Per troppo tempo, le serie tv italiane non hanno avuto il coraggio di osare, preferendo la continuità, la tradizione, la fidelizzazione di un’audience già consolidata. Un qualcosa di diverso, sia tematicamente che tecnicamente, sarebbe stato un rischio troppo grande da prendere e il pubblico poteva esserne colpito in maniera negativa e non esser pronto per quella data novità. Fortunatamente, negli ultimi anni anche la serialità italiana ha capito di doversi mettere in gioco, di sperimentare nuovi stili e narrazioni e di puntare a spettatori più giovani. Questo perché il pubblico è diventato più attento, più recettivo, più aperto al nuovo. O a ciò che un saggio Stanis La Rochelle tanto cercava in una produzione nostrana: un qualcosa di poco italiano. Ed è proprio di queste serie tv che parleremo nel pezzo, ovvero di tutte quelle che si discostano dalla nostra tradizione seriale in termini di narrazione, di trame, di tematiche, di tecnica o di tutte queste cose assieme.
E non saranno serie tv italiane qualsiasi, ma le meno italiane che siamo riusciti a individuare. Non resta, allora, che andare a scoprirle insieme.
1) La linea verticale
Iniziamo questo pezzo delle serie tv italiane meno italiane di sempre con una perla rara firmata Mattia Torre. Perché non esistono prodotti come La linea verticale nel Bel Paese.
Nonostante sia incentrata su un uomo che scopre di avere un tumore al rene e di doversi ricoverare subito, non ci troviamo di fronte al solito medical drama italiano. Il focus della serie non è tanto il sistema medico, quanto la malattia e il rapporto che medici e pazienti hanno con essa. Se per i secondi è un momento drammatico che disintegra il loro intero mondo, i primi devono affrontarla con delicatezza (per non aumentare il dolore) e distacco (sia per abitudine, sia allo stesso tempo per non farsi travolgere dalle emozioni), sebbene non sia facile. E il punto di vista da cui osserviamo quel microcosmo è quello di Luigi, il protagonista interpretato da un grandissimo Valerio Mastandrea; dunque, non è mai al centro delle vicende, ma diventa gli occhi con cui scopriamo quel mondo.
Ironica ma mai cinica, a tratti disturbante, mai stucchevole o melensa ed estremamente coraggiosa, La linea verticale ha un taglio realistico vivido, concreto e toccante. Con questo suo mix di commedia, dramma e medical, con qualche punta di surreale, anche il format è innovativo per la nostra TV: otto puntate da circa 20/30 minuti. Ed è un peccato che una serie così atipica, bella e profonda sia caduta troppo presto nel dimenticatoio.
2) Nudes
Come Skam Italia, Nudes adatta l’omonima serie tv norvegese ma, a differenza del ben più noto prodotto di Netflix, purtroppo non ha avuto lo stesso successo. Disponibile su Rai Play (come anche La linea verticale), Nudes delinea un tema che in Italia non è mai stato affrontato così direttamente: il revenge porn. Ne racconta le conseguenze, il modo drammatico in cui destabilizza più vite (dato che è un atto irreversibile), gli effetti sia su vittime e colpevoli, sia sui terzi che inevitabilmente verranno coinvolti. Attraverso tre punti di vista differenti – ovvero quello dei protagonisti Vittorio, Sofia e Ada – viene mostrato il senso di colpa, il mettersi in discussione dopo che tutti hanno visto i loro corpi nudi senza consenso, la reputazione ormai compromessa (e per un adolescente questa rappresenta tutto), le paure e gli errori di ragazzi di quell’età.
Nudes vuole avvicinarsi quanto più possibile alla realtà, allontanandosi dai soliti cliché e dagli sterili moralismi del genere, per raccontare un teen drama non stereotipato, non classico o eccessivamente drammatico, ma che cerca di capire il problema, che vuole essere accessibile a ragazzi e adulti, che mira a educare e a prevenire il revenge porn senza giudizi né prediche di alcun tipo.
Non è una serie rassicurante, proprio perché vuole essere vera. È angosciante, ma sa quando è il momento di rilassarsi. Unendo all’adolescenziale il thriller, non risulta mai scontata e non è, quindi, incanalabile nella classica serialità italiana. Motivo per cui è presente tra le serie tv italiane meno italiane di sempre.
3) In Treatment
In Treatment (disponibile su NOW) è andato in onda circa dieci anni fa, quando la moda dei remake in Italia non era così diffusa come oggigiorno. Tratta dall’omonima serie tv statunitense, il rischio di prendere un prodotto estero e di contaminarlo con trovate banali era elevatissimo. Fortunatamente, In Treatment non l’ha fatto. Anzi.
Già il tema affrontato, ovvero la psicologia, non è così comune in una serialità italiana orientata più su gialli, storie sulla criminalità organizzata, teen drama o commedie familiari. Nello studio dello psicoterapeuta Giovanni Mari (interpretato da un ottimo Sergio Castellitto) si alternano quattro pazienti: il lunedì c’è Sara, una ragazza dalla vita amorosa tormentata; il martedì Dario, carabiniere sottocopertura in un difficile caso; il mercoledì Alice, una ballerina con tendenze suicide; il giovedì è il turno di Lea e Pietro, una coppia in crisi; il venerdì è lo stesso Giovanni ad andare in terapia. Ogni paziente – che cambiano nelle stagioni successive – è un’apertura nell’inconscio che Giovanni deve percorrere, che lo voglia o no, e in ogni seduta emerge qualcosa su di lui e su chi si affida alla sua guida per guarire.
In Treatment, dunque, è completamente basata sui dialoghi; la parola è assoluta protagonista della serie tv. Ogni scambio non è mai forzato e, nonostante alle volte delle battute sembrino irrilevanti, in realtà si trasformano in grandi punti di svolta. Ecco perché rientra tra le serie tv italiane meno italiane di sempre, ma che meritano di essere conosciute, viste e vissute.
4) Anna
Già con Il Miracolo (la cosa più vicina a Twin Peaks mai creata in Italia) avevamo compreso che le serie tv di Niccolò Ammaniti si discostavano da ciò a cui eravamo solitamente abituati nelle produzioni nostrane. E Anna non fa eccezione, nonostante sia passata decisamente troppo in sordina. Certo, seppur concepita molto prima, non le ha giovato il tema trattato proprio durante una pandemia mondiale, che ne ha accentato la ferocia disorientante. Tuttavia, rimane ingiusto il trattamento riservatole. Di genere distopico e post-apocalittico – e non se ne vedono tanti di spettacoli televisivi così in Italia – è incentrata su Anna Salemi e suo fratello Astor, rimasti orfani dopo che un virus di nome la Rossa ha ucciso tutti gli adulti. Finché non raggiungono la pubertà, i bambini ne sono immuni. Senza adulti a guidarli e prendersi cura di loro, però, vivono in condizioni estreme, in totale anarchia, privati dell’innocenza della loro età e in una struttura sociale brutale che non lascia scampo a nessuno, compresa la protagonista. Una vita durissima, che finirà presto dato che, crescendo, verranno uccisi dal virus.
La crudeltà dell’universo della protagonista si alterna a paesaggi e musiche favolistiche. Anna racconta in maniera cruda, poetica e visionaria questo mondo abbandonato, permettendoci di conoscere ogni singolo personaggio, scatenando in noi emozioni contrastanti e facendoci anche riflettere su temi importanti e delicati.
Per tutto questo, entra di diritto tra le serie tv italiane meno italiane di sempre.
5) Boris
Chiudiamo con uno dei prodotti fondanti della nostra serialità, ma che, se ci pensiamo bene, è una delle serie tv italiane più controcorrente, sperimentali e poco italiane che ci siano. E Stanis La Rochelle ne sarebbe davvero fiero.
Boris è una metaserie che ci porta nel dietro le quinte di una fiction italiana realizzata alla “c***o di cane”, tanto per citare René Ferretti, e piena di cliché, interpretazioni che lasciano a desiderare e bassa qualità. Come Gli Occhi del Cuore appunto. Ci trasporta lì attraverso uno spettacolo curato in ogni più piccolo particolare, dal reparto tecnico alla recitazione, passando dalla sceneggiatura. Parodizza con dissacrante ironia la tv italiana, che viene destrutturata grazie all’abbandono di retoriche, moralismi o linguaggio tipico delle fiction, per lasciare il posto a quel realismo impertinente voluto dai suoi autori, tra cui quel geniale Mattia Torre già citato in questo pezzo. Parlare della tv, però, è solo un pretesto per mostrare i paradossi dell’Italia, in cui l’intrattenimento è succube della politica, il raccomandato ha la strada aperta e c’è bisogno di sacrificare i propri sogni e poetica per portarsi a casa lo stipendio.
Rompendo la quarta parete e i canoni della commedia all’italiana, Boris è stata quasi profetica (e lo è tutt’oggi, alla luce della meravigliosa quarta stagione), diventando la capofila di chi vuole dire basta alle orride produzioni dei nostri palinsesti, riuscendo a imporsi con tormentoni che sono entrati nel nostro gergo e hanno cambiato per sempre il linguaggio televisivo italiano.
Arrivati alla fine di questo viaggio in una serialità italiana da (ri)scoprire, abbiamo capito che c’è un universo intero di prodotti che, proprio per il loro essere poco italiani, spesso sono passati in sordina – tranne Boris – ma che meritano di essere visti, di non essere lasciati nel dimenticatoio. Dimostrano, poi, che la nostra TV è viva, dinamica e finalmente aperta al nuovo. Sappiamo che 5 punti per un tema del genere sono pochi; dunque, come di consueto, chiediamo a voi di allungare la lista, chiedendovi: quale tra le serie tv italiane meno italiane di sempre inserireste in questo pezzo?