Immaginiamo di vivere in un mondo in cui tutte le serie tv non solo sono reali, ma coesistono nello stesso identico universo. Immaginiamo di poter vedere personaggi della Casa de Papel, come Il Professore, Tokyo o Berlino, interagire con i protagonisti di Squid Game, sfidarsi con loro, muoversi tra le loro stesse avventure.
Che tipo di giocatrice sarebbe Silene Oliveira nello squid game? Riuscirebbe a sopravvivere alle numerose prove, nonostante la sua impulsività ? E come si comporterebbe, invece, Han Mi-nyeo, la simpaticissima protagonista di Squid Game, in mezzo alla banda di ladri de La Casa de Papel?
Purtroppo nessuna serie tv, ad oggi, sembra volerci donare la gioia di ricevere una risposta alle nostre domande. Ma ecco che dove il delirio della tv si ferma, quello di Hall of Series sorge, pronto a immaginare per voi le situazioni più assurde e gli incroci più ingarbugliati tra Squid Game e La Casa de Papel, per vivere una nuova fantastica avventura.
Dalla fusione de La Casa de Papel e Squid Game, quindi, ecco che nasce Squid de Papel, il nuovo delirante universo che vede il Professore pronto a confrontarsi con una realtà completamente nuova.
“Ho fallito, io ho fallito“. Il Professore non riusciva a pensare ad altro. Il suo piano, il meticoloso lavoro di una vita, era stato un fallimento. Dove aveva sbagliato? Ma soprattutto, cosa fare adesso? I suoi compagni di squadra erano tutti morti o imprigionati, tenuti come animali in gabbia dalla polizia, trattati come terroristi, senza alcuna tutela, senza nessuna protezione. Rio, Tokyo, Denver… Aveva giurato di proteggerli, di donargli una vita migliore, e invece adesso si trovavano nei guai a causa sua. “Pensa Sergio, pensa”.
Ma per quanto si sforzasse di pensare non c’era proprio nulla che potesse fare. Le autorità avevano avuto la meglio, presto sarebbero arrivati a prendere pure lui. C’era una sola strada da percorrere a quel punto, la più terribile, la più codarda: quella della fuga. Sergio preparò in fretta tutte le cose essenziali, aveva architettato un perfetto piano in caso di fallimento, anche se pensava che non avrebbe mai dovuto metterlo in atto.
In pochi minuti la casa che per settimane aveva rappresentato il suo covo e il suo rifugio fu completamente trasformata: nessuno sarebbe riuscito a ricollegarla a lui o alla rapina. Senza voltarsi indietro, Sergio oltrepassò la soglia, pronto a immettersi tra la confusione di Madrid, camuffandosi tra i passanti.
La metropolitana di Madrid era piena di gente quella sera. Tra i mormorii dei pendolari, Sergio sentì diverse voci commentare l’esito della sua rapina. Sostenitori della causa, che avevano creduto in quei ladri con la tuta rossa, ora esultavano per la vittoria della polizia. Ammanettati e sconfitti, i suoi compagni d’avventura avevano perso il fascino che aveva conquistato la Spagna e, insieme a loro, anche l’idea della Resistenza era crollata in mille pezzi.
Una lacrima scese sul volto del Professore: quel giorno egli non aveva perso solo una battaglia, aveva perso lo stesso senso della sua vita, il suo più grande sogno, se stesso.
Fu in quel momento che una strana figura gli si avvicinò. Sergio si sentì subito irrigidire, un terrore mai provato prima gli impedì di pensare lucidamente. Guardò verso il suo interlocutore, convinto che la sua fuga fosse ormai giunta a termine: la polizia era arrivata a prenderlo.
Quando si voltò, però, i suoi peggiori timori vennero immediatamente meno. Un uomo ben vestito, con una elegante valigetta, sedeva al suo fianco. Non esisteva agente in tutta la Spagna che il Professore non conoscesse, e quell’uomo certamente non era uno di essi.
<<Signore, ha un minuto? Vorrei offrirle una grande opportunità >>. Si trattava senza dubbio di un qualche rappresentante. Sergio proprio non aveva tempo per ascoltare ciò che aveva da dirgli, non poteva rischiare che qualcuno lo riconoscesse. Doveva andare via immediatamente, lasciare Madrid e andare nel luogo sicuro che lo attendeva, solo lì avrebbe potuto raccogliere di nuovo le idee e pensare alla sua prossima mossa.
<<Mi scusi signore, sono un po’ di fretta, devo prendere il prossimo treno>>. Il Professore cercò di sfoggiare il suo sguardo più cordiale, ma in cuor suo sperava solo di liberarsi al più presto di quell’ennesimo inconveniente sul suo percorso. L’uomo, però, non sembrava disposto a demordere. <<Beh, ci vorranno ancora una decina di minuti prima che il treno arrivi. Le va di fare un gioco nel frattempo?>>
Prima che Sergio potesse rispondere, il suo interlocutore aprì la sua valigetta, svelando il piccolo tesoro che vi riponeva all’interno. Banconote, scintillanti e numerose banconote, erano perfettamente riposte tra i comparti della valigia. <<Conosce il gioco del ddakji? Vorrei proporle una partita. Ogni volta che lei vincerà le darò una delle mie banconote, ma se vincerò io sarà lei a dovermi pagare>>.
Per un secondo la vista di quel denaro sembrò quasi abbagliare il Professore. C’era qualcosa in quell’uomo così pacato e sicuro di sé che ispirava una certa fiducia in lui, o forse lo stress per la giornata trascorsa gli aveva semplicemente dato alla testa. Una parte di lui avrebbe voluto accettare l’invito a giocare, sarebbero stati soldi facili per Sergio, che a studiare giochi coreani come il ddakji e lo squid game ci aveva trascorso buona parte della sua infanzia.
Ma nonostante la stanchezza, Il Professore era ancora abbastanza in sé da rendersi conto che credere all’offerta di denaro di uno sconosciuto non era per nulla un’idea saggia, e poi attirare l’attenzione dei passanti era l’ultima cosa che gli servisse in quel momento.
Fortunatamente il treno arrivò in anticipo, donando al Professore l’occasione perfetta per defilarsi da quella scomoda situazione. <<Mi dispiace signore, devo davvero andare>>, Sergio farfugliò le parole in fretta, pronto a lanciarsi verso la metro. Ma le parole che lo sconosciuto pronunciò subito dopo riuscirono ad attirare la sua attenzione, lasciandolo impietrito.
<<Signor Sergio Marquina, oggi per lei è stata una pessima giornata, non è vero? Il suo piano è fallito, la sua rapina è finita tragicamente e lei adesso si ritrova senza un centesimo e senza nessun piano per aiutare i suoi amici. Noi possiamo aiutarla>>. Il Professore non riusciva a parlare. Chi era quell’uomo, come faceva a sapere di lui? Certo, i telegiornali erano pieni di notizie sul fallimento del suo colpo, ma il suo volto, il suo nome… nessuno era arrivato a scoprirli, neanche la polizia, o almeno così Sergio credeva. Forse i membri della banda avevano iniziato a parlare, la sua identità doveva essere ormai compromessa, doveva trovare una nuova strategia per fuggire.
<<Non si preoccupi, Professore, è così che preferisce essere chiamato, no? Non sono un poliziotto e non sono venuto qui per arrestarla. Voglio solo proporle un’occasione per riscattarsi. Tenga, prenda questo biglietto. Mi chiami>>. L’uomo uscì dalla tasca un piccolo biglietto rettangolare, sopra vi erano stampati tre simboli e un numero di telefono, nient’altro.
Prima che Sergio potesse chiedere altro, l’uomo era già salito sul treno, le porte si stavano richiudendo davanti a lui e con esse anche l’occasione di ottenere ulteriori risposte.
Per tutto il tragitto che lo condusse fino al nuovo luogo sicuro, da cui sarebbe ripartito l’indomani per abbandonare la Spagna, il Professore non riuscì a pensare ad altro che a quell’incontro. C’era qualcosa che non tornava in quella storia. Se quell’uomo fosse stato un’agente, per quale motivo avrebbe dovuto lasciarlo libero di andare via, rischiando di perdere le tracce della sua preda per sempre?
Che la polizia sperasse in una sua consegna spontanea? Ma come faceva a conoscere il suo nome? Dal suo arrivo a casa Sergio aveva setacciato ogni notiziario in cerca di novità . Gli agenti non avevano alcuna idea di quale fosse la sua identità , nessuno conosceva il suo nome. Certo, c’erano stati quei rischiosi incontri con l’ispettore Murillo, ma Sergio si era allontanato prima che il caos scoppiasse, e anche se lei poteva aver intuito il suo coinvolgimento nella rapina non conosceva il suo vero nome, né avrebbe avuto modo di scoprirlo.
Doveva necessariamente fare luce su questo mistero. Non poteva lasciare la Spagna senza prima scoprire qualcosa in più su quell’uomo, sarebbe stato troppo rischioso per lui. Senza nemmeno rendersene conto, Sergio si ritrovò a comporre sul suo prepagato il numero trovato su quel misterioso biglietto. Fu solo quando il telefono iniziò a squillare che il Professore si rese conto che, forse per la prima volta nella sua vita, non aveva idea di cosa dovesse dire al suo interlocutore se questo avesse deciso di rispondergli.
<<Salve, sono Sergio… Sergio Marquina. Oggi mi ha dato questo biglietto in metro…>>. Il Professore farfugliava, non era mai stato tanto insicuro di qualcosa in vita sua. Dall’altro lato una strana voce metallica parlava senza nemmeno ascoltare quello che l’uomo gli diceva.
<<Vuole partecipare al gioco? Se desidera partecipare al gioco, prego dichiari nome e data di nascita>>. A niente servirono i tentativi del Professore di spiegare che no, lui non voleva proprio partecipare a nessun gioco, voleva solo sapere cosa volessero da lui queste persone. Sempre più convinto di essere finito nelle mani di qualche banda segreta intenzionata a ricattarlo, Sergio passò le ore successive a comporre il numero per poi riattaccare, urlando da solo al telefono e provando le combinazioni di domande più svariate pur di ottenere qualche risposta da quell’inquietante interlocutore.
Alla fine, però, non ci fu nulla da fare. Rassegnato il Professore accettò di condividere i suoi dati, ritrovandosi tra le mani un indirizzo, una parola d’ordine e un misterioso appuntamento come unici indizi nella sua indagine verso la verità .
Sergio raggiunse il luogo di incontro con un certo anticipo. Una parte di lui era ancora convinta di star facendo un grandissimo errore. Quella stessa parte che continuò a sussurrargli insistentemente di scappare quando un furgone guidato da uno strano ragazzo incappucciato si fermò davanti a lui invitandolo a salire, e che avrebbe urlato un grandissimo “te lo avevo detto” qualche ora dopo, quando Sergio si ritrovò a svegliarsi in una inquietante stanza bianca che aveva tutta l’aria di essere un piccolo laboratorio di esperimenti per topi, dove al posto degli animali c’erano lui e altre 456 persone pronte a fare da cavie.
Sembrava l’inizio di un incubo. Come poteva essere stato così stupido da accettare di lasciarsi trascinare in quella situazione? Un’ondata di panico iniziò a invaderlo. Era in trappola, si era fatto fregare per la seconda volta quel giorno. Aveva sempre pensato di essere una persona intelligente, con tutti i suoi piani per realizzare il colpo del secolo e il suo progetto ambizioso di attuare la rapina di suo padre. Ed ora eccolo lì. Un uomo fallito, imprigionato in chissà quale contorta forma di tortura governativa, con indosso una terrificante tuta verde. Intorno a lui centinai di sconosciuti, forse altri ladri, o terroristi. Sergio aveva sperato di intravedere i volti degli altri membri della banda, ma di loro non c’era alcuna traccia.
Tutti i suoi averi erano scomparsi insieme ai suoi vestiti: il suo prepagato, la pistola che aveva portato con sé per sicurezza, i pochi soldi che gli rimanevano. Non ricordava molto del viaggio in auto, solo un fumo soporifero che lo avvolgeva. Dovevano averlo sedato. “Stupido stupido stupido”, pensò.
Sergio si aggirava intorno alla stanza, quasi sperando di poter trovare una soluzione al guaio che aveva combinato. Non era fatto per la prigione lui. Non sarebbe riuscito a sopravvivere lì dentro. Doveva uscire al più presto, tornare nel suo rifugio e scappare via come aveva programmato. Quante ore erano passate dall’arresto degli altri membri della banda? Perché non erano stati portati anche loro lì con lui? La testa gli scoppiava, non riusciva a pensare.
Fortunatamente il suo flusso di idee venne interrotto presto. Le grandi porte metalliche che rappresentavano l’unica via d’uscita dalla stanza si aprirono, lasciando entrare una decina di uomini in tutta rossa e dal volto coperto: erano le stesse guardie che erano giunte a prelevarlo poche ore prima.
Vorrei dare un caloroso benvenuto a tutti voi. Tutti i presenti parteciperanno a sei giochi diversi in sei giorni. Chi li vincerà tutti e sei vincerà un ricco premio in contanti.
Squid Game, 1×01
Quello che avvenne subito dopo fu forse l’ultima cosa che Sergio si sarebbe mai aspettato. Tutte le sue teorie, il complotto governativo, l’indagine misteriosa della polizia, vennero immediatamente smentite dal dialogo di una delle guardie.
Il professore ripensò solo in quel momento alla domanda che gli era stata posta al telefono poche ore prima: “vuole partecipare al gioco?”. Non aveva dato molto peso a quella frase. Intento com’era a cercare risposte non aveva notato di aver dato il suo consenso a prendere parte a questa strana proposta che gli era stata fatta. Ma pareva proprio che il Professore non fosse l’unico confuso nella stanza. Non appena l’uomo in divisa smise di parlare una serie di domande iniziarono a piombare su di lui. Dubbi di ogni genere, che rappresentavano anche una buona parte delle domande che lui stesso avrebbe voluto porre, se fosse riuscito a ricordare come si faceva a parlare.
Fu solo quando un lungo video esplicativo venne proiettato davanti agli occhi increduli dei presenti che la maggior parte dei dubbi vennero meno. Nomi, cognomi e debiti di ognuna delle 456 persone presenti vennero rivelati uno per uno, mostrando ciò che accomunava ognuno di quei soggetti così accuratamente selezionati: il fallimento. Uomini che, esattamente come il Professore, non avevano più nulla da dare al mondo e a sé stessi. Uomini disperati erano stati riuniti in quel luogo per avere una seconda change, per provare a vincere con le loro forze un enorme bottino in denaro. Era tutto assurdamente surreale, eppure geniale.
Ad un tratto la paura del Professore si trasformò in forza. Adesso Sergio era affamato, affamato di conoscenza, bramoso di risposte. Voleva capirci di più, voleva andare fino in fondo a quella assurda faccenda.
Ma fu solo quando l’enorme salvadanaio in vetro scese giù dal tetto che Sergio si rese veramente conto delle potenzialità della situazione in cui si era appena ritrovato.
Il Professore ancora non sapeva in quale assurda organizzazione si era trovato a essere coinvolto, ma di una cosa era certo: quegli uomini in tuta non avevano ben compreso chi era l’uomo che avevano portato lì dentro. In quel salvadanaio Sergio non vide la possibilità di vincere un premio che salvasse la sua vita dalla miseria, ci vide l’opportunità di regolare i conti con il suo recente fallimento.
Lui era ancora un ladro, il più grande che la Spagna avesse mai incontrato, e si ritrovava a soli pochi metri da un tesoro ben custodito all’interno di una casa del mistero. Non restava altro da fare che trovare la chiave. Con quei soldi avrebbe potuto sistemare ogni cosa. Tokyo, Rio, Denver, Nairobi… tutti aspettavano il ritorno del loro angelo custode, e lui non li avrebbe delusi. Ma per tornare da loro doveva prima riempirsi le tasche di un po’ di denaro pulito, esattamente come quello che per puro caso stava penzolando allegramente sopra la sua testa.
Un sorriso beffardo gli illuminò il volto. Il Professore era tornato. Chissà se avrebbe riso ancora in quel modo se avesse saputo che il tipo di guaio in cui si stava cacciando era qualcosa di molto, ma molto più grande di ciò che lui avrebbe mai potuto affrontare.
Il piano del Professore era semplice: avrebbe seguito l’evoluzione del gioco, mischiandosi tra i concorrenti e cercando di ottenere quante più informazioni possibili sull’organizzazione e sulla struttura. Nella notte, poi, si sarebbe concentrato nel delineare meglio il suo furto, puntando sull’assenza delle guardie per potersi aggirare meglio tra le stanze.
Se avesse avuto più lucidità , forse avrebbe compreso prima che quelle clausole del contratto che aveva accettato di firmare stavano decretando non solo la sua condanna a morte, ma anche quella di tutte le persone che lo circondavano. Si, perchè nel suo piano vi era una pecca enorme. Quello che serviva a Sergio per attuare la rapina era il tempo, ma nel gioco di Squid Game il tempo era un lusso che solo i più abili giocatori potevano concedersi. Tante vite sarebbero state distrutte di lì a breve, e se il Professore voleva uscire da quel luogo doveva pensare in fretta.
Nessuno intorno a lui sembrava aver realmente capito in che tipo di guaio si stesse cacciando. I concorrenti si preparavano alla sfida come dei bambini in attesa di giocare a guardia e ladri, con la spensieratezza di chi si auspica una vittoria, ma sa che comunque non ha nulla da perdere in caso di sconfitta.
L’inizio del primo gioco era stato annunciato da qualche minuto e gli sfidanti stavano allegramente camminando per quello che aveva tutta l’aria di essere un enorme parco giochi colorato. Certo, la perfezione maniacale con cui la folla era stata disposta in fila, le musiche allegre in sottofondo e il silenzio glaciale delle guardie, riuscivano a far rabbrividire anche i più coraggiosi, quasi come se un sesto senso sconosciuto li stesse avvisando di scappare. Ma nessuno dei partecipanti sembrava disposto a cedere, in fondo si trattava solo di superare qualche gioco.
Sergio si guardava intorno con stupore. Tutto era decisamente perfetto, organizzato con cura e attenzione, preparato con la minuzia dei dettagli. Per lui era come trovarsi all’interno di un bellissimo rompicapo vivente. C’erano così tante domande a cui desiderava aver risposta. In cuor suo provava una certa ammirazione per il creatore di tutta quell’opera. Un’ammirazione che sarebbe venuta meno solo pochi secondi dopo.
Il primo gioco si chiama: “Un, due, tre, stella”. Potete avanzare mentre la bambola grida: “un, due, tre, stella”. Se ci saranno movimenti dopo la fine della frase sarete eliminati. Coloro che taglieranno il traguardo entro cinque minuti senza farsi prendere, supereranno questo turno. Che il gioco abbia inizio.
Squid Game, 1×01
Schierati in un campo appositamente costruito per l’occasione, i 400 sfidanti ascoltavano con stupore la spiegazione del primo gioco che erano chiamati ad affrontare. Il Professore, ora, cominciava a percepire l’adrenalina dell’ignoto.
Lui, in fondo, era un tipo molto razionale, amava l’organizzazione e non era fatto per le sorprese. E quella che lo Squid Game gli stava preparando era una sorpresa che certamente mai avrebbe potuto auspicarsi.
Il gioco era troppo semplice. Un passatempo per bambini che tante volte Sergio aveva visto fare tra i suoi coetanei. Ma perchè qualcuno avrebbe dovuto dare migliaia di euro a degli sconosciuti solo per aver vinto una partita a un, due, tre, stella? Non aveva proprio alcun senso.
Il professore si guardava intorno con angoscia. Quel posto iniziava a dargli i brividi. Per non parlare della gigantesca bambola che era stata posta a dirigere il gioco. Lungi dall’essere un simpatico giocattolo per bambini, quella figura dalla testa enorme trasmetteva una sensazione di pericolo.
Fu con incertezza che il Professore mosse i primi passi all’inizio della partita. Avanzò piano, lentamente, mentre il suo cervello si concentrava nell’analizzare tutte le informazioni che aveva raccolto fino a quell’istante. Ed ecco che, a un certo punto, una luce si accese nella sua mente. “Il giocatore viene eliminato”. Per tutta la giornata quella frase era stata ripetuta: nel contratto iniziale dei giochi, nelle regole attentamente spiegate dalla bambola.
Ma guardando ai fatti con l’innocenza di bambini, i concorrenti non si erano veramente resi conto del significato che il termine eliminato aveva all’interno dello Squid Game. Non si parlava di uscire dal gioco ritrovandosi costretti a svolgere una qualche penitenza. No, lo Squid Game era un gioco di sopravvivenza.
Proprio mentre il Professore maturava questa idea, ecco che la bambola si preparava a girarsi verso i giocatori. Un sensore di movimento, estremamente sensibile e preciso, scrutava con attenzione la folla, pronto a eliminare chiunque non avesse rispettato le regole.
Numerosi proiettili iniziarono a volare per il campo, mentre corpi senza vita crollavano a terra tra le urla disperate dei compagni. Sergio rimase immobile. La paura lo aveva totalmente immobilizzato, il suo corpo era come un pezzo di ghiaccio totalmente appiccicato al suolo. Non riusciva a credere di essere stato tanto stupido da lasciarsi trascinare in una situazione simile. Doveva trovare un modo per uscire da lì e doveva farlo in fretta.
Ma per quanto la sua mente si sforzasse di pensare, non c’era soluzione che il Professore ritenesse realizzabile. Uno sguardo veloce sul campo gli era bastato per rendersi conto che quel luogo era costruito come una perfetta trappola per topi. Scappare era impossibile, le armi strategicamente collocate ai lati dello spiazzo erano in grado di coprire l’intera aria. Le porte erano impossibili da aprire, lo avevano dimostrato le decine di giocatori che urlanti vi si erano precipitati contro, solo per morire ammassati e trucidati al termine della canzoncina della bambola. Esisteva un solo modo per uscire vivi da quel luogo: vincere.
Le gambe del professore iniziarono a cedere. Accasciato a terra, totalmente terrorizzato, Sergio si rese conto che non vi era più alcuna speranza di sopravvivere. Lui non era un uomo d’azione. Certo, la sua mente era capace di ragionare più velocemente di qualsiasi altra in quel luogo, ma i giochi per bambini e gli sport di abilità non erano certamente il suo forte. Ma se voleva vivere, se voleva sperare di poter tornare a casa, doveva almeno provare a giocare. Una partita, solo una. Un banale gioco per ragazzini lo separava dalla possibilità di tornare nella grande stanza da letto, lì dove avrebbe potuto pensare a un modo per abbandonare per sempre quel luogo degli errori.
Mentre la bambola si girava per l’ennesima volta, pronta a recitare la sua filastrocca, Sergio si alzò in piedi. L’orologio posto al lato del campo segnava i pochi minuti restanti alla conclusione della sfida. Raggiungere il traguardo in tempo sarebbe stato difficile, ma non impossibile. Il Professore tirò un enorme sospiro, quasi a voler raccogliere dentro di sé tutta la forza esistente al mondo. Il suo piede si staccò da terra, pronto a correre come mai prima di allora. Ora in quel campo non c’era più nient’altro: solo le sue gambe e una striscia rossa da attraversare.
Con un coraggio mai conosciuto prima, Sergio iniziò la sua gara, consapevole che quella corsa sarebbe potuta essere l’ultima della sua vita. Ma lui non poteva morire, la sua banda lo stava aspettando. Allo Squid Game lui aveva una motivazione in più: doveva restare vivo per loro, lui era l’angelo custode di cui avevano bisogno.