I periodi bui capitano a tutti, e per quanto possa sembrare banale a volte facciamo fatica a ricordarlo, soprattutto quando siamo nel bel mezzo dei nostri. Tutti attorno sembrano avere la loro vita felice mentre noi siamo lì, a vivere il momento peggiore del nostro malessere cercando a tentoni di uscirne fuori. Va da sé il fatto che questa sia solo una percezione, che in realtà i giorni, le settimane, i mesi in cui tutto va male sono un’esperienza condivisa e comune. E ognuno di noi, ciascuno a suo modo, cerca di superarli. Farò un esempio specifico, il mio. Presa come sono da un attuale periodo di tristezza che mi sembra durare un tempo infinito, negli ultimi mesi ho passato molte più giornate di quanto mi piaccia ammettere tra ansie e sconforti vari. Ma mentre io mi sento così il mondo attorno a me continua a girare, il lavoro chiama, le scadenze incombono e gli articoli in bozza continuano a stare lì, in attesa di essere completati e finalmente vivere la loro vita da articoli liberi.
Scrivere di serie tv è un’attività che amo e che occupa, con mio grande piacere, una fetta abbastanza grande e succulenta del mio tempo. Di solito mi piace scrivere soprattutto di sera e di notte, quando il tempo è solo mio e i pensieri si conciliano in modo diverso, quasi come se la stanchezza non esistesse. Ma quando siamo giù, anche ciò che normalmente adoriamo fare assume un ruolo diverso e rischia di essere vissuto male. E io nelle mie giornate No pensavo di essere troppo triste anche per fare una delle cose che preferisco al mondo. E oltre al danno, la beffa: la notte, la madre della mia ispirazione, ha cominciato a essere il momento peggiore, quello in cui le ansie prendono il sopravvento. Stavo scrivendo poco, troppo poco per i miei gusti.
Un giorno però qualcosa è cambiato.
Una sera, con una scadenza incombente sul groppone e la sensazione che non fare niente mi facesse stare solo peggio, ho preso il pc, aperto WordPress e ho cominciato a scrivere. Non riesco nemmeno a ricordare a quale serie tv nello specifico l’articolo facesse riferimento. Le prime parole sono uscite lentamente, poi piano piano si sono fatte sempre più veloci, spedite e sicure. Ci è voluta più o meno un’oretta prima di rendermi conto del fatto che il peso che sento perennemente sullo stomaco si era fatto un po’ più leggero, e da quel momento la scrittura si è ripresa lo spazio che le spetta di diritto nelle mie tarde serate. Certo, non sto dicendo che da allora il mio umore sia radicalmente cambiato; sto dicendo di aver preso coscienza di una cosa capace di farmi stare meglio. E quando mi sono ritrovata a pensare se fosse la scrittura o se fossero le serie tv ad avere su di me questo potere curativo, la mia naturale risposta è stata che forse non sono né l’una né l’altro, ma la combo di entrambi. E per più di una ragione.
Se è vero che le serie tv possono essere un piccolo rifugio nel quale entrare quando siamo tristi, stressati, quando abbiamo bisogno di un po’ di conforto o anche solo di non pensare, la riflessione alla quale la scrittura mi “costringe” sa essere un toccasana altrettanto potente. Ragionare sulle serie tv che vedo, mettermi alla ricerca del significato delle storie che vengono raccontate, ricordarne i momenti più significativi non soltanto mi estranea per un po’ da me stessa, ma mi fa immergere in mondi altri dal mio. Mondi che mi permettono di ricordare, per quanto siano di fiction, che la realtà è variegata, fatta di tante storie diverse in cui il bello e il brutto, la felicità e la tristezza si alternano in un vortice lungo una vita. E che quindi la tristezza non è perenne, se non perdo la capacità aspettare.
Ma il punto non sono solo le storie raccontate dalle serie tv
Anche i personaggi hanno il loro fondamentale ruolo. Anzi, forse ne hanno uno ancora maggiore, perché le serie tv sono così reali proprio perché la differenza tra i personaggi e le persone a volte è quasi impercettibile. Per quanto siano in mondi apocalittici, passati, futuri o in qualsiasi modo altri dall’Occidente contemporaneo, in ogni luogo e in ogni tempo si affrontano dinamiche in qualche modo comuni. E ritrovarsi a riflettere – per poi scriverne condividendo queste riflessioni – su quelle altrui può essere un ottimo modo per guardare alle nostre da un punto di vista terzo. Scrivere del modo in cui Fleabag ha affrontato il suo rapporto con la famiglia e il suo amore per il Prete, del viaggio nel tempo alla ricerca di se stessa effettuato da Nadia in Russian Doll, oppure ancora del modo in cui Miranda Hobbes ha vissuto i suoi cambiamenti in And Just Like That o di come Marshall Eriksen ha metabolizzato la morte di suo padre in How I met your mother è stato per me in qualche modo catartico, un’occasione preziosa per pensare a quel che faccio, a come mi sono mossa in situazioni simili o a come penso che mi muoverei se mi capitassero. Riflettere su di loro è stato come riflettere su me stessa guardandomi dall’esterno e tutti, a loro modo, mi hanno dato spunti per affrontare i miei drammi avvicinandomi alla persona che vorrei essere.
Ma c’è anche un altro motivo per il quale scrivere di serie tv è terapeutico: la possibilità di farsi leggere. Chi ama scrivere, scrive tanto; nel mio caso spesso e volentieri scrivo cose che leggerò solo io, o al massimo pochi eletti al di fuori di me. Ma quando scrivo di serie tv i miei pezzi hanno la loro vetrina, il loro posto in un mondo che non è solo mio, ma condiviso con tutti coloro che vi si imbatteranno. C’è chi li leggerà per mezzo minuto, chi li finirà apprezzandoli, chi si pentirà di averli aperti. Ma in ogni caso tra me e ognuno di questi lettori ci sarà un filo sottile, un’esperienza di inconsapevole condivisione. E sapere che uno dei miei articoli può regalare a qualcuno una riflessione condivisibile o anche solo un momento di svago è una cosa che, credetemi, mi fa davvero bene al cuore.
E quindi a ognuno il suo modo per essere felice, io credo finalmente di aver trovato il mio.