Il catalogo Netflix è davvero infinito: un pozzo senza fondo capace di inghiottire tantissime serie che non hanno la fortuna di diventare virali. Ogni tanto, però, capita che per caso e per fortuna alcuni show vengano rigurgitati in superficie, anche grazie a qualche recensione capace di attirare il lettore. Noi di Hall of Series vi abbiamo indirizzato spesso verso gioiellini inaspettati restituendo importanza a serie ingiustamente trascurate. Ora, con questa rassegna abbiamo pensato di riunire tutto il meglio del meglio delle serie tv Netflix sottovalutate. C’è un’incredibile giallo investigativo che vi farà ridere di cuore ma anche un’avventura avvincente come poche seppur strampalata e apparentemente insensata. Ma tra le serie tv Netflix sottovalutate il podio va a una recentissima produzione, del tutto inaspettatamente turca (anche registicamente superba) e a una dramedy che parla di amore come non era mai stato fatto prima, senza romanticherie e patetismi ma con eccezionale realismo. Vediamo allora le 5 serie tv Netflix sottovalutate migliori di tutti i tempi!
1) American Vandal
Avete mai desiderato vedere un giallo che sia anche ironico? Probabilmente no, ma gli autori di American Vandal non se ne sono fatti certo un problema e ci hanno regalato una serie di cui avevamo bisogno ma che non sapevamo di volere. La storia è quella di un misterioso estroso che ha imbrattato le auto dei professori di una scuola con dei simboli fallici. I sospetti cadono subito sul bullo della scuola ma il giornalista in erba Peter Maldonado non ci sta. Decide perciò di approntare un documentario che miri a ricostruire l’intera vicenda. La tecnica adottata in American Vandal è quella del mockumentary, un finto documentario, che si serve di testimoni, interviste, scene ricostruttive e segue le indagini della polizia locale. Tutta la serie è giocata sulla parodia di questi documentari in stile detective tra rivelazioni scottanti di anonimi informatori e prove che ribaltano continuamente la pista da seguire.
Si ride molto e di gusto: il protagonista ricorda fisicamente l’irresistibile McLovin del capolavoro trash Suxbud ma ha tutta un’altra intelligenza e ostinazione. Il suo interesse per le indagini lo conduce su strade irte di pericoli e gli interessi perché il suo documentario non veda mai la luce sono tanti. Ma Maldonado non si arrenderà fino a svelare una rete di connivenze che forse interessa anche i piani alti… O forse no. Quello che sorprende di più di American Vandal è la capacità di coniugare ironia, comicità bassa (ma mai dozzinale) e intreccio: sì, perché la trama è studiata nei minimi dettagli e ha un interesse tutt’altro che secondario suscitando anche attimi di tensione, colpi di scena tanto impensabili quanto coerenti e un finale esplosivo.
Insomma, che dire: è il mix perfetto per una serie che rappresenta un’autentica eccellenza su Netflix. La valutazione sui principali aggregatori di recensioni è altissima, tra le migliori della piattaforma. Ciononostante questo prodotto è rimasto incredibilmente di nicchia: colpa di una scarsa campagna pubblicitaria, forse, ma anche del gran numero di serie che Netflix fa uscire con una cadenza impressionante. E così American Vandal è finito nel calderone, come una delle tante che passano nella corrente incessante degli show disponibili. Per fortuna, comunque, qualcuno è riuscito a “ripescarla” e restituirle il giusto riconoscimento. Se siete rimasti intrigati, date un’opportunità ad American Vandal contribuendo alla sua fama!
La serie ha avuto anche una seconda stagione, diversa forse, ma non inferiore alla prima (l’episodio con la più alta valutazione di American Vandal su IMDb è l’episodio finale della season 2) ma si è fermata, ingiustamente, qui. Una bella, bellissima serie che avrebbe meritato maggiore visibilità. Forse grazie a voi potrà averla e chissà che non parleremo di un nuovo inaspettato capitolo di questo gioiello dall’ironia… “gialla”!
2) Dirk Gently’s Holistic Agency
E se parliamo del un plot intrigante di serie tv Netflix sottovalutate allora non possiamo non citare la regina delle serie sottovalutate: Dirk Gently è folle, sopra le righe, particolarissima ma anche estremamente coerente nel suo svolgimento. Protagonista è un inconsapevole Elijah Wood che si troverà ad affiancare un improbabile detective olistico (Dirk Gently, appunto), un investigatore cioè che non segue una pista ragionata ma che lascia che le prove vengano da lui: assecondando le piste del momento si inoltre sempre più nel caso in un crescendo di momenti incomprensibili se non assurdi. Ma il bello è che il finale della prima stagione vi restituirà con una magnifica chiusura del cerchio la spiegazione a tutte le incredibili scene che avete visto.
Sinceramente, noi di Hall of Series siamo rimasti folgorati da questo gioiello che in appena otto episodi ci ha fatto emozionare, sentire il senso dell’avventura, il brivido della scoperta e ci ha anche divertito con l’eclettico Dirk e i suoi strampalati “amici”. Straordinari gli interpreti (il già citato Wood ma anche Samuel Barnett), curatissima la fotografia ed eccellente la regia che riesce a creare tensione e sorpresa con ambientazioni incredibili tra cunicoli, stanze con trabocchetti e tanto altro.
La serie conta anche una seconda stagione forse leggermente inferiore alla prima (ma sarebbe stata davvero un’impresa ripetere i risultati della season 1): il risultato è stato la cancellazione di Dirk Gently per la disperazione dei pochi ma buoni fan. Anche in questo caso è difficile capire le ragioni del flop: la critica da parte di pubblico e critica è molto positiva ma probabilmente si tratta di un prodotto di nicchia che non può imporsi su larga scala: si gioca molto con i paradossi e la serie è spesso e volentieri sopra le righe. L’attenzione richiesta è alta (seppur naturale vista la capacità di intrigare), la sospensione dell’incredulità anche. Forse non sarà il vostro genere ma vale la pena tentare se amate trame avventurose, intrecci ben congeniati e personaggi molto particolari. Non ve ne pentirete!
3) I Am Not Okay with This
Passiamo a un teen drama che, al netto di qualche momento decisamente trash, merita di essere annoverato tra i prodotti Netflix che avrebbero meritato maggiore visibilità. La storia è quella di Sydney, una ragazzina che si trova ad affrontare tutte le difficoltà della pubertà, incapace di socializzare con gli altri (fatta esclusione l’amica Dina) e di trovare il suo posto nel mondo. A complicare le cose anche una strana capacità che dovrà imparare a controllare. Dai produttori di Stranger Things e dal regista di The End of the F***king World (da cui riprende molto dello stile) una serie che unisce a un briciolo di sci-fi quel tanto di narrazione esistenziale che la innalza sopra la massa indistinta di teen drama.
La forza della protagonista, la sua iconicità conquistano dal primo minuto, frutto di uno studio attento del carattere. È facile rivedersi in Sydney, ragazza al di fuori dei circuiti tradizionale, capace di vedere tutta l’ipocrisia degli ambienti scolastici e orgogliosamente indipendente ma anche fragile, incerta, in continua balia della sua pubertà, alla ricerca di un equilibrio che si fa ancora più complicato per il suicidio del padre, avvenuto un anno prima. La rabbia, l’incapacità di accettare la realtà ma anche il drammatico bisogno di fare i conti con essa porteranno la protagonista a un viaggio di scoperta di sé. L’elemento sci-fi in questo senso è ben congeniato e permette di diventare espressione esteriore dell’interiorità più nascosta della ragazza: trova così concretizzazione materiale la rabbia, la confusione esistenziale, la forza combattiva di Sydney e l’esigenza di canalizzare tutta quella emotività che erompe incontrollata.
Sarà anche grazie all’introduzione di un terzo personaggio, l’eccentrico Stanley, che la protagonista inizierà a guardare in faccia se stessa e provare a maturare, seppur a modo suo e con problemi che sembrano più grandi di lei. Una sola stagione per I Am Not Okay with This prima della cancellazione e una narrazione che, dopo il cliffhanger finale (un po’ troppo sopra le righe), è rimasta colpevolmente interrotta. La forza dello show è nella già citata protagonista ma anche in una piacevolissima regia che accompagna con grande attenzione Sydney restituendone visivamente la complessità emotiva. A contribuire anche una colonna sonora da appuntarsi e dei personaggi di contorno che svolgono bene la parte.
4) Ethos
Tra le serie tv Netflix sottovalutate ecco un recente gioiello ingiustamente passato in sordina. Prodotta nel 2020 Bir Başkadır, questo il titolo originale, è una serie ambientata a Istanbul e di produzione turca che vi lascerà senza parole. Bir Başkadır significa “diverso da tutte le cose che gli assomigliano”. E proprio la diversità è la componente fondamentale di questa opera. Diversa dai suoi simili è Meryem, ragazza di campagna dalla salda fede islamica e dai modi semplici e genuini. Ma non è come gli altri, ha un disturbo che la sorprende in momenti diversi della sua vita facendole perdere conoscenza. Non è qualcosa di fisico ma psicologico e così la ragazza muove verso la città, la caotica, internazionale, moderna Istanbul dove incontra la psicoterapeuta Peri, sprovincializzata, moderna e atea come la parte più occidentale della metropoli in cui vive.
Istanbul rimane sullo sfondo: non è la città patinata, quella di Santa Sofia, del Gran Bazar e dei minareti ma l’Istanbul più autentica, fatta di strade isolate, aree industriali ma anche gentrificate. Per quanto in Ethos il dramma sia collettivo e l’occhio della telecamera si soffermi su tanti personaggi di contorno sono inevitabilmente Meryem e Peri a dominare la scena con i loro caratteri diversi, in contrasto e, ciascuno a modo suo, incapaci di aprirsi all’altro. È l’incontro-scontro di due mondi, l’esemplificazione concreta delle due anime della Turchia e della stessa Istanbul, quella più sviluppata e aperta all’Occidente e quella ortodossa, contadina, ma anche più verace dell’entroterra.
Non si predilige una realtà rispetto all’altra, anzi, si mette in luce l’ipocrisia di questi mondi, di quello di Peri che si considera aperta, di larghe vedute e moderna ma si rivela intollerante e incapace di aprirsi a una visione diversa dalla sua. Dall’altro Meryem, legata, quasi inviluppata in una tradizione opprimente dalla quale intimamente vorrebbe forse distaccarsi. A far da contorno altre figure che però costituiscono riempitivi rispetto alle vere protagoniste di questa serie, le uniche che meritino tutta l’attenzione dello spettatore. Ethos è una di quelle serie che arricchisce nel profondo restituendo una pennellata da grande artista alla realtà turca: lo fa anche grazie alla verve registica di Berkun Oya che modella luoghi e primi piani esteriorizzando l’interiorità delle protagoniste. Solo otto episodi di meno di un’ora ciascuno: che aspettate?
5) Love
E parlando di produzioni realistiche tra le serie tv Netflix sottovalutate non può mancare Love, una comedy, o sarebbe meglio dire dramedy, davvero unica che parla di relazioni come non era mai stato fatto prima. La storia è quella apparentemente semplice di Mickey e Gus, ragazzi dalle personalità molto diverse: lei cinica, autodistruttiva, smaliziata, lui represso, insicuro e nerd. Messa così sembrerebbe un racconto come tanti giocato sugli opposti che si attraggono e sull’amore che ha la meglio. Ma Love appare così solo nei primi episodi, prima di rivelare tutto il sostrato profondissimo che si nasconde dietro una relazione romantica “classica”.
In un crescendo di dialoghi, situazioni, confronti e scontri l’amore è indagato con un’interesse autoptico unico e restituito dagli occhi della telecamera senza filtri, in tutte le sue irreversibili contraddizioni. Ci sono le profonde liti che nascondono le debolezze di ognuno di noi: il senso di inadeguatezza, inferiorità, il masochismo e l’autodistruzione. Le incomprensioni e la distanza che ci separa dall’altro. Solo inizialmente siamo portati a pensare che sia una crescita unidirezionale con Gus che aiuta Mickey a ritrovare sicurezza in sé e ad aprirsi all’amore. In realtà dietro l’apparenza pacata e remissiva di Gus si nasconde una rabbia repressa e una serie di fallimenti che la serie avrà modo di mettere in luce nel migliore dei modi.
Il risultato è una visione onesta e anticonvenzionale dell’amore, o meglio di una declinazione dell’amore, che ci mostra come non sempre bisogna aspettare di essere pronti e maturi per il sentimento: a volte si può essere disfunzionali insieme e trovare equilibrio proprio in questo apparente squilibrio. È un amore fatto di montagne russe quello di Gus e Mickey, non l’unico possibile come la serie tiene a sottolineare, ma uno dei tanti. Un amore spesso non capito dall’esterno, pronto a cedere di fronte a paure e disillusioni ma che si aggrappa con ostinatezza a qualcosa che solo i due protagonisti percepiscono come qualcosa degno della loro lotta.
Love non è la solita storia d’amore, è la messa in scena di un amore, unico, particolare, forse distorto ma che trova profondità in qualcosa di impalpabile ma intenso nel contempo. Una grande Gillian Jacobs (Community) come protagonista insieme a Paul Rust, attore che ha davvero lottato contro un disturbo ossessivo-compulsivo nella sua adolescenza e che restituisce sulla scena tutti gli strascichi della nevrosi. Una notevole prova attoriale di entrambi ma soprattutto un grande dramma corale: forse la migliore tra le serie tv Netflix sottovalutate.