2. Il colibrì (Sandro Veronesi)
Da quando ha riempito gli scaffali delle librerie, di questo romanzo ne hanno parlato tutti, dal book blogger alla studentessa che lo legge in metro dopo le lezioni all’università, passando per l’edicolante di quartiere e l’avvocato. La ragione è semplicissima: è un libro stupefacente. Come il colibrì, piccolo uccello in grado di rimanere quasi immobile, a mezz’aria, grazie al suo rapidissimo battito d’ali, anche il protagonista Marco Carrera affronta una vita di lutti e sofferenze senza mai precipitare, rimanendo fermo in mezzo alle tempeste che sembrano scandire le sue giornate. Veronesi ha un talento unico nel maneggiare il dolore senza farne una telenovela, nel dare un ordine al caos senza fargli perdere quella forma che lo rende unico e riconoscibile.
Ma quella di Carrera non è l’unica vita di cui il romanziere si fa osservatore.
L’oculista è il centro da cui si diramano infinite galassie collaterali, ulteriori tasselli di un’impalcatura imponente che dagli Anni ’70 ci porta al futuro prossimo. La semplicità del linguaggio si interseca con i mille livelli delle vicende umane messe in gioco, e il dispiegarsi di tanti sentimenti contrastanti ma complementari, dal rimpianto alla nostalgia, dalla mancanza allo stupore, fa sì che l’ingranaggio proceda a una velocità tutta sua, l’unica a non farlo inceppare. Un meccanismo che, oltrepassando l’immaginazione, avrebbe tutti i crismi per diventare una miniserie: tre episodi, forse anche quattro, ciascuno dedicato a sviluppare una o più sfumature della storia di un uomo che non vuole fare il supereroe né far finta di non essere fragile e che prova a rimanere in piedi nonostante i tiri mancini del destino e le strade che non riesce a far incontrare.
Se state immaginando Pierfrancesco Favino nel ruolo del dottore, beh, sappiate che siamo sulla stessa barca.