I Soprano – Made In America (6×21)
Un’atmosfera finale che non sa di gran finale. Un momento di ordinaria quotidianità in cui Tony entra in una tavola calda per cenare con la sua famiglia. Sullo sfondo, Don’t Stop Believin’. Ci lascia con l’ansia e il crepacuore una delle prime gangster story seriali che aperto la strada a una narrazione televisiva più matura. Insomma se qualcosa deve succedere alla famiglia Soprano, succederà. Fine. In quel momento c’è chi ha perso anni di vita. Chi ha urlato e c’è chi ha cercato il telecomando per accertarsi che la tv non si fosse spenta. Qualcuno sostiene che si tratti di un finale chiuso perché la risposta è chiara. Lo è davvero? Quando il finale solleva il dubbio non ci sono dubbi che sia aperto. C’è ancora chi sente addosso il peso dell’ansia e la preoccupazione crescente.
David Chase ha optato dunque per il buio. Uno schermo nero che possiamo riempire a nostro piacimento. L’86esimo e ultimo episodio della serie HBO segna il culmine dell’ambiguità narrativa dello show che tanto ci ha appassionati. Ogni elemento, ogni oggetto di scena, ogni dialogo ne I Soprano non hanno mai avuto un significato univoco. Tantomeno il finale. Una delle serie più amate della storia della televisione riesce a suscitare emozioni contrastanti anche dopo 15 anni dalla sue fine. Soprattutto a causa degli ultimi minuti. Tony è vivo o è morto? Recentemente, Chase ha rivelato il finale alternativo che avevano in mente. Un finale certo, in cui avremmo visto Tony tornare nel Lincoln Tunnel e incontrare Phil Leotardo. Un incontro dove sarebbe stato inequivocabilmente ucciso. Sebbene più risolutivo, questo finale non si adatta proprio allo spirito del gangster drama. Perché la molteplicità dell’interpretazione è la cifra distintiva de I Soprano. Come, del resto, ha dichiarato lo stesso Chase: “Unresolved story lines, contradictory statements, confused characters: all of that is what I value in the show”. In fondo, poco importa e nel “forse” risiede il significato di tutto:
Quando sei Tony Soprano, persino uscire per un gelato con la tua famiglia è oggetto di paranoia. (…) Quindi forse è successo quella sera, o forse no. Non importava davvero… A un certo punto, qualcosa di brutto sarebbe accaduto a quest’uomo e forse è stato quella notte. O forse no.
Terence Winter, produttore esecutivo
Anna – Cose da fare quando la mamma muore (1×06)
In piena Pandemia da COVID19, Sky ha rilasciato una delle miniserie italiane più visionarie ed esaltanti degli ultimi tempi. Eppure in pochi l’hanno notata. Composta da sei puntate, Anna è basata sull’omonimo romanzo del 2015 di Niccolò Ammaniti, il quale è riuscito a prevedere quello che abbiamo vissuto a inizio 2020. Certo, gli esiti (per fortuna) non sono stati così apocalittici, ma ci siamo ritrovati tanto in questa previsione così onirica, suggestiva e tragica. Un’epidemia, chiamata “la Rossa”, ha stravolto l’Italia e presumibilmente il mondo intero. Causata da un virus proveniente dal Belgio, la Rossa provoca la morte a pochi giorni dal contagio. Ma solo tra gli adulti. I bambini, infatti, ne sono immuni fino al raggiungimento della pubertà. Anna è al limite. Ha tredici anni ed è dunque una delle sopravvissute più “anziane” che, dopo la morte della madre, cerca di proteggere in ogni modo il fratellino Astor. L’ultima puntata termina con una nota dolce di speranza.
Dopo cinque puntate brutali, in cui emerge il lato oscuro dell’infanzia, Anna e Astor raggiungono una nave mercantile a largo dello stretto di Messina. La loro intenzione era quella di raggiungere il Continente, e vederlo per la prima e ultima volta. Oltre al cibo, sulla nave trovano però degli adulti vivi e vegeti. Due uomini e due donne, una delle quali sta allattando un neonato. Contrariamente al romanzo, la versione seriale si conclude con un messaggio di speranza. Anna osserva emozionata quel bimbo, un chiaro simbolo di vita. Si conclude così la serie di Ammaniti, con uno sguardo a un futuro dove potrebbe esserci vita. Ma ne siamo certi? Ci affidiamo al simbolismo oppure alla desolazione che ci ha accompagnato per sei puntate? Cosa succederà ad Anna e ad Astor quando diventeranno adulti? Il virus può essere debellato? Qualcuno ha trovato una cura? Come è la situazione nel resto d’Italia, e nel mondo? Domande a cui non avremo mai una risposta. Eppure, poco importa. Quel finale così aperto al futuro, così positivo, ci ricorda che non bisogna mai abbandonare la speranza.