Se è vero, come è vero, che le Serie Tv lasciano il segno, allora potremmo dire, etimologicamente parlando, che “insegnano”. E ci insegnano non solo (e davvero) tante piccole nozioni di storia, letteratura, costume, vita, attualità, ma anche qualcosa di molto più profondo: i sentimenti. Non perchè non siamo capaci di provarli o di distinguerli, ma perchè, nei fatti, alle Serie Tv diamo fiducia. Le vediamo, le ascoltiamo, magari non concordiamo con un loro messaggio, ma ci confrontiamo con loro. E quindi, attraverso la loro visione dei sentimenti, noi formiamo la nostra, imparando a riconoscere i segnali di tutto quello che proviamo. Abbiamo già parlato di come una certa Serie Tv ci abbia insegnato l’amore (lo ha fatto benissimo la nostra Elena in questo pezzo), oggi invece parliamo dell’odio.
Che cos’è davvero l’odio? E perchè, a insegnarcelo perfettamente, è proprio la prima stagione di The Bridge?
I Romani lo capirono perfettamente: il verbo “odiare”, in latino, non ha il presente, nasce direttamente al passato. In pratica, senza fare troppi giri di parole quando odi, in realtà stavi già odiando. L’odio non è un sentimento improvviso e fulminante come l’amore, ma lento e cumulativo; non travolge e sconquassa, ma si sedimenta e inghiotte; non è un ragazzino con arco e frecce, ma un parassita roditore velenoso. Te ne accorgi quando è troppo tardi, quando non può più essere ignorato; solo allora puoi affrontare il problema. C’è chi combatte l’odio e lo vince (pensiamo al bel finale di Revenge) e chi decide di cedergli dandogli l’anima in pasto. Lui è Jens Hansen e nella prima stagione di The Bridge crea un meccanismo magistrale!
I protagonisti di The Bridge, i detective Saga Noren e Martin Rohde
Chiariamo una cosa, rapida: a differenza dell’amore, sterminato contenitore in cui ficcare relazioni nobili o meno nobili, l’odio è unico e va distinto da altri sentimenti solo apparentemente simili. L’odio non è rabbia, non schiuma nè impazzisce; l’odio non è vendetta, perchè non libera; infine l’odio non è furia, non esplode.
Ecco, per spiegarlo bene: l’odio verso una persona non è il desiderio di vederla morta, ma di vederla in una situazione tale da renderle la morte l’unica via di salvezza. L’odio è la creazione dell’inferno, con l’odiato al centro e l’odiatore appena fuori, da malefico demiurgo.
E quello di Jess Hansen è l’odio più perfetto mai rappresentato in una Serie Tv. Vittima di una terribile ingiustizia della sorte, passa anni a cercare, identificare ed esaminare con minuzia tutti quelli che secondo lui sono i colpevoli. E progetta un piano che mira a far fuori tutti loro più eventuali innocenti che si piazzino sul suo cammino. Qualcuno penserà “Beh, se escludi gli omicidi, abbiamo una nuova versione de Il Conte di Montecristo“. Nulla di più sbagliato: l’odio di Jess Hansen gli impedisce di cercare il lieto fine della redenzione.
Jess vuole solo portare tutti i colpevoli nel baratro senza fondo che lui stesso si è scavato. E ci riesce, fino a pochi secondi dalla fine.
Quasi dimenticavo, l’odio, di per sè, è un sentimento ambizioso, perchè l’unico, come l’amore, che crede di poter giocare con l’eternità. E non si limita a colpire persone ma mira ai simboli. Del resto, lo mostra anche la Bibbia: se vuoi distruggere, tanto vale farlo in grande, no? E sono questi due qui sotto che devono impedirlo.
Così gioca (letteralmente) con la vita di un giornalista, per colpire la stampa che non si è preoccupata del suo caso; finge di preoccuparsi della piaga del lavoro minorile perchè nell’incidente da cui scaturisce tutto è morta sua figlia (lui ha perso un figlio? Anche gli altri devono rischiare di perderlo). Gli psicologi non hanno funzionato con lui? Bene, devono morire, quanti più è possibile, uccisi dai loro stessi pazienti. L’odio è un perverso meccanismo di contrappasso dantesco, una creazione di causa-conseguenza, che distrugge dentro per scolpire fuori. E si mostra, tutte le volte che è possibile, anche nel fisico.
L’odio corrode, ma non scarnifica, perchè ha bisogno della vita per ricreare il suo equilibrio; questo lo rende profondamente diverso dall’avidità, che si nutre mangiando chi la ospita e la cui fame non passa mai. Predilige i toni del grigio, più di quelli del nero, perchè il grigio scurisce il bianco, che racchiude tutti i colori. Ed è freddo, gelido, cosa che, ma solo quella, lo accomuna alla vendetta. In pratica, chi si lascia plasmare dall’odio ha un corpo più o meno come questo.
Chi ha visto The Bridge lo conosce e non può ignorarlo: per chi non l’ha visto è il tempo delle presentazioni. Signore e signori, ecco Jens Hansen, benvenuti nell’odio a cui è stato finalmente dato un corpo.
Un corpo e anche una fine. Jess ha un destino che non capita a tutti i personaggi delle Serie Tv. Compie il suo odio e gli sopravvive. Vediamo quindi la vita (anche se in carcere, certo) di chi ha nuovamente trovato il suo equilibrio. E per questo fa andare su tutte le furie Martin, che quell’equilibrio non lo avrà mai, perchè incapace di rispettare i propri sentimenti. Jess Hansen ha il sorriso sardonico e beffardo della vittoria, l’imperturbabilità degli epicurei, la cazzimma di chi vede il mondo affannarsi davanti alle vacuità, mentre lui ha arraffato la sostanza, e adesso se la gode.
Gioca ancora con Martin, nella seconda stagione, in un ruolo paradossale: lui continua a essere il gatto, anche se in prigione, mentre Martin è il topo, prigioniero, da libero, delle sue illusioni, di quell’odio che non può sfogare, e soprattutto del suo ruolo. E negli incontri con Jess, non c’è Saga a trattenerlo.
Jens Hansen muore da profeta, da uomo che ha avuto una rivelazione, non divina ma infernale. E ci lascia un insegnamento.
Abbraccia il tuo odio e soddisfalo. Solo così diventerai libero