teatro ha fatto parte della sua vita e lui ha fatto parte del Teatro. Nel corso della sua carriera ha scritto e interpretato diverse pièces teatrali alcune anche scomode come Teneo Te Africa, critica satirica nei confronti del periodo colonialista italiano, del quale potete trovare alcuni estratti su Youtube.
L’ultimo suo lavoro era tratto dalle Metamorfosi di Ovidio preparato in collaborazione con Lorenzo che ne ha curato anche la regia. Un lavoro mastodontico che rivela la passione infinita nei confronti della letteratura greca e latina: “la Grecia e la Magna Grecia pullulavano di dèi ed eroi che si mescolavano con le misere vicende umane. Chi ascoltava queste storie, accanto al fuoco, ascoltava anche la sua tremandone per il vertiginoso accostamento“
Seduto su una sedia, avvolto nel buio, Roberto Nobile è stato quel cantastorie capace di avvicinare il passato mitologico ormai lontano al frenetico oggi. Dei 250 miti presenti negli scritti di Ovidio ne ha scelti quattro capaci di rappresentare lo sconfinato potere dell’immaginazione, e come questa si stia perdendo, attraverso il più puro intrattenimento. Alcune recensioni, al di là della bravura incontestabile, ne elogiano la capacità di prendere per mano lo spettatore per accompagnarlo, attraverso la voce e il corpo, in un viaggio quasi mistico
Online, sotto i tanti articoli di cordoglio, è leggibile il commento di un anonimo che dice più o meno così: “se Roberto Nobile fosse stato americano, avrebbe vinto un Oscar. Era un grandissimo caratterista, forse uno dei migliori mai visti in Italia“.
Un commento forte, forse persino esagerato ma che interpreta bene quello che Roberto Nobile ha lasciato ai suoi spettatori. Ci attanaglia una domanda che abbiamo girato a Lorenzo, in conclusione della nostra chiacchierata: avrebbe meritato di più?
“Mio papà apprezzava la libertà e non avrebbe mai accettato di farsi rinchiudere nel sistema per un ruolo più importante. Per questo era tornato al teatro, perché lì era artefice del suo destino. Certamente, come in tutte le cose, è anche questione di fortuna, di esser al posto giusto nel momento giusto. Per tanto tempo è stato insoddisfatto, come capita a tutti. Ma alla fine aveva capito una cosa: e cioè che nonostante il suo fosse un lavoro precario, senza certezze, era quello che amava fare e che ha potuto fare fino alla fine“.
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