Tutte le serie tv (così come i film e i libri) si possono capire meglio con una seconda visione. Il rewatch è un’occasione per scovare i dettagli che ci erano sfuggiti. Ci permette di concentrarci su aspetti diversi oppure di rivivere le stesse suggestioni della prima visione. Eppure, ci sono alcune serie tv, più di altre, per le quali un rewatch è obbligatorio, se vogliamo capirci veramente qualcosa. Serie tv talmente cervellotiche che richiedono un livello di attenzione elevatissimo, difficile da mantenere sempre costante. Storie disseminate di indizi nascosti, vicoli ciechi, simboli e chiavi di lettura inaspettate, inseriti spesso proprio nelle prime puntate. Elementi che non avevamo notato e che, di conseguenza, hanno reso più difficile la comprensione della storia stessa. Le 7 serie tv da rivedere che abbiamo inserito in questa lista sono costruite su una mole di informazioni e di dettagli pantagruelica. Vantano un’infinità di personaggi e di intrecci narrativi che è davvero difficile elaborare in una sola volta. Una prima visione che, inevitabilmente, avverrà solo in superficie.
Vediamo quindi 7 serie tv cervellotiche da rivedere (almeno) una seconda volta.
Lost
Lost è un labirinto di trame, di personaggi, di sottotrame, flashback e altre tecniche narrative che ci lasciavano basiti sia nel 2004, cioè al suo esordio, sia oggi, anche dopo l’ennesimo rewatch. Ci avevamo già provato a cimentarci nella titanica impresa di spiegarvi l’epopea della serie tv nel modo più semplice possibile. Sebbene in Lost, di semplice, ci sia davvero poco. Tant’è che siamo ancora qui a dibatterne dopo quasi vent’anni dal suo debutto. E, dopo due decenni, ci sentiamo ancora confusi come Kate, Jack, Hugo, John, Sawyer e gli altri sopravvissuti che arrivarono sull’isola. Lost non è solo una serie tv da rivedere per cogliere nuovi indizi che ci erano sfuggiti durante la prima visione (e che non finiranno mai di spuntare come funghi).
La creatura di J.J. Abrams è un universo a sé stante con significati e chiavi di lettura che potrebbero variare a seconda della nostra crescita personale. Il simbolismo e i concetti universali che sorreggono l’impalcatura narrativa, come la morte, il sacrificio o la lotta tra Bene e Male, non solo non invecchiano mai, ma si fortificano ed evolvono a ogni rewatch al cambiare di noi stessi. Lost è stratificata e, sebbene qualche lacuna qua e là , è concepita su molteplici piani narrativi, filosofici e religiosi, che necessitano molto più che una seconda visione.
Westworld
Alzi la mano chi di voi, nel finale della prima stagione di Westworld , aveva capito ogni cosa. Anthony Hopkins ce l’ha fatta sotto al naso, diciamocelo. Come Lost, anche la serie tv ideata da Jonathan Nolan e Lisa Joy (e prodotta anche da Mr. J. J. Abrams) è un compendio filosofico crudo ma meraviglioso, basato sul film omonimo del 1973, scritto e diretto da Michael Crichton. Ma la versione seriale, arrivata alla terza stagione, va oltre. La serie HBO è un’autentica esplorazione dell’essere umano e delle parti peggiori dell’umanità . Un racconto intricato, costruito su un solo, grandioso, colpo di scena, che ribalterà ogni certezza.
Un’opera monumentale – sebbene le altre stagioni non eguaglino la perfezione della prima – difficile da capire alla prima visione. La narrazione, infatti, è costruita volutamente per confonderci, tra ricordi sovrapposti e confessioni. Come il labirinto narrato nella storia, la serie scava nuovi cunicoli oscuri, ma ci distrae con il luccichio di dettagli abbaglianti che ci portano fuori strada. Azzera ogni certezza e solo nei finali di stagione ci ricompensa con un colpo di scena da maestro. Westworld ridefinisce i paramenti, pone nuovi limiti e apre nuovi scenari narrativi inaspettati e sconvolgenti, anzi, brutali. Un meccanismo contorto, impossibile da cogliere con una sola, e inevitabilmente superficiale, prima visione.
Mr. Robot
Il thriller drammatico creato dallo sceneggiatore Sam Esmail è caos e confusione. È delirio e false certezze. Iniziamo la storia sicuri di sapere chi sia Elliot Alderson e arriviamo alla fine del viaggio, durato quattro stagioni, incerti su chi siamo noi. Cosa abbiamo visto per 45 episodi? L’unico modo per capirlo, e per capire quando e dove ci siamo persi, è quello di ricominciare da capo. Questa volta, almeno, avremo una bussola. Perché Mr. Robot racconta una storia in cui non ci sono punti fermi. I dettagli fondamentali sono sommersi in un caos architettato per farci impazzire e che, per alcuni, ha determinato l’abbandono della visione stessa.
Elliot ci sta parlando, ma cosa vuole dirci? Perché solo nel finale realizziamo che (o almeno è quello che è successo alla maggioranza degli spettatori) non avevamo capito poi molto. Il drama con Rami Malek è una calamita, un crescendo continuo di ansia che dobbiamo imparare a controllare; e non possiamo farlo certo con una sola visione. Mr. Robot è una serie tv da rivedere perché come una matrioska passa da uno stato di coscienza all’altro, si diverte a disturbarci psicologicamente e ci sciocca con pochi, ma geniali, colpi di scena. Dei twist spiazzanti che acquistano un senso diverso e sempre più profondo a ogni rewatch.
The Leftovers
Considerata l’erede di Lost, The Leftovers è una serie tv ambiziosa, dai toni cupi, creata per stimolare lo spettatore e per colpirlo nel momento in cui abbassa la guardia. Creata da Damon Lindelof e Tom Perrotta, il fantasy-drama di HBO si sviluppa intorno a una premessa che, in superficie, sembra perfino banale: un giorno, il 14 ottobre del 2011, il 2% della popolazione mondiale (cioè 140 milioni di persone) scompare all’improvviso. Un preambolo che, forse, per qualcuno è sembrato addirittura prevedibile. Invece, ancora una volta, HBO ci ha fregati regalandoci una nuova epopea umana, tanto meravigliosa quanto agghiacciante. Il drama di tre stagioni con Justin Theroux è sconcertante e sconvolgente, ma seduce con un fascino strano, che ci spiazza con un dosaggio lento e doloroso. La prima visione è un susseguirsi di incredulità che ci impedisce di notare delle sfumature fondamentali, che necessitano più di una visione per essere apprezzate, e comprese.
The Leftovers è introspettiva e riflessiva e conduce a un epilogo che rimetterà tutto in discussione. Ed è proprio dal finale che, ancora una volta, ripartiremo per guardare tutto da una nuova prospettiva. La serie del creatore di Watchmen (un’altra strabiliante serie tv da rivedere) non ha bisogno di effetti speciali o di escamotage narrativi tanto avanguardistici. Scava in noi e si sofferma là dove abbiamo delle insicurezze o dei dubbi esistenziali. La sua lentezza – qui, un pregio di una rara squisitezza – mette in risalto le fragilità dei personaggi, così come le nostre. Una serie tv da vedere (e rivedere) che a ogni rewatch regala nuove prospettive e nuove occasioni per riscoprirci.
Fringe
J. J. Abrams ama le cose complicate. Ormai è chiaro. Il creatore di Lost non pronuncia frasi come: “tesoro, vado a fare la spesa”, bensì: “tesoro, mi incammino verso un’operazione di sopravvivenza primordiale, tra scelte e dilemmi affastellati sugli scaffali dei nostri bisogni reconditi”. E, probabilmente, non c’è nient’altro che gli riesca meglio come complicarci le cose. Trame orizzontali cariche di significati nascosti, appoggiate una sull’altra, dove non c’è mai un senso univoco o un solo livello di lettura. E noi, da bravi series addicted, ci cadiamo ogni volta. Ideata da J.J. Abrams, Alex Kurtzman e Roberto Orci, la serie fantascientifica di 5 stagioni, prodotta dal 2008 al 2013, mescola narrativa sci-fi allo splatter, mistero all’horror, adrenalina ai sentimenti più profondi e sinceri. Popoli Primitivi; muta-forme; paradossi; persone chiamate con il nome dei mesi dell’anno; universi paralleli; strane combinazioni alimentari, mucche, ambra e tante altre stranezze. Così, anche per questa opera mastodontica, abbiamo provato a delineare una piccola e, ci auguriamo, esaustiva guida alla comprensione (che trovate cliccando qui).
Ogni puntata si articola su un dilemma etico ed esistenziale che conduce all’altra senza lasciarci un momento per respirare. Una seconda visione non solo aiuta, ma permette di ricordare gli snodi narrativi più importanti che ci erano sfuggiti, inevitabilmente. Quelli fondamentali per comprendere la vicenda nella sua complessità e drammaticità . E quando avremo il quadro completo, allora, finalmente potremo rilassarci per goderci uno dei migliori personaggi televisivi di sempre: Walter Bishop, interpretato da un fenomenale John Noble.
Dark
Dark, ma sarebbe meglio chiamarla: “come perdersi in un albero genealogico dove i genitori sono anche i figli”. Se avete avuto dei problemi durante la visione, potete stare tranquilli: non siete soli. Le scene contorte in cui non ci abbiamo capito niente sono tantissime (e siamo in tantissimi ad aver interrotto la visione, basiti, per tornare indietro). I personaggi che sono altri personaggi che in fondo inseguono altri personaggi in un cunicolo spazio-temporale, poi, ci hanno esasperato ma, allo stesso tempo, affascinato. Una vicenda frammentata, che acquista senso, forse, solo dopo una seconda visione. In realtà , una volta giunti al compimento del viaggio, non è difficile comprendere l’impalcatura narrativa di Dark.
Il problema però è arrivare alla conclusione. Tra nomi, luoghi, volti e salti temporali è facile avere un calo glicemico e smarrirsi. Creata da Baran bo Odar e Jantje Friese, la difficoltà di Dark è dunque quella di raccapezzarsi nella complessità del suo albero genealogico. Tralasciando gli aspetti più ostici, ovviamente, come il motore metafisico, l’origine e la risoluzione del nodo oppure i paradossi che necessitano una visione in più per essere metabolizzati. Mantenere l’attenzione costante per tre stagioni che si arrovellano intorno a tre universi e tre linee temporali è un compito arduo, forse, perfino per Astro Samantha. Insomma Dark è una serie tv da rivedere, ma anche da appuntare e schematizzare, come facevamo alle medie per la Guerra dei cent’anni.
Twin Peaks
Per ultima – e non certo per importanza – abbiamo lasciato vostra altezza reale Twin Peaks. La creatura di David Lynch e Mark Frost non è una serie tv: è un universo emozionale fuori dai canoni. Un’opera di genio, sui generis, dotata di un proprio linguaggio narrativo e simbolico. Non basta rivedere I segreti di Twin Peaks del 1990-91 e Twin Peaks del 2017: ogni capitolo va rivisto, ristudiato e riesplorato. E ogni volta che terminiamo una nuova visione, realizziamo che quel geniaccio malefico di David Lynch avrebbe dovuto allegare un manuale d’istruzione. Scommettiamo che “il regista più importante di quest’epoca”, come l’ha definito The Guardian, ancora se la ride per averci gettato in confusione.
L’universo immaginario di Twin Peaks ha ispirato diversi libri, saggi e trattazioni nati con l’intento di indagare quel comparto onirico e visionario fatto di doppi, dimensioni, logge e un mondo governato da regole auto-generate. Insomma, una serie tv da rivedere sì, ma anche da studiare. Un’opera seriale che a ogni nuova visione s’insinua e ci scompiglia gli ingranaggi psicologici. Può darsi che anche vedendola in modalità rewind potremmo cogliere nuovi dettagli e nuove chiavi di lettura che, ipotizziamo, potrebbero perfino aprire ulteriori scenari immaginifici. Twin Peaks è inadeguatezza distillata, un’opera in cui è perfino riduttivo, e quasi denigratorio, parlare di colpi di scena.
Queste erano 7 serie tv cervellotiche che vi consigliamo di rivedere. Non tanto per rivivere le stesse suggestioni, quanto per capirci finalmente qualcosa.
In questa lista avremmo potuto inserire tante altre serie tv grandiose e complesse, come Game of Thrones, X-Files, Hannibal, Watchman o Legion. Ma abbiamo optato per quelle che, più di tutte, sono costruite per sfidare le capacità cognitive dello spettatore. Visioni stratificate e cavillose, che confondo perfino il pubblico più attento.