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Ridateci le sigle

sigle delle serie tv
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Pervasi dalla sottile nostalgia autunnale e sovrastati dal calendario delle nuove uscite, abbiamo permesso ai dubbi di assalirci. Arriveranno nuove serie tv in grado di colmare il vuoto lasciato dall’ossessione seriale precedente? Quando saranno stati prodotti i remake dei remake e i reboot dei reboot, avremo altre storie elettrizzanti per movimentare le nostre serate da divano? Ma soprattutto, la prossima serie che vedremo avrà una sigla indimenticabile almeno un decimo di quanto lo è stata Anawanawei, o alcune tra le sigle più iconiche delle Serie Tv Anni 90? Poi, il gelo: ma avremo ancora la sigla iniziale? Dette anche opening title, negli anni, le sigle delle serie tv sono diventate un’opera a sé stante. A pensarci bene non solo il genere, ma anche ogni decade è contraddistinta dal formato più in voga al momento. Gli anni Settanta, ad esempio, erano dominati dalle sigle interminabili, in stile Sandokan: degli sceneggiati nello sceneggiato. Anche negli Ottanta e nei Novanta troneggia lo stile “descrittivo”. Una combinazione di musica e immagini che a mo’ di screensaver raccontava la storia stessa, evocava stati d’animo e atmosfere indimenticabili. Ma soprattutto, sugellava amicizie.

La sigla, che ci piaccia o no, ha una funzione importantissima. Non è solo una presentazione: la sua estetica evoca lo spirito della produzione stessa. Nelle ultime due decadi, con l’affermarsi dei colossi dello streaming, è diventata però una scelta di campo o una soluzione obbligata. Tanto che molte produzioni hanno optato per le “non sigle”, come ad esempio (non) ce l’ha Black Mirror o The Handmaid’s Tale (qui abbiamo raccolto Le 10 opening senza sigla migliori delle Serie Tv). Sebbene la realizzazione dei titoli di testa sia diventata via via un’operazione importante tanto quanto quella della serie stessa, complice quel subdolo pulsantino “skip”, molte produzioni hanno pensato di risparmiare a tutti la fatica, accorciando o addirittura eliminando l’intro. Fatta eccezione per HBO e Apple TV – che riversano ancora una cura maniacale su quasi tutte le loro opening (pensiamo a Game of Thrones o Succession e a Scissione o Ted Lasso) – sembra quasi di essere nell’era in cui prevalgono le “non sigle”. O forse il problema è la nostra abitudine a “skipparle” ?

Il genere umano si divide tra chi skippa la sigla delle serie tv e chi no

Skippare – per i puristi della lingua: “saltare” – ormai è un’operazione involontaria che il nostro ditino di series addicted compie ancora prima di rendercene conto. Considerando la mole di produzioni televisive, le sigle delle serie tv non ce le hanno davvero tolte, piuttosto ce ne priviamo volontariamente, saltando a pie pari un tassello imprescindibile del mosaico. E nel privarcene, qualcuno ha pensato di venirci incontro. In qualche modo, quindi, ce le siamo fatte togliere. Così, dopo il pulsante muto e l’avanzamento rapido, ci siamo fatti pervadere dall’euforia dello “Skip Intro” button. L’anello del potere. Il Santo Graal del divoratore seriale.

Skippare o non skippare, questo è diventato il problema. Risparmiare tempo prezioso oppure fermarci e consolidare un legame immaginifico duraturo? Il pulsante delle meraviglie (ancora assente, ad esempio, sulla piattaforma on demand di Sky) è stato introdotto da Netflix nel 2017. L’idea è venuta a Cameron Johnson, Director – Product Innovation di Netflix, e alcuni designer mentre discutevano su come migliorare l’esperienza utente. Ricordando quanto fosse frustrato dai lunghissimi, seppur bellissimi, titoli di Game of Thrones, Johnson ha ipotizzato un lascia passare per andare subito al sodo. Così, dati alla mano, dopo aver scoperto che il 15% degli utenti della piattaforma con la N saltava manualmente la puntata entro i primi 5 minuti, Netflix ha sfornato il pulsante della fortuna. Una soluzione che in seguito verrà adottata anche da Prime Video e Disney+.

Al giorno d’oggi, è difficile immaginare lo streaming senza utilizzare il pulsante “Salta introduzione”. Su Netflix, in una giornata tipo, il pulsante “Salta” viene premuto 136 milioni di volte, facendo risparmiare agli abbonati approssimativamente 195 anni!

Netflix

‘Sta intro la vogliamo o non la vogliamo?

Nell’era avanti streaming, cioè prima ancora di trasformarci in maratoneti da divano provetti, saltare la sigla non era un’esigenza troppo sentita. In televisione passavano una manciata di puntate a settimana e l’intro era uno splendido richiamo della foresta che irrompeva dopo febbrili giorni d’attesa. La necessità di saltarla arriva, infatti, da un cambio di abitudini. Non è un caso che a introdurre il pulsantino sia stata proprio la regina del rilascio in blocco. Skippare diventa infatti imprescindibile dopo la terza puntata di fila. Ragion per cui, la maggioranza delle miniserie e delle serie tv one shot hanno iniziato progressivamente ad accorciare la durata delle opening.

Allo stesso modo, le serie tv distribuite a rilascio settimanale – prime fra tutte quelle dell’HBO – non hanno ancora rinunciato a offrirci delle sigle lunghissime (e bellissime). Chi mantiene la sigla non è tignoso né nostalgico. Sanno benissimo che la tecnologia mette a disposizione degli strumenti per migliorare l’esperienza utente. Tuttavia sanno anche che concederci troppa libertà rischierebbe di annacquare la magia dell’esperienza stessa. Il tutto e subito riduce infatti l’impatto emotivo secondo cui l’opening viene creata. L’impossibilità di skippare le sigle dei cartoni animati quando erano bambini, delle sit-com storiche o delle prime serie tv adolescenziali, ad esempio, ha dato vita a una sorta di rito collettivo. Chiunque ricorda ancora le parole e il tema musicale delle sigle di Happy Days o Dawson’s Creek, di Mork & Mindy o The Big Bang Theory, di Supercar, La Tata o Sex and the City. Suoni e immagini indelebili, riconoscibili e cruciali per stabilire il tono della serie e che hanno ancora il potere di evocare un oceano di suggestioni.

Che senso ha, dunque, progettare una magnifica intro se lo spettatore la salterà senza pietà?

Se lo sono chiesto in tanti. Per questo, a partire da quel 2017, molte produzioni hanno pensato di sacrificare l’intro, mosse ovviamente dalla rassegnazione. Pensiamo a Dark, uscita, pensate un po’, nel 2017! Riconosciamo immediatamente le note di Apparat, abbiamo apprezzato le immagini psichedeliche che si fondono, ma scommettiamo che a partire dalla terza puntata avete iniziamo a saltarle come conigli. Eppure, nonostante la nostra cattiva abitudine, molte produzioni si rifiutano di assecondarla. E a ragione! La sigla non è messa là per darci fastidio, ma per assicurarci un’esperienza visiva completa e significativa dall’inizio alla fine. Sebbene la tentazione di andare al sodo sia forte, non dovremmo privarcene. La visione di un film e di una serie tv dovrebbe essere un piacere. L’assaggio di una caramella, o l’apertura di un regalo, non ha lo stesso gusto se prima non scartiamo la carta.

Pensiamo alle ultimissime made in Netflix, come Kleo, che hanno una copertina appena accennata, fugace e un impatto rapidissimo. Con un’estetica così gustosamente eclettica e pop, decisamente tarantiniana, Kleo meritava una sigla degna di questo nome. Negli ultimi 5 anni, infatti, sempre più serie tv presentano una “non sigla”. Per molti l’introduzione è diventata via via un intermezzo superfluo. Non importa quanto siano stilose, le sigle vengono saltate dalla maggioranza degli spettatori. Così, dopo anni e anni a progettare e ad assicurarsi che l’intro avesse stile e carattere, lo spettatore mandava tutto in fumo per la smania di arrivare al dunque. Ma pensiamo all’intro di Game of Thrones: quasi due minuti di puro godimento che anticipano la gravità della visione e preparano emotivamente e psicologicamente al mondo di Westeros. Per otto stagioni, molti di noi hanno guardato la puntata insieme ai propri amici, in una sorta di rito collettivo in cui la sigla era un’occasione propiziatoria, il momento per fomentarsi e scambiare teorie. Oppure pensiamo alla caduta nel vuoto di Mad Men: una sigla conturbante che ci permette di entrare in sintonia con il mood del protagonista; oppure alle note struggenti e ossessive di Nicholas Britell che fungono da tema portante dell’intera Succession.

Vale la pena barattare qualche manciata di secondi in cambio di un’emozione che ci resterà addosso per sempre?

Ovviamente non tutte le opening rapide o a immagine statica, come quella di Mr. Robot, nascono per facilitare la vita allo spettatore. In alcuni casi si tratta di una scelta stilistica, e perfino narrativa, ponderata. Come dimenticare l‘opening silenziosa e angosciante di Lost: l’intro galleggiante nel nulla, disorientante, di una serie tv innovativa che ha segnato un punto di svolta su ogni fronte. Tuttavia le opening brevi, o addirittura quelle assenti, delle serie tv degli ultimi cinque anni sembrano piuttosto una scelta obbligata. Da quando le produzioni hanno capito che la loro fatica andrà sprecata, giustamente, si sono adeguate.

Dai drama alle sit-com, la maggioranza delle produzioni attuali hanno eliminato o accorciato l’intro. Pensiamo a Prime Video, da The Marvelous Mrs. Maisel a The Boys; gli Original Netflix, da After Life, The End of the F***ing World a Never Have I Ever o Space Force; oppure Disney+, come l’intro brevissima di Abbott Elementary o delle serie Marvel, che spesso si limitano ad avere una intro generica mentre quelle anticamente firmate Netflix, come Daredevil, erano equipaggiate di una Signora Intro. Un caso emblematico è quello dei reboot o dei remake di serie storiche che hanno sacrificato la sigla iconica. A tal proposito, la showrunner di Roswell, New Mexico, Carina Adly MacKenzie, ha esplicitato sui suoi canali social la necessità di tagliare l’intro per lasciare più spazio alla pubblicità. La lista delle non sigle delle serie tv più attuali è lunga e desolante. Sì, le skippiamo, è vero, eppure nel profondo ancora le desideriamo. Vogliamo cantare a squarciagola nuove “Anawanawei” e “Californiaaaa, here we come” . Sebbene desideriamo andare al sodo, la sigla ci carica, ci coinvolge e ci prepara emotivamente.

Le intro lunghissime di Twin Peaks, I Soprano o Dexter sono un pezzo di storia imprescindibile che aiutano a mantenere vivo il ricordo di quell’esperienza. È vero che oggigiorno tutto questo può sembrare una reminiscenza vintage. Un orpello sentimentale per veri nostalgici, una roba da “boomer”, insomma. È vero che la tecnologia evolve e dobbiamo liberarci del superfluo. Eppure la sigla, per quanto ci piaccia saltarla, non è assolutamente superflua. Le produzioni che mantengono viva la tradizione – come quelle firmate HBO o Apple TV – dimostrano che è possibile offrire una opening moderna, coinvolgente e funzionale, capace di evolvere nello stile. Esistono numerose soluzioni creative per convincerci a non skippare, come quella di presentare degli elementi nuovi, degli indizi accattivanti, di volta in volta. Come hanno fatto Fringe, I Simpson oppure Ozark che, furbamente, ha giocato con le immagini che si trovano nella “O”. Basta applicarsi.

Ad ogni modo, la tendenza seriale del momento sembra essere la sigla breve o la non sigla. E la colpa, purtroppo, è nostra, della smania di andare al sodo e del ditino più veloce del West! Per favore, ora che abbiamo imparato la lezione, potete ridarcele? Una serie tv senza sigla è una serie tv un po’ più vuota. Giuriamo che non le skipperemo mai più (tenete le dita incrociate dietro la schiena, per precauzione).