Capolavóro s. m. [comp. di capo e lavoro] (pl. capolavóri, raro capilavóri). – 1. a. La migliore in una serie di opere di un artista, di uno scrittore, o di un’età, di una scuola, ecc.
Serie tv capolavoro. Questa frase usata molto spesso e a volte invano, che tanti spargimenti di sangue ha causato nei dibattiti di mezzo mondo. Ma che cos’è un capolavoro? La Treccani stessa ne sviluppa una definizione piuttosto vaga, che attinge a degli esempi specifici invece di darne una descrizione generale. E se volessimo tracciare la nostra definizione di serie tv capolavoro, senza dubbio ci verrebbero alla mente degli esempi di serie da mettere in lista. Vi vedo: lo so a cosa state pensando.
Tuttavia, sarebbe troppo riduttivo e anche abbastanza futile limitarci a stilare una lista di serie-capolavoro da propinarvi e dare il via a un’altra guerra per decidere quale opera meriterebbe il primo posto. Il problema è proprio questo: esistono delle caratteristiche fondamentali che una serie tv capolavoro deve possedere per definirsi tale? Il nostro scopo di oggi è quello di provare a dare se non una definizione precisa, almeno una serie di elementi da prendere in considerazione quando si approccia al termine “capolavoro”, in modo da rendere l’infinito dibattito in materia un po’ più omogeneo e più oggettivo. Un compito arduo e forse anche un po’ presuntuoso, ce ne rendiamo conto, ma ovviamente la nostra non è una presa di posizione assolutistica.
Vi promettiamo che se chiamerete la nona stagione di Scrubs “capolavoro” non vi banneremo a vita.
La virtù principale del capolavoro è quella di creare un nuovo modo di guardare le cose.
Edoardo Sanguineti
Partiamo dal principio, se un principio c’è. Ogni prodotto seriale, qualunque sia la forma, dimensione o lo scopo che si prefigge, racconta una storia. È praticamente la base di ogni cosa, il minimo indispensabile per rientrare nel magico regno della fiction. Una serie che definiremmo capolavoro non racconta per forza qualcosa di nuovo, ma certamente lo fa in modo unico. Quando si dice che “ormai è già stato inventato tutto” non è più solo un modo di dire e gli addetti ai lavori lo sanno bene: il gioco si è spostato dal trovare soggetti originali a trovare un modo originale di raccontare cose già viste, che per certi versi è anche più difficile. Se facessimo la prova sui “nostri” capolavori, scommettiamo che almeno un buon 90% rinvierebbe a qualcosa che è già stato fatto in passato.
La prima differenziante sta nel punto di vista unico e irripetibile scelto per raccontare una storia. Che è anche uno dei motivi per cui una serie ci rimane impressa nella mente rispetto a tante copie-carbone tutte uguali, che non solo parlano di cose già viste, ma scelgono approcci banali per farlo.
Se adesso abbiamo il punto di vista unico per raccontare una storia, non possiamo non parlare della storia in sé. Abbiamo già sottolineato come non sia necessario che essa sia originale, ma sicuramente deve possedere delle caratteristiche che la rendano irripetibile. Da una parte, questa unicità può essere data dalla perfezione tecnica: prima di ogni elemento soggettivo bisogna considerare l’oggettivo, quello su cui nessuno (o quasi) può lamentarsi. Un capolavoro non può esentarsi dal criterio qualitativo e una serie è più suscettibile da definirsi tale quando la qualità è oggettivamente alta.
Che sia una sceneggiatura senza sbavature e buchi di trama, una fotografia mozzafiato, una tecnica registica raffinata, questi elementi tutti insieme o più o meno presenti contribuiscono a elevare una serie tv sulle altre. Molto spesso poi, quando si tende a definire retroattivamente un capolavoro, lo si fa perché quella serie ha in qualche modo cambiato il mestiere. Gran parte delle cosiddette “pietre miliari” del cinema o del mondo seriale hanno innovato il reparto tecnico in qualche modo: con nuovi tagli registici, un diverso utilizzo della musica, dei dialoghi o della camera. Altre ancora hanno inserito nuovi espedienti narrativi, riesumandoli dal nulla e contribuendo a renderli popolari (uno fra tutti, ma fate finta non abbia parlato, il flashforward).
Un film è, o dovrebbe essere, più simile a una sinfonia che a una fiction. Dovrebbe essere una progressione di sentimenti ed emozioni. Il tema, quello che c’è dietro la pellicola, il significato, tutto viene dopo.
Stanley Kubrick
Prendendo in prestito le parole di qualcuno che sapeva bene cosa fossero i capolavori, parliamo dell’altra parte dell’unicità. Se da un lato abbiamo parlato di perfezione (e possibilmente innovazione) tecnica, dall’altra abbiamo la storia dura e pura e tutto ciò che la rende compelling, ossia “avvincente”. La storia deve attrarre lo spettatore, affascinarlo al punto da fargli desiderare sempre qualcosa di più e tenerlo incollato fino alla fine. Questo è ancora più vero nella serialità, dove la voglia di continuare episodio dopo episodio è ciò che decreta il successo di un progetto.
Come si costruisce questo desiderio?
Innanzitutto creandolo. Qualsiasi marketer bravo vi direbbe che per vendere un prodotto bisogna creare un bisogno nel compratore e soddisfarlo. Per le serie tv funziona più o meno allo stesso modo: lo spettatore deve sentire il bisogno di seguire la storia e vedere come va a finire. Per farlo il punto di partenza è sempre legato ai personaggi. Un capolavoro ha per forza di cose dei personaggi di cui ci interessa sapere il come e perché fanno le cose che fanno. Senza, la storia perde il suo motore. L’aspetto morale qui è del tutto secondario, non è importante se il personaggio sia buono o cattivo, ciò che importa è che abbia qualcosa da dire e per farlo deve esserci un conflitto emozionale di qualche tipo. Lo spettatore investe in quel conflitto, è interessato a sapere come si risolve e cosa cambia nel personaggio.
Che non si faccia l’errore di considerare solo l’aspetto drammatico del conflitto: piccolo o grande, drammatico o comico, il conflitto è lo scontro tra quello che il personaggio vuole e un agente (esterno, interno, psicologico, morale, di azione) che glielo impedisce. Più conflitti e crisi i personaggi affrontano, più sono investiti emozionalmente, più crescono, più vivono e più noi siamo coinvolti. Le emozioni sono il cuore pulsante di ogni storia e l’elemento che accomuna l’intera umanità, se mancano queste manca la storia. Se continuassimo la prova di prima, dubitiamo fortemente che qualcuno abbia incluso tra i suoi capolavori serie con personaggi monodimensionali e senza emozioni o storie piatte senza alcun tipo di conflitto.
Quando scrive, uno scrittore deve creare persone viventi; persone non personaggi. Un personaggio è una caricatura.
Ernest Hemingway
Ovviamente questo vuol dire creare personaggi realistici, ben strutturati o, come dice Hemingway, persone. La complessità dell’essere umano è ciò che ci permette di avere emozioni contrastanti, contraddittorie, mutevoli ma comunque presenti. Se è vero nella realtà, diventa ancora più vero nella fiction: l’indifferenza è la morte della storia e riuscire a creare un mix di sensazioni differenti è la chiave per il successo.
Questa che potremmo chiamare stratificazione è valida anche per la storia stessa. Un capolavoro è quello che riesce a concentrare un insieme di mood e feelings all’interno di una stessa narrazione, riuscendo a coinvolgere lo spettatore su vari livelli: quello della storia in sé, ossia gli eventi che accadono ai personaggi; quello psicologico, ossia le reazioni dei personaggi alla storia; quello relazionale, ossia i rapporti che si sviluppano tra i personaggi e quindi i vari conflitti e risoluzioni che si alternano, una complessità più o meno sviluppata che permette a chiunque di trovare qualcosa da cui farsi rapire, che sia un personaggio o un evento o una relazione o un’emozione.
Spesso leggiamo: “Questa serie tv è un capolavoro perché va oltre” e, in effetti, è proprio così.
Miliare 1agg. [dal lat. miliarius o milliarius, der. di milia (v. miglio1)]. – In senso fig., di opera, fatto, avvenimento di straordinaria importanza, tale da segnare una tappa fondamentale nel corso storico: questa scoperta è una pietra m. nel progresso della tecnica, nel cammino dell’umanità.
La complessità di un capolavoro è anche l’elemento che gli permette di essere contemporaneamente l’espressione più importante di un’epoca e una serie senza tempo. Alzate la mano se il vostro capolavoro è una delle serie più belle del suo periodo. Benissimo. Alzate la mano se è anche, secondo voi, un’opera immortale. Quest’ultimo è forse l’aspetto più dibattuto, ma è innegabile che la maggior parte delle serie tv che siamo portati a considerare capolavori siano considerate anche delle pietre miliari, dei modelli di riferimento da cui prendere ispirazione. Questo succede non solo per la fortuita presenza degli elementi di cui abbiamo già parlato, ma soprattutto per la stratificazione delle tematiche messe in campo.
Una storia che ha molti livelli di lettura ed è portata avanti da personaggi complessi resisterà al tempo e andrà sempre oltre il proprio contesto. Questo perché la sua complessità permetterà agli spettatori di qualsiasi epoca di trarci sempre fuori qualcosa. Spesso leggiamo anche: “Questa serie è invecchiata male” e quello che intendiamo davvero è proprio che non riusciamo più a vederla nello stesso modo di prima. Ma alcune storie non invecchiano mai, sembrano eterne. Questo perché su qualche livello toccano delle corde particolari anche dopo anni di distanza. Quando una storia parla alla psicologia dell’essere umano, alle sue emozioni più profonde e selvagge, oppure parla di massimi sistemi, come l’etica o la religione o la morale, c’è una buona probabilità che aprirà sempre una discussione, anche dopo moltissimo tempo. Come un’opera d’arte che, da espressione perfetta del suo contesto, viene letta e riletta nel corso del tempo con occhi sempre diversi ma che, alla fine, ci darà sempre qualcosa perché è un capolavoro.
Quindi, se dovessimo provare a tirare fuori una definizione riassuntiva, potremmo dire che: “Una serie tv capolavoro racconta una storia avvincente in modo unico, con una tecnica e una sceneggiatura perfette, possibilmente apportando delle innovazioni nel suo genere. Il capolavoro ha dei personaggi ben costruiti e realistici, nonché una trama stratificata che prevede tanti livelli tematici. Per questo motivo può essere vista anche a distanza di anni e avere sempre qualcosa da dire”.
Ma questo è solo un esercizio. La verità è che c’è un motivo se abbiamo deciso di non stilare una lista, così come c’è un motivo per cui non esiste una definizione precisa di capolavoro. Gli elementi da considerare sono tanti, ma soprattutto variano a seconda del punto di vista, del periodo, di quello che noi desideriamo prendere in considerazione. Questi sono quelli che noi abbiamo pensato fossero importanti, ma probabilmente ce ne sarebbero moltissimi altri da esplorare. Qualcuno potrebbe obiettare che molte “serie-capolavoro” non posseggono tutti gli elementi ed è questo il motivo per cui abbiamo specificato che questa non è una lista e non ha alcuna pretesa di perfezione. Per esempio, non abbiamo tenuto conto del fattore popolarità, secondo cui alcune serie hanno avuto un seguito enorme anche a livello di premi e riconoscimenti, mentre altre sono rimaste più di nicchia nonostante l’innegabile qualità. Alcune, poi, hanno ottenuto molta visibilità perché prodotte nel periodo giusto e sono state graziate dal fattore tempistica. And go on.
L’idea era quella di giocare con la parola e provare a dare una definizione più o meno omnicomprensiva, che tenesse conto di tanti elementi (sceneggiatura, tecnica, emozione, tematiche…) senza legarsi a un prodotto preciso. Per questo motivo abbiamo evitato di nominare delle serie di riferimento. Speriamo che il tentativo vi sia piaciuto.
A questo punto, però, siamo curiosi: qual è la vostra definizione di serie tv capolavoro? Siete d’accordo con la nostra? Quali sono le serie che definireste capolavori?
E, a proposito di capolavori, se le migliori opere di due tra le più grandi piattaforme di streaming si sfidassero chi vincerebbe?