Esiste un tempo della nostra vita, tendenzialmente legato all’infanzia, in cui tutti ci identifichiamo con i buoni. Preferiamo i “cowboy” agli “indiani” (posto che ci sarebbe da discutere su chi siano davvero i buoni, ma non è certo questa la sede). Scegliamo le “guardie” rispetto ai “ladri” e così via. Anche nelle Serie Tv esiste un parallelo di questo paradigma. Ciò probabilmente perché lo mutuiamo dai cartoni animati visti da bambini dove di volta in volta immaginiamo di essere l’Uomo Tigre, Voltron, Jeeg Robot, le ragazze di Occhi di Gatto e via dicendo. Se pensiamo alle Serie Tv fino agli anni ’80 possiamo fare lo stesso discorso: Magnum P.I., MacGyver, l’A-Team e avanti così. Ma poi? Poi succede qualcosa che fa cambiare questa “armonia”.
La contrapposizione Eroi – Nemesi, diviene più strutturata. I “nemici” smettono di essere meri “numeri” che cambiano di puntata in puntata e iniziano ad avere una propria specifica fisionomia. Restando nel parallelo dei cartoni animati possiamo vedere questo “processo” sublimato nel cult “Ken il guerriero“. Di volta in volta gli avversari principali del nostro eroe, diventano sempre più sfaccettati, profondi, interessanti e, in ultima analisi, delle vere e proprie icone. Shin, Souther, Raul e Kaio per esempio sono personaggi che rivelano una profondità e complessità decisamente affascinanti che li rendono molto più avvincenti e accattivanti rispetto allo stesso Ken.
Nelle Serie Tv il meccanismo è il medesimo. A partire dagli anni ’90 e soprattutto nell’ultimo ventennio iniziano a comparire i cosiddetti “villain” che ricoprono ruoli e aspetti della trama come raramente si era visto in precedenza. Questi “nemici” hanno un fascino oscuro in grado di eclissare, a volte, quello degli stessi protagonisti. Le Serie Tv scoprono quanto già ampiamente anticipato nel cinema: l’efficacia e presa sul pubblico dei “cattivi“.
Ci sono alcuni elementi fondamentali che permettono tutto ciò.
Il fascino della complessità
I cattivi rappresentano spesso i mali necessari delle persone. Ambizione, rabbia, ira, lussuria, invidia e così via. Risultano molto più a loro agio con i loro lati oscuri, le loro emozioni disordinate e più disposti a usarli che non i così detti “eroi”.
Un ottimo esempio l’abbiamo con Benjamin Linus in Lost. Non ci ha lesinato nulla: dai rapimenti alle torture; dalle stragi al sacrificio della propria figlia. Non c’è nulla che Ben Linus non fosse disposto a fare per proteggere l’isola da quelli che riteneva indegni di conoscerne i segreti. Eppure, il suo comportamento detestabile aveva un carisma perverso.
Sono imprevedibili
I malvagi possono cambiare idea in un istante, il che rende le cose più eccitanti. Invece di essere prevedibili come i supereroi, i super criminali ti tengono in allenamento e ti costringono a non abbassare mai la guardia.
La quintessenza dell’imprevedibilità è sicuramente Jim Moriarty. Cosa sarebbe Sherlock Holmes senza la sua nemesi? D’altra parte è lui stesso a dire:
“In tutte le fiabe c’è bisogno di un cattivo vecchio stampo. Tu hai bisogno di me, altrimenti non sei nulla”
L’imprevedibilità è l’assioma sul quale si regge l’intera fortuna di Moriarty e uno dei motivi per il quale è diventato così amato dal pubblico di tutto il mondo.
I loro monologhi sono i migliori
Ogni buon cattivo ha un discorso pieno di algida rabbia, che fa venire i brividi e che alla fine è fantastico. Preparato per il momento in cui finalmente si trova faccia a faccia con il suo eroe o con i “propri nemici” e pensiamo che sia spesso da Oscar.
“Sì lo rimpiangerai […]. Non pensavate davvero di potervela cavare senza una punizione giusto? Non voglio uccidervi signori, voglio essere chiaro sin da subito, voglio che lavoriate per me. Non potete farlo da morti, dico bene? Non voglio coltivare un orto. Ma avete ucciso i miei uomini e accidenti e anche parecchi, più di quanto possa accettare e per questo dovete pagare. Quindi adesso la mia intenzione è pestare a sangue uno di voi. Questa è Lucille e lei… è… fantastica…”
Un’entrata in scena con un monologo di 10 minuti. Non un urlo. Non la rabbia. Ma dieci lunghi minuti di precisa e didascalica spiegazione di cosa accadrà e perché. L’arrivo di Negan in Walking Dead è letteralmente una “mazzata“. E da subito si è capito di essere di fronte ad un villain eccezionale e che, nel suo determinato orrore, non può non affascinare.
(Qui potete trovare altri memorabili monologhi delle Serie Tv)
Sono molto più creativi
Un eroe ha praticamente un solo lavoro: andare a fermare il cattivo di turno qualunque cosa stia facendo. E lo fa usando il suo miglior talento. I cattivi, d’altra parte, non cessano mai di stupirci con le loro trame complicate che fanno letteralmente contorcere la mente.
Quale personaggio migliore di Cersei Lannister, la regina delle regine, per dimostrare tutto ciò? Basti pensare al suo primo dualismo, quello con Ned Stark. L’ingenuità dell’uno sovrastata dalla finezza mentale dell’altra. Cersei è decisamente lo stereotipo del villain sopraffino, capace di uscire da qualunque situazione in qualunque modo. E non sarà mai un modo banale, vero Alto Passero?
La perfezione stanca
Tutta questa perfezione che avvolge spesso i protagonisti, gli eroi, può arrivare a dare noia. Come può qualcuno essere così perfetto? I nostri cattivi preferiti hanno invece spesso una storia sul perché sono cattivi. Sul come sono diventati ciò che sono. Ed è sicuramente molto più interessante osservare come questo loro passato influenzi i loro comportamenti, le loro decisioni.
Chi incarna decisamente questo aspetto è Wilson Fisk. Magistralmente interpretato da Vincent D’Onofrio è il risultato di un’infanzia tremenda. Figlio di un uomo violento e ambizioso che per primo lo mortifica e umilia. Di fronte ad atteggiamenti di bullismo da parte di altri ragazzi viene costretto dal padre a reagire con estrema violenza su uno dei compagni. Fino a quando, costretto ad assistere alle violenze ed abusi che il padre perpetuava sulla madre, lo uccide a martellate. Tutto questo lo porta a diventare il “Machiavelli” del crimine nella Serie Tv Daredevil. Ogni azione risponde a un preciso senso morale interiore. Distorta, ma pur sempre morale. La sua morale.
Alla luce, o meglio dovremmo dire all’oscurità, di tutto ciò possiamo sostenere che i villains siano sempre molto meglio raffigurati degli eroi. Principalmente perché gli eroi arrivano con delle aspettative da parte del pubblico. I “cattivi” invece hanno il vantaggio di essere sospesi dalle aspettative, il che significa più libertà in termini di scrittura, definizione dei personaggi, dialoghi, trucco, costumi e impatto visivo complessivo. Non essere vincolati da uno stereotipo aiuta i personaggi malvagi ad essere molto più fantasiosi e di impatto.
I cattivi tendono a essere sempre più suadenti, carismatici, potenti ed intensi dei protagonisti.
Il vantaggio di avere un villain di livello in una Serie Tv è quello di permettere al corrispettivo “eroe” di raggiungere un livello di fascino, che non avrebbe mai potuto avere senza un contraltare altrettanto magnetico. I cattivi poi hanno un tempo limitato sullo schermo, mentre gli eroi tendono a essere coinvolti nella maggior parte delle scene e degli episodi permettendo quindi di sublimare sui primi l’alone di mistero che li esalta ulteriormente.
Infine, probabilmente, dobbiamo riconoscere che il fascino che i cattivi riescono a suscitarci sia dovuto alla relazione che si instaura tra “loro” e una più o meno inconsapevole parte di “noi” che spesso neghiamo e nascondiamo.