L’approdo su Netflix della nuovissima serie tv Bridgerton ha riacceso le chiacchiere attorno a un nome che, invece, nuovissimo non è: Shonda Rhimes. Sono diverse le reazioni delle persone nel sentir citare l’ormai famosa showrunner. C’è chi interrompe immediatamente quel che stava facendo e accende di riflesso un servizio streaming per dare il via all’episodio di uno dei suoi lavori, ma c’è anche chi urla e scappa a gambe levate. Perché sì, in fin dei conti le serie targate Rhimes non sono oggetto di elogi da tutti, ci sono degli elementi ricorrenti che fanno desistere una fetta di spettatori, però su una cosa siamo d’accordo tutti: Shonda Rhimes non ne sbaglia mai una.
Cerchiamo allora di capire da un lato quali siano le fragilità delle sue produzioni, dall’altro quali sono gli ingredienti segreti del suo strabiliante successo.
Grey’s Anatomy è stata la scintilla che ha acceso la fiamma di Shonda Rhimes. Trasmesso a partire dal 2005 da ABC, il medical drama che ruota attorno alle (sfortunate e tragiche) vicende di Meredith Grey al Seattle Grace Hospital è stato – ed è tutt’ora – un incredibile successo. Ma non solo: ormai Grey’s Anatomy è un vero e proprio punto di riferimento per il genere. Sembra che ogni nuovo medical drama debba, per qualche ragione, essere messo a confronto con questo e pochi ce la fanno a passare il test (ad esempio, The Resident è stato promosso, come vi diciamo qui).
La formula magica che dopo 14 stagioni tiene ancora gli spettatori incollati allo schermo è composta da una buona dose si storie d’amore, spesso tragiche, una serie di vicende tipiche della vita ospedaliera (seppur romanzate), spesso tragiche, e le dinamiche contorte e turbolente tra i vari personaggi, spesso tragiche. Perché sì, in Grey’s Anatomy è tutta una tragedia e questo crea dipendenza per i fedelissimi amanti del fazzoletto per asciugare le lacrime, per chi si nutre delle emozioni più disparate.
Eppure, si tratta di un’arma a doppio taglio perché una delle fragilità di questa serie – come di altri lavori firmati Shonda Rhimes – è l’eccesso.
Non solo personaggi che cadono morti l’uno dopo l’altro come in una strage infinita, ma anche attentati, disastri aerei, esplosioni, scandali, problemi che generano altri problemi, insomma non c’è mai un attimo di pace e seppur davanti a una serie tv si cerci di credere a tutto, anche a ciò che appare più irreale, non è forse troppo dopo un po’? Un troppo senz’altro discutibile, ma che comunque non fa desistere gli spettatori più affezionati perché una delle magie di Shonda è proprio quella di sfruttare dei difetti irresistibili.
Non è forse ciò che è accaduto anche nelle sei stagioni di How to Get Away with Murder? Alcune situazioni hanno oltrepassato la soglia della credibilità, gli intrecci fitti e contorti si sono spesso ricalcati gli uni con gli altri e anche in questo caso difficilmente si è raggiunto qualche momento di calma. Ma iniziare a guardare la serie con Viola Davis nei panni dell’iconica Annalise Keating e smettere dopo pochi episodi non è per niente facile. Al di là della grande attrattiva dell’ambiente giuridico, dei casi da risolvere, dei misteri e delle situazioni, How to Get Away with Murder ci fornisce l’assist per discutere di un altro elemento a favore delle serie di Shonda: i personaggi.
Annalise Keating è probabilmente uno dei personaggi più interessanti e sfaccettati delle serie tv degli ultimi anni, una di quelle figure che scopriamo e riscopriamo a ogni episodio (come diciamo qui). Carismatica, peculiare, con un approfondimento psicologico davvero dettagliato, la protagonista di How to Get Away with Murder è in grado anche da sola di tenere in piedi tutto lo show. Accanto a lei, personaggi che non sono da meno, basti pensare a Frank Delfino o a Laurel Castillo che odiamo e amiamo a intermittenza. Ed è un’altra potente figura femminile a essere protagonista di un’altra serie firmata Shonda Rhimes: Olivia Pope in Scandal, interpretata da Kerry Washington, che affianca la stessa Annalise Keating nel crossover tra le due serie. Intrighi politici, complesse relazioni tra i personaggi e storie d’amore la fanno da padrona anche in questo caso.
E serie come queste ci permettono di individuare un altro comune denominatore che Shonda Rhimes utilizza abilmente per tenere viva la curiosità dello spettatore: i colpi di scena. Che siano improvvisi plot twist in mezzo all’episodio oppure ansiogeni cliffhanger, in ogni caso sono come ragnatele che intrappolano il pubblico. Impossibile non guardare al più presto l’episodio successivo. È tutto un gioco di addii e ritorni, di ribaltamenti di fronte o voltabandiera, rivelazioni inaspettate che fanno rimettere in discussione qualsiasi certezza.
E così lo spettatore diventa protagonista in prima persona, perché deve cercare di sbrogliare la matassa, capire il segreto, trovare il colpevole.
Proprio come, seppur in maniera diversa, succede in Bridgerton. La serie che ha fatto la sua comparsa il 25 dicembre 2020 su Netflix è forse quella che, tra i lavori di Shonda Rhimes, ha suscitato più scalpore. Descritta dal popolo del web come la fusione tra Gossip Girl ed Elisa di Rivombrosa, come uno scoppiettante calderone di trash, come una Beautiful calata in inesatte atmosfere Ottocentesche, ha infranto record su record, diventando la quinta serie più vista di sempre su Netflix. La ricerca dell’identità di Lady Whisteldown è il mistero da svelare in questo caso e anche se siamo lontani dal tragico mondo di Grey’s Anatomy e dai ritmi serrati e imprevedibili di How to Get Away with Murder, la formula Rhimes funziona ugualmente.
Ciò che stupisce di più è che il successo di Bridgerton nasce proprio da quelle che vengono generalmente reputate le fragilità delle produzioni di Shonda: scenari grotteschi, cliché che si susseguono senza pietà, alte punte di trash (le canzoni pop dei giorni nostri che diventano eleganti brani al violino per far danzare la società d’alto rango Ottocentesca sono solo un esempio) e il collocamento del belloccio di turno al centro delle scene (sì, stiamo parlando del Duca di Hastings). Come ha fatto dunque Shonda Rhimes a non sbagliare nemmeno questa volta? Non ha forse portato all’estremo quelle dinamiche che facevano storcere il naso a parte del pubblico degli altri suoi show?
Sì, ha portato tutto all’estremo e lo ha fatto con scaltrezza. Ha creato un prodotto ad hoc paragonabile al cibo spazzatura: non è eccellente, non è di cucina raffinata, anzi, ti fa perfino male però lo mangi, lo mangi e lo rimangi. E non piace forse a (quasi) tutti il cibo spazzatura? L’esito di Bridgerton sembra confermare la teoria e non è un caso che una serie così leggera e senza pretese sia uscita nel giorno di Natale, un periodo in cui in molti erano alla ricerca di relax.
Perciò, tirando le somme, è chiaro che le serie in questione non siano impeccabili sotto tutti i punti di vista, però è innegabile: Shonda Rhimes si sta dimostrando una delle più grandi showrunner degli ultimi tempi e riesce sempre a giocare la carta vincente per conquistare il cuore del pubblico.