Romanzo Criminale ci ha regalato uno dei più vividi scorci di Roma degli ultimi anni. La Serie targata Sky ha saputo cogliere con realismo la Roma popolare – ancora viva negli anni ’70 – quella fatta di borgate e periferie isolate, la Roma gergale e verace che condensa massime di vita dietro poche parole. Che ha la battuta facile e unisce con straordinaria naturalezza il realismo esistenziale a una vena nichilista.
Il romanesco è spesso considerato una parlata più che un vero e proprio dialetto per la somiglianza che ha con l’italiano e per l’assenza di diversità grammaticali. Per questo motivo non ci soffermeremo tanto sulle singole parole quanto su quelle espressioni che rispecchiano più di altre l’essenza di questa lingua vernacolare, la sua immediatezza e freschezza espressiva, a volte un po’ scurrile ma sempre decisamente autentica e spontanea.
1) – Dandi: ‘Tacci tua, fraté!
– Libanese: Gajarda? Come sto?
– Ranocchia: Be’… Cadere, cade bene, ma quell’aria da coatto non te la toglie nemmeno Yves Saint-Laurent!
– Libanese: Manco a te l’aria da frocio… (ep. 4)
In questo quarto episodio della prima stagione il Libanese sta provando un abito sotto lo sguardo del Dandi e di Ranocchia, titolare del negozio. “Tacci tua”, abbreviazione di “li mortacci tua” è forse l’espressione più nota del romanesco. Pochi sanno però che originariamente e ancora negli anni ’60 essa aveva un’accezione decisamente più negativa e spregiativa a infangare i morti dell’interlocutore. In Romanzo Criminale e in questo particolare contesto ricalca invece la sua evoluzione più addolcita, nel senso di “Mannaggia a te”, “Guarda te”.
Il dialogo ci offre anche occasione per soffermarci sull’aggettivo “gajardo/a”, che in italiano avrebbe il senso di “valoroso” ma che in romanesco assume il senso di “forte”, “fico”, “di carattere”. La risposta del Libanese a Ranocchia beh… Quella si commenta da sé. Ma ricordiamo sempre che lo sfottò per il romano non è quasi mai un insulto viscerale quanto una risposta a effetto e come tale deve essere considerato.