L’era dello streaming ha cambiato completamente il modo di vedere e concepire le serie tv.
Non si tratta di un discorso valido solo per la serialità, dato che ormai nelle piattaforme c’è spazio per qualsiasi tipo di contenuto d’intrattenimento. L’avvento dello streaming, negli anni, ha ribaltato completamente le abitudini del pubblico. Abbiamo assistito alla nascita del binge-watching, a nuove strutture episodiche e stagionali, ma anche a nuovi esperimenti narrativi. Eppure, noi fan siamo ancora qua, siamo sempre qua. Nonostante il nuovo che avanza, gli spettatori tendono ad adattarsi a tutto, accogliendo pregi e difetti e, anzi, mutando le proprie abitudini proprio per stare al passo con le novità. Oggi vi parliamo di alcune delle nuove abitudini che hanno cambiato completamente quelle che sono le aspettative del pubblico sui prodotti delle piattaforme di streaming.
1) Serie tv con stagioni da 8 episodi
Questa è probabilmente la novità più “fresca” tra quelle che analizziamo oggi insieme a voi. E’ infatti sempre più comune, soprattutto per i drama, vedere stagioni composte da appena otto episodi, se non meno. Il numero di episodi per stagione si è abbassato molto gradualmente nel tempo. A differenza del modello sitcom, molto più breve anche nella lunghezza degli episodi singoli, il drama ha sempre puntato sulla sostanza, sia per singolo minutaggio che per durata effettiva delle stagioni. Se per molti anni il numero di episodi per singola stagione si era stabilmente posizionato attorno ai dieci (a salire), è da un po’ di tempo che il modello più comune è diventato un altro.
Il motivo? Le piattaforme hanno deciso di rinunciare a un particolare tipo di episodi, ossia quelli filler. Gli episodi filler servivano per allungare il brodo e col tempo gli autori avevano cominciato a giocarci sfruttandoli per uscire dalla narrazione principale.
Oggi, invece, le piattaforme sembrano sempre meno avvezze a questo tipo di soluzione, nonostante i fan abbiano dimostrato di saper apprezzare i filler, se fatti bene. Le piattaforme in genere non producono show lunghi nello stesso modo in cui lo fanno le reti lineari, tradizionali. Prendiamo d’esempio una serie come Stranger Things, che a livello di numeri ottenuti è uno degli show più importanti in circolazione. Nonostante la fama e l’aura da serie “veterana”, Stranger Things ha un totale di appena 34 episodi, molti meno rispetto a quelli di una serie lineare come, per esempio, Grey’s Anatomy. Cambiano tante cose, a partire dall’autoconclusività di alcune puntate, ma soprattutto non ci sono quasi più episodi di riempimento nella serialità moderna. Serie come Stranger Things vanno dritte al punto e, anzi, sfruttano i pochi episodi a disposizione per esplorare al meglio la trama.
2) Episodi lunghi e “fluttuanti”
Se da una parte le stagioni si sono “accorciate” per numero di episodi totali, d’altro canto i singoli episodi si sono allungati di parecchio. Non c’è più, o quasi, alcuna regolarità nella durata delle singole puntate. Si tratta di una tendenza che ha preso piede quando alcune serie hanno cominciato a ribaltare i classici canoni degli episodi da 45-55 minuti. E non stiamo parlando solo di comedy! Per esempio, The Bear ha proposto una struttura molto più “comoda”, atipica per un drama così intenso.
Episodi da circa 30 minuti, salvo alcuni speciali, intensi e d’effetto, ma comunque alleggeriti dal minutaggio ridotto. Esempio più recente è Ripley, composta da episodi che fluttuano tra i 45 minuti e il massimo di un’ora e un quarto, con la struttura di un vero e proprio film in quest’ultimo caso. Il pubblico, dunque, non può più aspettarsi un’esperienza visiva coerente. Ma non è affatto un male.
Dato che gli show delle piattaforme non devono vedersela con le interruzioni pubblicitarie, gli show hanno molto più margine di manovra in questo senso. Gli show hanno deciso di sfruttare questa tendenza a proprio vantaggio slegando lo spettatore da un protocollo visivo organico e coerente. Non c’è quasi più niente di scandito: ogni episodio è a sé e merita un tipo di attenzione particolare rispetto agli altri. Ripley è l’esempio calzante perché alterna episodi ricchi di azione, più intensi e più lunghi a puntate più simboliche, utili per lo sviluppo dei singoli personaggi. Per quanto questo sia un fattore più che positivo per gli autori delle serie, il pubblico si sta ancora abituando al fatto che ogni puntata non ricopra lo stesso tempo delle altre. Questa dinamica ha mutato profondamente l’esperienza immersiva dello spettatore, meglio nota come binge-watching.