Le Serie Tv degli ultimi anni hanno alzato notevolmente l’asticella della qualità, non solo per una narrazione sempre più articolata e affascinante ma anche per un registro stilistico via via più ricercato. Non è (più) necessario scomodare il paragone con il mondo del cinema perchè la televisione ha ormai raggiunto una propria autonomia espressiva.
È giusto, tuttavia, sottolineare la stretta interdipendenza tra piccolo e grande schermo e, come abbiamo visto in questo articolo, Sherlock rappresenta uno snodo chiave di questo percorso. Le Serie Tv sono cresciute sia in audience che nel budget loro dedicato, creando un contesto perfetto per sperimentare virtuosismi registici che, fino a qualche anno fa, sarebbero stati considerati utopia.
Il merito è anche di un numero sempre più significativo di cineasti e attori hollywoodiani prestati al piccolo schermo. Questi, infatti, hanno contribuito più di tutti a rendere le Serie Tv progetti di volta in volta più ambiziosi. I casi che verranno delineati in questo articolo sono, per l’appunto, quelli in cui tale ambizione ha raggiunto la sublimazione, quanto meno dal punto di vista della regia.
La rivoluzione, dietro la macchina da presa, è arrivata e questi sono dieci fulgidi esempi del suo impatto.
1) LA BATTAGLIA DEI BASTARDI
Abbiamo già parlato della portata rivoluzionaria della Battaglia Dei Bastardi in questo articolo. Se in quel frangente ci siamo concentrati sugli aspetti simbolici, andiamo ora a vedere nello specifico come Miguel Sapochnik, regista dell’episodio, sia riuscito a cambiare la concezione delle scene di guerra sul piccolo schermo. Tutto quello che c’è stato prima, infatti, puntava a mettere in risalto il valore dei combattenti; lo scontro tra Ramsay Bolton e Jon Snow sovverte tale principio, ponendo l’enfasi sul caos.
Si comincia con una panoramica dall’alto che indugia sugli schieramenti, trasmettendoci la maestosità dell’esercito di Ramsay. È soltanto l’anticamera di quello che accadrà di lì a poco, ma è una ripresa chiave per dare allo spettatore la percezione dell’impotenza di Jon e dei suoi uomini. Dopo il crudele assassinio di Rickon – così com’è crudele e meravigliosa la trovata registica, nella quale l’inquadratura si sofferma sul giovane Stark e non sull’ultima freccia scoccata da Ramsey, dandoci l’illusione che egli possa scampare alla morte – ha inizio la battaglia vera e propria.
Le scene della battaglia sono, sostanzialmente, frutto di un lungo piano sequenza il cui soggetto principale è Jon Snow. Sapochnik sembra voler mettere su un piedistallo il futuro Re del Nord, di cui conosciamo ampiamente il valore, dimostrandoci come in realtà, in questa battaglia sporca e sanguinolenta, egli sia in balia del caos. E infatti lo vediamo sfuggire alla morte in più occasioni, tutte per pura combinazione.
Lo spettatore, dal canto suo, non assiste da un comodo posto in prima fila ma è risucchiato all’interno della battaglia stessa. La visione gli restituisce, pertanto, una sensazione di tremenda claustrofobia, aggravata dall’impotenza di porvi rimedio. Non a caso è la stessa sensazione che prova il nostro protagonista quando, sopraffatto dai corpi, prova a prendere una boccata d’aria.
In ambito bellico l’impatto innovativo di queste scelte registiche è di natura concettuale. Ciò che caratterizza, solitamente, le scene di guerra è la spettacolarizzazione dell’evento. Anche le precedenti battaglie della stessa Game of Thrones godono di una migliore resa scenica, con suggestive riprese dall’alto e scontri individuali. La regia della Battaglia dei Bastardi punta invece a conferire un maggiore realismo. Il che la rende una regia che gioca e tiene conto in maniera preponderante delle emozioni dello spettatore.
2) IL PIANO SEQUENZA DI TRUE DETECTIVE
Un espediente particolarmente in voga in questo momento storico – al cinema come in Tv – è il cosiddetto piano sequenza. Si tratta di una tecnica che consente di girare una sequenza mediante una sola inquadratura, generalmente piuttosto lunga. Sia quando è effettivamente un piano unico, sia quando è soggetto a interruzioni o a impercettibili tagli di montaggio è un’operazione complicatissima, capace però di accrescere all’ennesima potenza il valore di una singola scena.
Utilizzato per la prima volta a grandi livelli da Orson Welles, nel suo indimenticabile Quarto Potere, è con la Nouvelle Vague che il piano sequenza acquisisce spessore e fondamenta teoriche, venendo associato a un tipo di regia fortemente emotiva. È questo anche il caso degli esempi di long shot che verranno riportati in questo articolo, a partire da quello di True Detective – stagione 1.
Avrete già sentito parlare della scena in questione – per la precisione, quella finale del quarto episodio – essendo stata all’unanimità considerata una dei più rivoluzionari artifizi registici non soltanto delle Serie Tv, ma dell’intera storia del piano sequenza. Nelle fattispecie si parla della retata di cui si rende protagonista Rust, sul punto di sgominare i traffici di una banda criminale.
Per ben sei minuti la telecamera- guidata dalla mostruosa regia di Cary Fukunaga – indugia sull’iconico personaggio di True Detective, ma è incredibile come ogni fotogramma riesca a dare il giusto risalto a ciò che circonda Matthew McCounaghey. Tutto intorno, infatti, sta prendendo vita una vera e propria battaglia, che coinvolge due bande rivali, il conseguente arrivo della polizia e non risparmia nemmeno la presenza di donne e bambini. Ma per quale motivo la scena merita l’appellativo di rivoluzionario?
La sequenza, intrisa di un realismo spaventoso, si sviluppa dall’interno all’esterno di un appartamento, per poi incentrarsi sulla fuga di Rust e del suo ostaggio. A un certo punto i due si trovano ad aggirare nuovamente l’appartamento e la telecamera, con una trovata geniale, li segue lateralmente non da dietro all’interno, ma lateralmente all’esterno.
Un espediente simile l’aveva già proposto Ettore Scola nella sequenza iniziale di Una Giornata Particolare, film degli anni ’70, ma quello realizzato da Cary Fukunaga presenta un coefficiente di difficoltà altissimo tenendo conto dei tempi dilatati e del maggiore dinamismo della scena. Senza considerare il fatto che la telecamera torni a inquadrare Rust proprio mentre egli sbuca dall’altro lato della casa, indugiando momentaneamente sui criminali nell’appartamento.
E pensare che sono bastati solamente 7 ciak e meno di due giorni per ottenere un risultato meraviglioso, pianificato in ogni dettaglio e dall’impatto emotivo assolutamente debordante. True Detective sarebbe stata una Serie Tv unica nel suo genere anche senza il long take del quarto episodio. Eppure nessun altro momento, in tutta la prima stagione, è in grado di sottolineare lo spessore del prodotto HBO meglio di questa immaginifica sequenza.
3) IL PIANO SEQUENZA DI DAREDEVIL
Un altro piano sequenza particolarmente celebre e importante è quello che ci ha regalato Daredevil. A dire il vero sono ben due i long take della Serie, uno nella 1×02 e l’altro nella 2×03. E, per onestà intellettuale, è anche giusto specificare che non si tratta di un unico piano sequenza, ma di tanti long take separati da tagli quasi impercettibili all’occhio dello spettatore. Entrambi sono molto simili tra di loro e molto diversi da quello appena analizzato. Rispetto a True Detective, infatti, abbiamo meno soggetti in scena ma, ad accrescere le difficoltà, vi è molto più scontro fisico.
Quello su cui ci concentreremo maggiormente è il piano sequenza della seconda stagione. Se dal punto di vista qualitativo le due scene si equivalgono, la seconda colpisce per la capacità di coniugare musiche, azione e fotografia. Protagonista, neanche a dirlo, è il Diavolo di Hell’s Kitchen, alle prese con un’intera banda di biker, all’interno di un edificio.
L’impostazione della scena è assolutamente geniale. Come in un videogioco, in cui bisogna affrontare diversi livelli di difficoltà, Matt Murdock comincia a pestare gli avversari nel mentre continua a scendere le scale. Più egli scende i piani dell’edificio, più la musica diventa impellente, più i nemici vanno vicini a metterlo ko. Il tutto teso a ricreare un climax ascendente che raggiunge il culmine dopo 4 minuti (tanto dura il long take).
Al termine dei quali si stoppano la musica e il piano sequenza, con Daredevil pronto allo scontro finale (tanto per accentuare l’analogia con i videogame). Ma, come dicevamo, la scena è caratterizzata anche da un gioco di luci, di chiaro e scuro. Il supereroe, d’altra parte, si muove benissimo al buio e il colpo d’occhio che offre lo scontro ha pochi eguali nel panorama seriale. Il piano sequenza, probabilmente, è caratterizzata da un maggior dinamismo; questa, al contrario, riesce a implementare al meglio tutte le componenti tecniche, dal sonoro al visivo.
4) L’INCIDENTE DI KIM IN BETTER CALL SAUL
Vince Gilligan è uno che osa. La sua è una delle regie più originali e affascinanti dell’intero universo delle Serie Tv. Ne abbiamo avuto testimonianza dapprima con quel capolavoro di Breaking Bad, ulteriore riprova è stato il suo magistrale lavoro in Better Call Saul. Quest’ultimo aspetto, d’altra parte, era stato già messo in risalto in questo articolo, risalente alle prime puntate della terza stagione.
Eppure è sul finale della stessa stagione che Gilligan decide di entrare nella storia della regia con un espediente pazzesco anche solo a pensarlo. Il riferimento è alla scena dell’incidente di Kim, in procinto di recarsi dal suo nuovo cliente. Ai fini delle sensazioni che prova lo spettatore con le immagini è importante contestualizzare l’antefatto: se la donna arriva a buttarsi anima e corpo nel lavoro la colpa è delle scelte di Saul.
Con un sapiente stacco di montaggio, lo showrunner riesce a trasmettere la soggettività del colpo di sonno. Lo spettatore osserva Kim alla guida, quando un improvviso – e impercettibile – salto di frame mostra direttamente l’attimo dell’incidente. In questo modo si è riusciti a riprodurre con un realismo estremo il passaggio dal sonno al traumatico risveglio.
Già due puntate prima Gilligan era ricorso allo stesso espediente per ottenere il medesimo effetto: anche in quel caso Kim si era addormentata in macchina, prima di sobbalzare allo squillo della sveglia. In questa occasione, tuttavia, sussistono maggiori complicanze date dal fatto che la sequenza è in movimento.
5) LA SCENA DEL BOLÉRO IN LEGION
Il settimo episodio di Legion merita una considerazione a sè stante, per un discorso simile a quello fatto con l’ottavo episodio di Twin Peaks: The Return. Noah Hawley, altro nome altisonante dello scenario televisivo contemporaneo, ha condensato all’interno della puntata un poutpourri di linguaggi cinematografici tali che mettano in risalto i riuscitissimi virtuosismi visivi. Gli stessi ai quali questa Serie Tv ci ha abituati fin dal pilot e che qui raggiungono l’apice.
Sembra quasi che ‘Shadow King’ – titolo dell’episodio – sia stato concepito per omaggiare ogni forma di espressione audiovisiva a noi nota. Dal musical al cinema d’animazione, passando per il bianco e nero e il muto, il tutto contornato da immancabili toni onirici e lisergici. Proprio in questo mix di contrasti la Serie Tv trova la sua coerenza narrativa e la regia raggiunge la sua summa.
La scena del Boléro è, semplicemente, il più innovativo utilizzo congiunto dei comparti tecnici e audiovisivi. Sulle note della musica di Ravel i personaggi si muovono a tempo, quasi si trattasse di un’unica grande messa in scena teatrale. E intanto, tra scritte in sovrimpressione (tipiche del film muto) e un’alternanza bianco e nero/colori si sviluppa una scena di lotta senza esclusione di colpi.
6) LA SPIRALE DELLA MORTE DI TWIN PEAKS
In questa infinita riflessione su quanto di meglio la regia del piccolo schermo offre non potevano mancare David Lynch e la sua Twin Peaks. Abbiamo già citato l’episodio 8 e il suo inestimabile impatto sul mondo delle Serie Tv. Tuttavia, dal punto di vista strettamente registico, la terza stagione presenta trovate ancor più di rottura rispetto a quello episodio in altri frangenti. In Part 11, ad esempio.
Lynch ci ha abituati a un certo tipo di surrealismo nelle sue opere, Twin Peaks compresa. Ciò malgrado, grazie a una sapiente combinazione dell’onirico, del grottesco e a un utilizzo della macchina da presa assolutamente non convenzionale, riesce di volta in volta a trasmettere sensazioni nuove. Non fa eccezione a questo assunto ciò che accade nel campo delle roulotte, luogo dell’incontro tra Bill Hastings e Garland Briggs.
La potenza extradimensionale del portale trovato da Gordon e Albert irretisce i due agenti FBI, con il secondo che rinsavisce giusto in tempo per salvare il primo da una morte certa (la stessa che ha colpito Ruth Davenport, l’amante e collega di Hastings). Anche in questo caso emerge l’incredibile combinazione di più elementi, nella fattispecie il sonoro connesso alla regia.
Sulle prime i bruschi movimenti di macchina contribuiscono a infondere un senso di spaesatezza. A seguire, i rapidi ribaltamenti di campo indugiano dapprima sul punto di vista di Gordon e, successivamente, su quello della spirale, lasciando credere allo spettatore di essere a sua volta sul punto di venir risucchiato. Sensazione acuita dal brusio magnetico che si insinua in sottofondo alla scena.
Grazie all’efficace combinazione di suono e visioni prospettiche Lynch ha riscritto il concetto di tridimensionalità in Tv. La scena della death spiral – così è stato ribattezzato il portale – è a tutti gli effetti la più affascinante esperienza immersiva in una Serie Tv, capace di ottenere a occhio nudo risultati neanche troppo distanti da quelli ottenibili con un visore a 360°.
7) L’INTERO EPISODIO IN PIANO SEQUENZA DI MR. ROBOT
Sam Esmail e la sua Mr. Robot meriterebbero un articolo a parte con tutte le trovate innovative sul piano stilistico. Non staremo parlando di una serie che ha spopolato in termini di successo di pubblico (per quanto sia diventata fin dalla prima stagione un cult con una solida fan base), ma Mr. Robot è già una di quelle opere fondamentali per comprendere l’evoluzione del medium televisivo negli ultimi anni. Dei tanti virtuosismi che Esmail ci ha regalato, abbiamo scelto ancora un piano sequenza, uno dei tanti presenti all’interno della serie, ma non “uno dei tanti”: stiamo parlando di quello dell’episodio 3×05.
La particolarità è che tutta la puntata è stata girata in piano sequenza, seppur con gli impercettibili tagli in fase di montaggio che citavamo prima alla voce Daredevil (e che valgono, sia chiaro, anche per film girati con questa tecnica, come Birdman o Gravity, per citarne alcuni). Ne viene fuori uno dei migliori episodi di Mr. Robot e, in assoluto, nel panorama seriale, anche per la sua centralità all’interno della trama.
eps3.4_runtime-error.r00 è un episodio estremamente intimistico, con Elliot che ha un confronto decisivo prima con il suo Mr. Robot e poi con Angela. Questi due momenti, situati all’inizio e alla fine della puntata sono intervallati dall’irruzione dei manifestanti all’interno della E-Corp. Mentre Sam Esmail perpetrava il suo piano sequenza lungo 50 minuti, pertanto, davanti alla telecamera si alternavano dialoghi conditi da interpretazioni fuori scala, risse, violenza, entrate e uscite dalle stanze, incursioni all’interno della rivolta. Una roba oggettivamente da fuori di testa che potete trovare riassunta qui sotto.
8) WESTWORLD, L’ULTIMO SALUTO DEL DR. FORD
Un momento emozionante con protagonisti due attori straordinari. La seconda stagione di Westworld, così come la terza, non riesce a reggere il confronto con la maestosità della prima, pur tuttavia ci regala una delle scene più iconiche in assoluto. Nel finale di stagione Ford dice addio a Bernard e, idealmente, a tutti noi spettatori, essendo di fatto il congedo di Anthony Hopkins alla serie. La telecamera si sposta dall’inquadratura dei due, al primo piano di Bernard con Ford sullo sfondo finché, all’improvviso, non resta solo lo sguardo di Jeffrey Wright
Questa qui, in concreto, è un’operazione assai meno complessa di molti altri virtuosismi che abbiamo raccolto finora. Si tratta di un classico ribaltamento di campo che sfocia in un primo piano e che comporta la rimozione della figura di Ford dallo sfondo. Tuttavia la sua eccezionalità si ritrova nella capacità di riuscire a sintetizzare visivo e sonoro e a conferire un’immersione totale dello spettatore all’interno della scena. È bene ricordare che quel Ford accanto a Bernard non è in carne e ossa, ma una proiezione mentale del suo stesso ex assistente.
Mentre aumenta il climax del monologo epico, solenne di Ford, il nostro punto di vista si sovrappone al 100% con quello di Bernard e, come quest’ultimo, restiamo sorpresi nel non trovarcelo più al nostro fianco. Ford ha svelato la sua illusione, ha assolto alla sua funzione ed è rientrato nella coscienza di Bernard, nella nostra coscienza. Questo espediente, nella sua semplicità, traduce alla perfezione la capacità della macchina di immergere lo spettatore nella scena.
9) IL DISASTRO DI ABERFAN, THE CROWN
Se fino ad ora siamo andati ad analizzare precise tecniche registiche e il loro impatto all’interno della trama, dell’episodio o magari dell’intera serie tv, qui prendiamo una strada diversa. Qui prendiamo la via larga e andiamo a contestualizzare la regia nel suo insieme, la sua funzione all’interno di uno dei migliori episodi mai concepiti da una serie tv e che, peraltro, ha vinto l’Emmy per la miglior regia nel 2020.
La puntata in questione è la terza della terza stagione di The Crown, ‘Aberfan’, che racconta, appunto il disastro minerario nell’omonimo villaggio gallese del 1966. Si tratta di un episodio anche tra i più intimisti di tutta la serie, non soltanto perché vediamo la Regina Elisabetta in lacrime, ma perché abbiamo un accesso completo ai suoi pensieri, dato l’impatto che la tragedia ha avuto sul suo regno.
La macchina da presa, pertanto, ha il compito di raccontare la tragedia nuda e cruda, le sue implicazioni politiche e, appunto, il punto di vista della famiglia reale. Sul piano politico ha una funzione quasi documentaria, con il partito conservatore e quello laburista che tentato di scaricarsi a vicenda le responsabilità della tragedia, fino al coinvolgimento della Corona stessa; ma è negli altri due aspetti che la regia diventa straordinaria.
La durezza del disastro è restituita allo spettatore in maniera feroce, sia nelle inquadrature in lontananza che all’interno della tragedia stessa. In particolar modo le scene in cui i sopravvissuti scavano alla ricerca dei propri cari, avvolti dalla nebbia e con pochissima illuminazione, riflettono perfettamente il dramma della perdita che circonda loro e, in quel momento, anche noi. Per come sono riprese, sembrano quasi le scene di una battaglia epica, se non fosse che non ci sono due schieramenti, ma solo una comunità inghiottita dalla morte e dall’ignoto.
Come accennavamo in precedenza, Aberfan ha il compito di psicanalizzare anche Elisabetta, alle prese con i sensi d colpa per non essersi recata subito sul posto a portare le sue condoglianze ai familiari delle vittime. Questa introspezione raggiunge il culmine nella scena finale, in cui abbiamo accesso privilegiato a uno dei momenti più intimi che possano esistere per la Regina: lacrime vere, sentite, non di circostanza. Prima di indugiare sul volto di Olivia Colman, la macchina esplora la stanza e vi si avvicina con una delicatezza estrema, mostrandoci la regina da dietro, creando il perfetto contrasto tra la monoliticità della sua figura e il momento di fragilità successivo.
10) IL ‘VIAGGIO NEL TEMPO’ DI KIDDING
In questo caso le parole servono veramente a poco. Prendetevi un paio di minuti per guardare entrambi i video e capire come bastino un aiuto regista con la sua telecamera, un attore e il suo stunt per girare un piano sequenza del genere. O almeno questo è quello che diremmo se fossimo così senza cuore da non dare la giusta importanza alla fantastica equipe che ha potuto dar vita a tutto questo, nel ricreare un’ambientazione diversa ogni volta.
C’è del genio nel modo in cui la telecamera ruota a 360°, riprendendo il monologo di Jeff Pickles in tv il tempo necessario a spostare mobili o cambiare pareti off screen. Ma bando alle ciance, ogni parola superflua rischia davvero di rovinare la magia che trasmette la visione di tutto questo