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Un’analisi onesta e senza filtri delle esigenze medie del pubblico italiano delle Serie Tv

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Quali sono le esigenze medie del pubblico italiano delle serie tv? Ma soprattutto, ha ancora senso parlare di pubblico italiano medio delle serie tv? Forse parlare di “pubblico italiano medio”, oggi, nell’era dello streaming, non è solo riduttivo, ma è addirittura fuorviante. Leggiamo spesso commenti di disappunto, o addirittura di disprezzo, nei confronti della serialità italiana e del pubblico italiano, giudicato (dagli stessi italiani) incapace di accettare dei contenuti più “moderni”. E per questo una grande fetta di pubblico ha ripiegato sulle serie tv estere, in particolar modo statunitensi e anglosassoni. Prima dello streaming era facile orientarsi nell’offerta televisiva. C’erano le serie tv trasmesse in chiaro dal servizio pubblico e dalle emittenti private e c’erano le tv satellitari a pagamento, che selezionavano e filtravano per noi. Mentre per i rewatch c’erano i cofanetti DVD. Poi sono arrivate le prime piattaforme streaming, a cui all’inizio accedevano i più giovani, o meglio, i più “smanettoni”. Quelle che offrivano contenuti sperimentali, audaci e che sapevano donare allo spettatore chiavi di lettura differenti della realtà. Da contenuto lezioso e irrealistico, le serie tv sono diventate un contenuto di serie A, una forma espressiva al pari del cinema. Forse qualche decennio fa nessuno avrebbe mai immaginato che il web avrebbe sbaragliato le carte in tavola, diventando il concorrente più spietato. I dati lo confermano: anche gli spettatori tv accedono dal web, perso 1 milione di ascolti tradizionali.

A lungo la televisione è stata il mezzo di comunicazione principale in grado di parlare a tutti offrendo un contenuto livellato. Per questo aveva senso parlare di pubblico italiano medio, diviso secondo dei criteri socio-economici. Poi il web ha cambiato tutto. L’offerta seriale ha finito per frammentarsi talmente tanto che l’unico criterio di riferimento che possiamo adottare oggi è la trasversalità. Tolto il pubblico più maturo (un’altra piccola, ma necessaria generalizzazione), ognuno di noi appartiene a più sottoinsiemi di audience. Non è raro imbattersi in chi si rilassa con Don Matteo, magari insieme a tutta la famiglia, per poi chiudersi in interminabili rewatch in lingua originale (complice anche il sistema di sottotitoli sempre più evoluto) di Boardwalk Empire. C’è chi passa con nonchalance dagli horror di Netflix alle serie più intimiste di Sky Atlantic. Chi non perde una puntata di Un Posto al Sole pur essendo un fan sfegatato di The Boys e dei crime norvegesi. E questo le emittenti, i produttori e le piattaforme di streaming lo hanno capito da tempo. Non si tratta più di capire cosa vuole il “pubblico medio italiano”, ma quale esigenza soddisfare in un certo momento. Spieghiamoci meglio.

Quanto conta il pregiudizio?

Boris serie tv

L’offerta seriale italiana distribuita sui vari canali in chiaro e non è tanto interessante quanto vittima di preconcetti. Il pregiudizio porta molti di noi a prediligere un contenuto straniero e a diffidare di ogni serie tv italiana. Indistintamente, come se fosse implicito che di per sé sarà “monnezza”, per dirla alla René Ferretti, tanto più se questa è trasmessa dalla “tv generalista”. Boris, senza alcun dubbio, ha messo in scena i cortocircuiti di una situazione “molto italiana”; che non riguardava certo solo il mondo dello spettacolo. Eppure da quel 2007 il panorama seriale è cambiato perché è cambiata la fruizione dei contenuti. Il pubblico ha interessi verticali e si muove su un orizzonte sempre più trasversale perché trova un’offerta sconfinata pronta a soddisfarlo. Ogni giorno nascono nuovi generi, categorie e formati provenienti da ogni nazione: insomma ce n’è per ogni gusto. Boris nasceva dall’insofferenza verso un mondo vecchio, monolitico, e da un desiderio di rinnovamento. Promuoveva l’importanza di un pensiero critico contro un contenuto che rimbambiva le persone e sottolineava la necessità di innovare e di sperimentare di continuo accogliendo nuovi argomenti, nuove forme e nuovi contenuti. E forse qualche cosa l’ha smosso per davvero se ha fatto da apripista a una nuova era seriale, svelando cosa non funzionava in quella vecchia.

La Rai: il servizio pubblico

Serie Tv gratis

Come dichiara Marta Bertolini di Fox Networks Group Italy:

Boris fu vittima, o forse è stata la sua fortuna, della pirateria: diciamocelo, Boris su Fox lo guardava pochissima gente ed è diventato un culto grazie al passaparola e alla pirateria.

Marta Bertolini

Chi seguiva Boris nel 2007, probabilmente, lo ha fatto dalle retrovie dei torrent e di e-mule, degli amici e dei DVD masterizzati. Gli stessi canali da cui abbiamo iniziato a “smerciare” le serie delle tv via cavo americane. Un sottobosco infinito di persone, più o meno giovani, che con modi, più o meno, legali ha manifestato una scelta: la qualità ci piace. In Italia Boris è stata la prima serie tv originale prodotta da Wilder (per Fox International Channels Italy), una casa che firma serie tv di pregio, come L’amica geniale (che viene trasmessa appunto su Rai 1), Il Miracolo e Anna, due splendide miniserie di Ammaniti e tanto altro. Boris ha svelato dei meccanismi arrugginiti di un sistema obsoleto. Alcuni difetti ancora ci inseguono, ma a giudicare dall’offerta delle produzioni di Rai Fiction potremmo dire che il problema, ora, è la nostra percezione. L’offerta seriale Rai è modulata sui gusti del suo pubblico. Rai 1, ad esempio, offre un intrattenimento più “tradizionale”, adatto a una audience matura che desidera un contenuto semplice, rassicurante e facile da seguire. Un prodotto che agli occhi dei più giovani potrebbe apparire “antiquato”, ma non per questo scadente.

L’esempio ideale viene da Don Matteo. Una serie di qualità, figlia di un linguaggio televisivo del passato, ma che soddisfa a pieno i gusti del pubblico di Rai 1. E ogni tanto propone anche nuove sfide, non sempre accettate. La fiction di Rai 1 propone storie lineari, piacevoli, positive e incoraggianti; che infondono speranza e sono capaci di trasmettere dei valori educativi; dove gli attori scandiscono bene le parole e i salti temporali sono ridotti all’osso. Don Matteo, quindi, non può soddisfare tutti. Infatti per trovare contenuti più “moderni”, possiamo rifugiarci nella serialità di Rai 2, portatrice di una visione più fresca, meno bacchettona, e promotrice di ideali più attuali: c’è Rocco Schiavone, Mare Fuori, Volevo fare la rockstar e tante serie tv scritte benissimo, ma che ancora sono vittime del pregiudizio. Una rete, la seconda, dove purtroppo le serie tv non superano più del 6% di share, che siano italiane oppure straniere, come The good doctor. Ci sono Rai 3 e RaiPlay, poi, dove finiscono i progetti più sperimentali e audaci, come Nudes, La linea verticale e diverse serie tv estere. Infine, ci sono le co-produzioni, come Suburra – La serie, un matrimonio (insospettabile) tra Cattleya, Rai Fiction e Netflix.

Mediaset è ancora la tv commerciale?

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L’offerta delle serie tv Mediaset soddisfa ogni tipo di pubblico. L’emittente si è imposta sul mercato come una rete commerciale perché è sempre stata interessata a produrre contenuti in chiaro in linea con i consumatori dei prodotti di massa e di marca. Rete 4, Canale 5 e Italia 1 si rivolgono a un target commerciale, cioè quello che fa gola agli investitori pubblicitari. L’offerta seriale in chiaro è figlia della soap-opera che imperava negli anni ’90. Dai polizieschi, come Fosca Innocenti, ai drammi in costume, come Più forti del destino, sebbene in forme più moderne, ritroviamo comunque le stesse dinamiche melodrammatiche, quasi irrealistiche, proprie della soap. Un formato nato per fini dichiaratamente commerciali per attirare e sedurre. E poco importa se i giovani scappano. Infatti tutt’altra storia è l’offerta seriale a pagamento e on demand. Sui vari Channels, come Infinity+, Starzplay, MGM, Cine Autore, etc. troviamo film come Joker, serie tv internazionali come South Park, Bosch, Black Sails e le italiane più originali, come quelle di Maccio Capatonda. Anche in questo caso l’offerta è specifica e verticale, ma si può saltare da un genere all’altro, se si ha voglia.

Sky, sperimentale e coraggiosa

The Young Pope

Il catalogo seriale di Sky Italia, sia degli originali nostrani che stranieri, è sempre una garanzia di trasgressione e dirompenza. Non è un caso che gli originali italiani di Sky Atlantic siano tra i più apprezzati anche all’estero. Troviamo le serie HBO e BBC; le italiane, Gomorra, 1992, Christian, Il miracolo, Diavoli, The Young Pope, creata e diretta da Paolo Sorrentino (seguita da The New Pope), Anna o In Treatment Italia con Sergio Castellitto. Una serialità variegata, sperimentale, progressista, internazionale e perfino visionaria. Ma l’audacia non è sempre indice di qualità e non bisogna cadere in errore giudicando, di conseguenza, scadenti i prodotti più tradizionali, come quelli trasmessi su Rai 1. Chi guarda una serie su Sky Atlantic sa cosa aspettarsi. Vuole essere sorpreso, scioccato e pungolato. Non ha bisogno di rassicurazioni, vuole essere sfidato per stimolare il pensiero critico. Storie dove i confini tra antieroe e eroe sono sempre più sottili. Come ha fatto The Young Pope, offrendo un protagonista controverso e una visione del mondo sconcertante. Invece, quando guardiamo una fiction di Rai 1, ci aspettiamo un contenuto avvincente e allo stesso tempo rassicurante; dei personaggi familiari per i quali fare il tifo, poca violenza, il lieto fine e un giusto grado di coinvolgimento emotivo, quanto basta per staccare la spina da una lunga giornata. Il vantaggio di poter disporre di un’offerta così vasta è che, oggi, una scelta non esclude più l’altra. Il lunedì possiamo goderci un ottimo piatto di spaghetti al pomodoro mentre il martedì possiamo gustare una pietanza, altrettanto ottima, più esotica e più ricercata.

Netflix, Prime Video, Disney+, Timvision, NOW, Apple TV, YouTube e le web series: amiche nemiche.

the Boys

Infine – non certo per importanza – arriviamo alle piattaforme a noi tanto care, come Netflix, Prime Video, Disney+, Apple TV e tante altre. Senza contare YouTube e le web series: i primi contenuti d’avanguardia, quelli in cui la creatività aveva libero sfogo. Si tratta di contenuti con cui, scommettiamo, avrete senz’altro un rapporto viscerale, da veri series addicted. Ognuna delle piattaforme ha un posizionamento chiaro; talmente tanto che ognuno di noi sa benissimo dove recarsi per soddisfare un determinato appetito. Da veri addicted quali siamo, conosciamo i nostri spacciatori. Le piattaforme però non sono in guerra tra loro, anzi, a volte si alleano. La missione è sempre la stessa: anticipare i bisogni di un pubblico sempre più variegato ed esigente, sfruttando un serbatoio sconfinato di dati. Una strategia che ha reso Netflix la regina indiscussa delle serie tv. Almeno fino all’arrivo di concorrenti armate fino ai denti, come Prime Video e Disney+, le quali hanno iniziato a dare del filo da torcere alla piattaforma con la N. Ed è questo continuo gioco di seduzione che eleva anno dopo anno la qualità dell’offerta seriale. Un’offerta che, in qualche modo, viene plasmata sui bisogni differenti dello stesso spettatore che vuole conoscere e mettersi alla prova. Tanto da farci apprezzare serie tv di ogni nazionalità, che abbiamo guardato anche in coreano.

L’Italia non è più un paese per vecchi

Boris Serie tv

Viene naturale quindi concludere che il pubblico medio italiano non esiste. Si tratta di un concetto obsoleto, ancorato a una modalità di fruizione tradizionale, propria dell’era pre-streaming. Tanto quanto, forse, è anacronistico parlare di tv generalista, considerando che anch’essa, ormai, dispone di proprie piattaforme streaming. Lo scenario seriale attuale è dominato dal digitale e dalle possibilità sconfinate di accedere ai big data. Un’arma che rende possibile anticipare i gusti stessi degli spettatori (o influenzarli). Al momento solo le fasce demografiche più anziane hanno meno familiarità con il digitale. E l’Italia, si sa, ha la popolazione più vecchia d’Europa. Secondo gli ultimi dati pubblicati da Eurostat (riferiti al 2019) nel nostro Paese 13,78 milioni di persone hanno oltre 65 anni e, tra queste, oltre la metà ne ha più di 75.

Nell’autunno del 2021 la nuova presidente della Rai, Marinella Soldi, ha denunciato un calo di circa 2 milioni di contatti al giorno rispetto ai due anni passati. Stando alle sue dichiarazioni, nella fascia “prime time (20:30/22:30) gli ascolti sarebbero calati di 2,5 milioni, raggiungendo in media 23 milioni di italiani, ovvero meno del 40% della popolazione totale. Un minimo storico che non si toccava da quasi vent’anni.” Il modo di guardare la tv è cambiato, soprattutto per chi ha meno di 50 anni, cioè per tutti coloro che scelgono piattaforme dai contenuti più “smart”, pensati per appagare, all’occorrenza, ogni bisogno. Chi resta sintonizzato sui canali in chiaro, stando ai dati, è un’audience anziana. Quella che fa raggiungere alle fiction trasmesse da Rai 1 il picco di ascolti e fa crollare lo share di quelle più “moderne” trasmesse su Rai 2. Tra gli ultimi record del primo canale ricordiamo quelli di Don Matteo, de L’amica geniale e Doc che, in ogni caso, superano di rado i 10 milioni di spettatori (cioè nemmeno tutti gli over 65!). Sono dunque gli anziani a salvare gli ascolti tv della Rai. Ma forse non basta più. Sarà alla luce di questo esodo preoccupante che la Rai – come Mediaset – sta lottando contro le frange più tradizionaliste per svecchiare il palinsesto, optando per contenuti più “internazionali” e più “giovani”? Basta pensare ai remake più recenti andati in onda su Rai 1, come quello di Your Honor o This Is Us, che hanno spaccato in due il pubblico affezionato con tecniche narrative innovative e storie meno moraleggianti. Oppure pensiamo alla tedesca Sissi, più simile a Bridgerton, trasmessa da Canale 5 che ha scioccato i fedelissimi, ma ha attirato invece un nuovo pubblico.

Il pubblico medio italiano ha quello che desidera?

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Non possiamo che rispondere affermativamente perché pare che le regole della serialità le stabilisca il pubblico stesso. Un pubblico vario che vuole varietà. Un pubblico che diventa sempre più esigente e che vuole soddisfare, all’occorrenza, più bisogni. Oggi può aver voglia di contenuti più impegnativi, domani, di una visione leggera e rassicurante: l’importante e sapere dove andare a cercarli. Ma quale piattaforma può soddisfare delle esigenze così specifiche e così poco “nella media”? Perché il pubblico medio, ormai, è un essere mitologico ciclope. Le emittenti e la piattaforme sanno di trovarsi davanti a un nuovo essere con un’infinità di teste e di occhi, vorace e tanto, troppo, esigente. Le piattaforme lottano per avere un posizionamento chiaro e poi, magari, si alleano tra loro per offrire dei pacchetti combinati. Perché l’unico modo per soddisfare questo nuovo essere famelico è fare fronte comune.

L’offerta seriale non è più lineare e le esigenze sono sempre più specifiche, verticali e frammentate. Dunque non c’è più nessun “pubblico medio”. Ogni giorno, una piattaforma si sveglia e sa che dovrà correre più veloce del series addicted per anticipare i suoi bisogni, per stupirlo e sedurlo con la varietà. E forse l’andazzo lo ha capito perfino la cosiddetta tv generalista che, ormai, non può più permettersi il lusso di essere generalista.

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