In un mondo sempre più frenetico, in cui siamo sommersi da impegni da una parte e da una sovrabbondanza di nuove produzioni seriali dall’altra, il tempo diventa una risorsa sempre più preziosa. Lo dimostra il successo sempre più travolgente delle miniserie, che negli ultimi anni sembrano essere diventate sempre più centrali all’interno del panorama televisivo. Tuttavia in questa lista non vogliamo parlarvi di miniserie (di cui vi abbiamo già parlato qui), bensì delle migliori serie tv corte, composte da meno di 30 episodi l’una. Per essere certi che i prodotti considerati abbiano meno di 30 episodi in totale abbiamo deciso di considerare soltanto serie tv già concluse con certezza, escludendo dunque alcuni grandi nomi come True Detective, Black Mirror e Mindhunter (ma non Sherlock, il cui cammino sembra essere giunto definitivamente al termine), che pur attualmente sotto il limite dei 30 episodi si vocifera potrebbero in futuro tornare sui nostri schermi.
Preparatevi a scoprire quali sono le migliori serie tv da meno di 30 episodi, da Sherlock fino a Les Revenants.
1) Fleabag
Le serie europee, capitanate da Fleabag e Sherlock, fanno da padrone in questa lista di brevi grandi opere seriali.
Poche serie hanno avuto lo stesso impatto culturale di Fleabag, un traguardo ancora più impressionante se si pensa che la serie di Phoebe Waller-Bridge è composta da sole due stagioni di sei episodi l’una, per un totale di 12 episodi della durata di meno di mezz’ora ciascuno. In sei ore scarse di televisione, Fleabag ha lasciato un segno indelebile nei cuori degli spettori, diventando grazie al passaparola un fenomeno seriale di dimensioni globali. La narrazione onesta, dolorosa e velata di una satira mai banale che caratterizza l’opera di Waller-Bridge è uno squarcio profondo che permette di cogliere le insicurezza della generazione che non è mai abbastanza e allo stesso tempo ci regala un personaggio – la stessa Fleabag – tanto imperfetto e a tratti negativo da divenire un'(anti)eroina contemporanea. Una serie televisiva brevissima che tuttavia si rivela come un mosaico psicologico complesso, un lavoro che nasconde un’impronta sociologica che è sottile eppure permea durante tutta la narrazione. Fleabag è allora la storia dell’imperfezione umana e di come questa sia una parte ineliminabile della vita, pertanto tanto vale farne una bandiera piuttosto che nascondersi alle sue spalle.
2) Dark
Può una serie di soli 26 episodi entrare nella top 10 delle migliori serie europee di sempre? Se la serie in questione è Dark, allora la risposta non può che essere un clamoroso sì. Se è vero che le produzioni di Netflix, soprattutto quelle sviluppate nel Vecchio Continente, hanno spesso lasciato a desiderare sul piano della qualità, l’arrivo di Dark sulla piattaforma streaming ha dettato un cambio di tendenza e la serie è subito stata accolta come il capolavoro che ha continuato a essere per tutte e tre le stagioni prodotte. Presentata per ragioni di marketing come la nuova Stranger Things, Dark ha dimostrato in pochissimi episodi di avere poco da spartire e nulla da invidiare rispetto a quello che è probabilmente il più grande successo Netflix di tutti i tempi. Complessa e diversa da praticamente qualsiasi altra serie mai prodotta, Dark è riuscita in soli 26 episodi a costruire una mitologia e un universo narrativo di grande impatto, sapientemente progettati e di difficile comprensione, che tuttavia permettono allo spettatore attento di venire immerso completamente nella narrazione e di riuscire ad orientarsi in una narrazione ciclica e brillantemente organizzata.
3) Penny Dreadful
Penny Dreadful è una poesia, un componimento evocativo e potente che racconta l’universalità dell’esperienza umana facendo riferimento alle immagini e ai personaggi più noti della letteratura gotica e vittoriana, quegli stessi mostri che fanno ormai parte del bagaglio culturale collettivo dell’Occidente contemporaneo. L’orrore e il dolore sono tra i protagonisti dei 27 episodi distribuiti su tre stagioni di Penny Dreadful, insieme a personaggi quali Victor Frankenstein e la sua Creatura, Dorian Gray e il Conte Dracula. Eppure permane un senso di speranza nell’angoscia esistenziale, rappresentato dalla fede incrollabile e dal profondo attaccamento alla vita che sperimentano alcuni dei protagonisti di Penny Dreadful, tra i quali non possiamo non nominare la Vanessa Ives di Eva Green, attrice straordinaria che ci regala una performance toccante e complessa che è stata inspiegabilmente ignorata dal circuito dei premi.
Una serie che gioca con l’orrore e ne esce vincitrice, nonostante sia stata vittima di una cancellazione precoce che ha portato necessariamente a un finale affrettato, il cui ritmo stona con quello quasi poetico del resto della narrazione. Eppure, nonostante il rimpianto che rimane per quella conclusione così maldestramente abbozzata, Penny Dreadful rimane una delle migliori serie degli ultimi anni, nonché una di quelle più ingiustamente sottovalutate.
4) Pose
Conclusasi solo da un paio di mesi, Pose è la più recente tra le serie presenti in questa lista eppure è anche una delle più rivoluzionarie, capace di ridefinire il concetto di rappresentazione televisiva in sole 25 puntate divise in tre stagioni. Ambientata nella New York flagellata dall’AIDS a cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, Pose rappresenta uno sguardo inedito sulla storia della comunità LGBTQ+, che mette al centro le voci e le esperienze di coloro che ne fanno parte, regalando una narrazione sorprendentemente sincera, in grado di restituire tutta la complessità, il dolore ma anche la gioia, la paura e il coraggio di chi non ha accettato di rimanere schiacciato da una società chiusa e giudicante. La scenografia e i costumi di Pose travolgono lo spettatore in un vortice di colori e apparenze, a cui fa da contrasto una narrazione improntata sulla quotidianità, sull’esperienza di vita di una comunità che, relegata ai margini della società, cerca faticosamente di farsi spazio, di far sentire la propria voce.
5) Sherlock
Sull’effettiva conclusione o meno di Sherlock si sono spesi fiumi di inchiostro, tuttavia a quattro anni dalla messa in onda dell’ultimo episodio appare chiaro che la serie di Steven Moffat e Mark Gatiss non farà ritorno.
Quattro stagioni di tre episodi l’una più una puntata speciale, per un totale di solamente 13 episodi complessivi, dell’impressionante durata di circa un’ora e mezza ciascuno. Sherlock è probabilmente il miglior prodotto mai realizzato con protagonista l’investigatore nato dalla pena di Sir Arthur Conan Doyle, come dimostra il coro unanime di lodi che si è innalzato in favore della serie. Una sceneggiatura brillante e l’impeccabile cambio di ambientazione dalla Londra di Doyle a quella contemporanea si accompagnano a un cast di primo livello (Benedict Cumberbatch, Martin Freeman e Andrew Scott su tutti) e uno sviluppo perfetto delle relazioni tra i personaggi nel contribuire a rendere Sherlock un vero e proprio gioiello, che tuttavia manca di una conclusione dal momento che la quarta stagione non è mai stata pensata come quella conclusiva. Sebbene non sia previsto alcun ritorno in televisione per la serie, si sono fatte sempre più forti le voci che vedrebbero possibile la realizzazione di un film conclusivo di Sherlock.
6) The Knick
Diretta dal regista premio Oscar Steven Soderbergh, The Knick racconta la nascita della chirurgia moderna, mostrando con crudo realismo l’esercizio della professione all’inizio del ventesimo secolo. Protagonista della serie è il dottor John Thackery (Clive Owen), il cui personaggio si ispira a quello realmente esistito del chirurgo statunitense William Stewart Halsted. Composta di sole due stagioni e venti episodi in totale, The Knick è una delle serie meno note di questa lista, complice una tematica e uno stile narrativo che la relegano necessariamente a prodotto di nicchia. Tuttavia non bisogna farsi ingannare: il period drama diretto da Soderbergh è una delle produzione televisive più coraggiose e riuscite nella storia dei medical drama, un’opera che non si nasconde dietro retoriche melense ma piuttosto regala al pubblico una sincerità scioccante, sviscerando il dolore fisico e mentale in una maniera totalmente rivoluzionaria. Se è vero che The Knick non è per i deboli di cuore, non si può tuttavia negare che sia una serie dalla qualità eccelsa e dal taglio quasi cinematografico, che meriterebbe un pubblico molto più vasto di quello che ha finora avuto.
7) The Leftovers
The Leftovers è la storia di chi rimane, del dolore e del senso di colpa dei sopravvissuti. Lo spunto iniziale della serie sembra quasi ingannevole, sembra prometterci un racconto fantascientifico, una grande caccia al tesoro per avere risposte: il 2% della popolazione è scomparso misteriosamente, da un giorno all’altro, senza lasciare traccia. Ci saremmo aspettati che The Leftovers fosse un viaggio in cerca di risposte e invece siamo rimasti sorpresi, sconvolti nel comprendere che la serie non è affatto incentrata su chi è scomparso, ma su coloro che sono rimasti, sui “leftovers” a cui fa riferimento il titolo della serie. Le tre stagioni, per un totale di 28 episodi, del dramma HBO si concentrano sui modi in cui si sopravvive al trauma, sulle conseguenze, sulla profondità dell’impatto fisico e psicologico del rimanere, ma soprattutto sui modi in cui si tenta di darsi delle risposte, di cercare ordine nel caos che arriva all’improvviso e senza alcuna spiegazione. Un’opera originale e straziante, che non lascia scampo ma soltanto un segno profondo, indelebile.
8) The Young Pope
Eguagliare il carisma di Sherlock pareva impossibile, eppure Lenny Belardo di The Young Pope ci è riuscito in un batter d’occhio.
The Young Pope e il suo sequel The New Pope, vantano rispettivamente 10 e 9 episodi ciascuno, che pur essendo tecnicamente parte di due miniserie differenti possono essere considerate come parte di un unico progetto narrativo, una sola serie di 19 episodi totali. Ideato, scritto e diretto dal premio Oscar Paolo Sorrentino, The Young Pope è una provocazione, un affresco spietato, evocativo e nichilista del mondo della Chiesa con protagonista un Jude Law in stato di grazia, circondato da un cast internazionale di primo livello che vede tra le sue fila anche gli italiani Stefano Accorsi e Silvio Orlando (il cui inglese è tanto buono da farlo entrare di diritto in questa classifica). La serie rappresenta uno dei migliori prodotti di sempre nella storia della televisione italiana, tanto che a oggi rimane l’unica produzione seriale nostrana a essere mai stata candidata ai premi Emmy e Golden Globe.
9) The Newsroom
Creata da Aaron Sorkin, già padre del capolavoro senza tempo The West Wing, The Newsroom è uno spaccato realistico e brillantemente sceneggiato di quanto accade all’interno di una redazione giornalistica televisiva. Incentrata sull’anchorman Will McAvoy (Jeff Daniels), la serie racconta con una minuzia di dettagli impressionante i retroscena della costruzione di uno dei telegiornali – fittizi – più importanti degli Stati Uniti d’America, intrecciando la finizione con l’attualità in maniera impeccabile, tanto che la copertura da parte della redazione di McAvoy di eventi come l’uccisione di Osama bin Laden o la rielezione di Barack Obama a presidente nel 2012 sembrano essere dei veri e propri servizi giornalistici. Al realismo della narrazione si accompagnano la scrittura densa ed effervescente caratteristica di Sorkin e personaggi splendidamente costruiti, interpretati da grandi nomi come lo stesso Daniels, Sam Waterston, Jane Fonda e un giovanissimo Dev Patel.
The Newsroom è composta da tre stagioni per un totale di 25 episodi e ha una conclusione studiata e soddisfacente, che contribuisce a rendere la serie HBO un piccolo capolavoro passato troppo spesso inosservato.
10) Les Revenants
Concludiamo questa lista con un’altra serie europea, che come Sherlock, Dark, Fleabag e The Young Pope è riuscita a lasciare il segno sui piccoli schermi di tutto il mondo.
Les Revenants è una serie francese composta di sole due stagioni e 16 episodi in totale, basata su un film del 2004 e che vanta anche un remake americano di dubbia riuscita chiamato The Returned. Ambientata in una piccola e isolata cittadina francese, Les Revenants è per certi aspetti il contrario di The Leftovers: i protagonisti non sono quelli rimasti indietro, bensì coloro che ritornano. Un ritorno improvviso da quella che dovrebbe essere l’esperienza senza ritorno per eccellenza, la morte, è il centro della narrazione, che si sviluppa intorno alle vite a metà di chi è scomparso ma non ne ha ricordo, di chi se n’era andato e non doveva fare ritorno. La trama si infittisce intorno al mistero dei revenants, dei ritornati, alle implicazioni psicologiche profonde si intreccia una vena fantascientifica, una ricerca di risposte spasmodica e complessa che soffre tuttavia di un finale affrettato e in generale di una seconda stagione che, pur splendida, non riesce a mantenere il livello altissimo della prima.