3) Manhunt: Unabomber
Distribuito da Netflix, Manhunt: Unabomber è un’opera maestosa per profondità e stile registico. O almeno lo è per una buona metà. I primi cinque episodi sono decisamente interlocutori e del tutto piatti dal punto di vista scenografico. Scolastica la resa. Rischieranno di annoiarvi. Ma resistete, ne vale la pena. La crescita esponenziale che si registra a partire dal sesto episodio, il miglior episodio in assoluto del 2017, è pazzesca. Salito in cattedra Theodore “Ted” Kaczynski il racconto muta radicalmente.
Figura di contorno fino a quel momento, Ted diventa vero protagonista a partire proprio dalla 1×06. La profondità nella trattazione della tematica si unisce all’assurda e imprevedibile crescita registica delle inquadrature, dei dettagli. Poetico, sublime. Scendiamo in profondità nella psicologia di un uomo tanto geniale quanto dissociato. La voce fuori campo con lirismo e delicatezza si fa espressione di rimpianti, delusioni. La rabbia cresce dentro di lui e coinvolge anche noi. Capiamo il suo dramma, vediamo la discesa interiore dell’uomo, la vittoria dell’orrore. Immagini oniriche si affiancano al dramma del presente e ci mostrano quello che poteva essere e non è stato.
Opera colossale con un finale incredibile per potenza immaginifica. Sei episodi (a fronte degli inutili cinque iniziali) che avrebbero dovuto entrare di diritto nella storia seriale. L’inizio claudicante e il confronto con Mindhunter uscita appena un mese dopo hanno oscurato questa serie e condannata a essere uno dei più grandi rimpianti di sempre.