Eccoci col nostro ultimo appuntamento con la rubrica sulla storia della politica nelle serie tv. Abbiamo iniziato il nostro excursus con i grandi political drama dal formato classico, ricchi di speranze e buoni intenzioni, di cui The West Wing è sicuramente l’esponente più importante. Successivamente ci siamo dedicati a esplorare l’altro lato della medaglia: la politica come il castello di carte che si costruisce a fatica e complotti e poi crolla sotto il peso della sete di potere. House of Cards è stata l’epitome di questo concetto, con i suoi intrighi nei quali la politica non è altro che il premio in palio.
Il terzo appuntamento ha voluto analizzare invece un’ulteriore evoluzione della narrazione politica, quella della serie tv comedy che un po’ alleggerisce un po’ parodizza gli ambienti politici e i loro intrecci. Questo sbocco narrativo faceva della satira il suo strumento migliore per attaccare la politica e le sue inefficienze. Inefficienze che concorreranno poi a generare una vera e propria crisi del political drama classicamente detto. Quest’ultimo appuntamento vuole appunto porre il riflettore su questa crisi, declinata però sotto una forma particolare. Perché se possiamo dire che il political drama classico – ovvero quello che si prendeva il tempo di analizzare e parlare di politica in senso stretto attraverso gli ambienti della Casa Bianca, del Senato e di Washington – è in grande difficoltà, lo stesso non vale per le serie tv dalle tematiche politiche, di più ampio respiro e correlate a istanze più variegate di tipo ambientale, sociale, filosofico, culturale e persino religioso.
Ed è così che trovano terreno fertile le serie tv fantascientifiche che spaziano dall’ucronia alla distopia e i drama fantasy, che parlano di politica e questioni politiche attraverso il filtro di mondi inventati o rivisitati, lontani da noi o paralleli. Ma perché si è sentito la necessità di parlare di politica soprattutto attraverso dei generi che non fossero strettamente politici?
distopìa2 s. f. [comp. di dis-2 e (u)topia]. – Previsione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia e per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi
Treccani
Se la fantascienza nasce come il genere narrativo che racconta mondi in cui l’impatto tecno-scientifico è importante e analizza quest’impatto sulla società, la distopia è una delle sue ramificazioni più antiche ma tutt’oggi più importanti. Libri, film ma anche serie tv distopiche si sono moltiplicate nel tempo fino a diventare forse il sottogenere della fantascienza più conosciuto. Alla base della distopia c’è il mutamento del futuro a vari livelli (sociale, culturale e politico in primis) e soprattutto da un punto di vista negativo. La politica nelle distopie, quindi, assume un ruolo centrale.
Una delle serie tv distopiche più rivoluzionarie dell’ultimo periodo è sicuramente Black Mirror, serie tv antologica creata da Charlie Brooker che analizza il prossimo futuro e l’impatto della tecnologia e dei media su di esso. Anche se il centro della serie tv non è propriamente la politica, Black Mirror ne esplora alcuni aspetti attraverso la lente distorta e negativizzante della distopia. Per esempio è passato alla storia il primissimo episodio della serie tv, Messaggio al Primo Ministro, tutto incentrato sul potere del media e di come questi stiano manipolando sempre di più la massa e di conseguenza la politica, svuotata di contenuto e ridotta a mero sistema di visualizzazioni. Al Primo Ministro britannico viene chiesto di compiere una cosa oscena in diretta tv, pena la morte dell’adorata principessa della corona reale. L’episodio gioca per tutto il tempo su quello che il Ministro dovrebbe o non dovrebbe fare per accaparrarsi la simpatia delle masse attraverso la tv.
Se analizzassimo la serie tv e le tematiche che tratta di episodio in episodio, ci renderemmo conto che la politica in effetti è sempre trattata, mescolata ad altre tematiche rilevanti per il presente e il prossimo futuro, senza però che essa sia il centro costante della storia (come poteva essere per un House of Cards per esempio) o ci venga spiattellata in faccia con i suoi meccanismi, come con The West Wing.
ucronìa s. f. [dal fr. uchronie (voce coniata dal filosofo Charles Renouvier nel 1876), der., con u- di utopie «utopia», dal gr. χρόνος «tempo, periodo di tempo»], raro. – Sostituzione di avvenimenti immaginari a quelli reali di un determinato periodo o fatto storico
L’ucronia è un’ulteriore passo avanti nel discorso fantascientifico ma soprattutto nella narrativa politica. Chiamata anche, non a caso, “fantapolitica”, l’ucronia parte dalla premessa importante che la storia così come la conosciamo ha subito un corso diverso rispetto quello che conosciamo. Mr. Robot potrebbe essere definita come un caso particolare di ucronia, dove la politica subisce un corso decisamente diverso, a sicuramente l’ucronia più conosciuta in termini di serie tv è The Man in the High Castle. Basata sull’omonimo romanzo di Philip K. Dick e adattata per Amazon Prime Video da Frank Spotnitz, la serie tv si basa su una domanda semplice: “E se la Germania e Giappone avessero vinto la Seconda Guerra Mondiale?”
È chiaro quindi che oggi la politica tout court non interessa, mentre viene facilmente accettata se mescolata ad altre tematiche, come la tecnologia per Black Mirror e il mistero per The Man in the High Castle. Potremmo forse azzardarci a dire che è vero che alle persone non interessa più la politica, nella realtà d’oggi?
Eppure la “post-politica” di adesso non è solo fascino, mistero e intrattenimento perché le tematiche aperte sono spesso profonde, importanti e persino disturbanti. L’esempio più lampante che potrebbe venirsi in mente è quello dell’agghiacciante The Handmaid’s Tale. Basata sull’omonimo romanzo di Margaret Atwood e adattato per TimVision da Bruce Miller, questa serie tv è quasi una perfetta metà strada tra un’ucronia e una distopia, perché possiede elementi di entrambe. Racconta infatti la struttura politica plausibile di un futuro distopico attraverso una lente estremamente negativa. In questo caso il mondo creato è altamente anti-tecnologico.
Il fascino di questa serie molto interessante è legato – per quanto riguarda quest’articolo – soprattutto a due aspetti: in primo luogo, The Handmaid’s Tale descrive a tratti come si è costituita la nuova realtà politica e con quali meccanismi si è sviluppata; in secondo luogo, l’elemento scientifico che sta alla base della sua creazione (l’infertilità umana) non è solo plausibile, ma decisamente probabile. Vediamo come quindi come si arriva a scenari sempre più vicini in un certo senso, toccando tematiche sempre più delicate e presenti anche nella società di oggi (la condizione femminile, la battaglia per l’utero, la maternità, l’omosessualità, il libero arbitrio). The Handmaid’s Tale più delle altre serie tv ci fa chiedere come mai guardare questa politica, con le domande che solleva e con le problematiche che inserisce, sia così diverso da vedere un qualsiasi political drama duro e puro.
La caratteristica della fantascienza, ucronica o distopica che sia in questo caso, è quella di riuscire a creare un equilibrio particolare tra l’angoscia e il divertimento, quel sottile senso di inquietudine che fa da stimolo alla visione. Un po’ come alcuni tipi di horror, la fantascienza riesce a filtrare le paure attraverso lo schermo della verosimiglianza che però non è mai certezza. Tenendoci abbastanza nel dubbio da riuscire a interrogarci sulle grandi domande politiche senza dover per forza trovare paralleli con la nostra realtà.
Questo è lo stesso motivo per cui probabilmente c’è una proliferazione di drama fantasy che esplorano scontri e intrighi politici, di fatto sostituendo per caratura ed epicità i political drama classici del passato. L’esempio più prepotente che ci viene in mente degli ultimi anni è sicuramente Game of Thrones. Basata anch’essa sulla saga fantasy di George Martin e adattata per HBO da David Benioff e D.B. Weiss, Game of Thrones è a oggi una delle serie tv più premiate della storia nonché la rivelazione del piccolo schermo di questi ultimi dieci anni. La politica della serie, eliminato il contesto fantasy, non ha nulla di diverso della politica che ha caratterizzato il medioevo europeo o che ancora caratterizza alcune parti del mondo. Pur parlando di un’infinità di altre tematiche, al centro di Game of Thrones (il “gioco dei troni”, appunto) c’è la politica vera e propria con le sue fazioni e i suoi intrighi, quasi quanto la stessa politica è al centro di House of Cards. Il genere è sicuramente diverso, ma la lente rivoluzionaria, caotica, negativa e quasi nichilistica è la stessa, così come lo è la sete di potere come scopo ultimo della narrazione.
Eppure, se Game of Thrones ha senza dubbio aperto la strada al filone del fantasy storico e politico, il political drama è ormai definitivamente tramontato. Ci sono stati dei tentativi di rianimazione, ma possiamo definirli senza dubbio poco duraturi e poco fruttuosi. Come abbiamo visto non si tratta però di un disinteresse totale alla politica in sé o alle tematiche/criticità che porta al tavolo, quanto un distacco dalla politica concreta e reale, quella che viviamo (o dovremmo vivere) quotidianamente. E forse è proprio qui l’inghippo.
La politica sta dimostrando un’incapacità generalizzata a incontrare i bisogni reali delle persone. Non è questo il contesto per parlarne ovviamente, ma di certo non sbaglieremmo nel dire che esiste una generale disillusione che la politica possa essere ancora uno strumento efficace di risoluzione dei problemi.
Le serie tv, d’altro canto, sono al centro di una vera e propria rivoluzione copernicana, passando dall’essere un intrattenimento leggero a una vera e propria riflessione dei desideri, bisogni, emozioni e volontà umane. La politica quindi diventa allo stesso tempo qualcosa che si vuole nascondere all’interno di narrazioni più grandi o qualcosa che si vuol vedere fallire, senza però che sia il puro unico centro della storia, sottolineando quel profondo senso di tradimento che forse stiamo vivendo. Non sarà questa la fine della politica, però, perché come ogni grande costruzione umana essa ha un ciclo e ritornerà florida come lo è stata un tempo. Le serie tv, come sempre negli ultimi anni, saranno pronte a raccogliere la sfida.